Accordo Cina-Vaticano / Cardinale Zen: “Parolin mente e sa di mentire!”

Cari amici di Duc in altum, torno sulla questione Cina per segnalare un fortissimo  intervento del cardinale Zen. Una netta confutazione degli argomenti sostenuti dal cardinale Parolin alcuni giorni fa, in occasione del suo discorso al Pime di Milano.

Il cardinale Zen non nasconde la sua indignazione e arriva a sostenere che il segretario di Stato “sa di mentire”.

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Per amore della verità non tacerò

Ho letto il discorso tenuto il 3 ottobre a Milano dal cardinale Parolin, segretario di Stato di Sua Santità. È stomachevole! Siccome stupido e ignorante non lo è, ha detto una serie di bugie ad occhi aperti.

La cosa più ripugnante è l’insulto rivolto al venerato Benedetto XVI quando si sostiene che ha approvato a suo tempo l’accordo firmato dalla Santa Sede due anni fa, sapendo che il nostro dolcissimo, mitissimo Benedetto certamente non verrà fuori a negarlo. È poi quanto mai ridicolo ed umiliante per l’innocente cardinal Re essere “usato” un’altra volta per sostenere le falsità dell’Eminentissimo Segretario.

Parolin sa di mentire, sa che io so che è bugiardo, sa che io dirò a tutti che è bugiardo. Dunque, oltre ad essere sfacciato, è anche audace. Ma ormai che cosa non oserà fare? Penso che non tema neanche la sua coscienza.

Temo che non abbia nemmeno la fede. Ho avuto questa impressione quando Parolin, già segretario di Stato, in un discorso commemorativo del cardinale Casaroli, lodando il suo successo nel ricostituire la gerarchia ecclesiastica nei paesi comunisti dell’Europa, disse: “Quando si cercano dei vescovi, non si cercano dei “gladiatori, di quelli che sistematicamente si oppongono al governo, quelli che amano mettersi in vista sul palcoscenico politico”.

Io gli scrissi, domandando se nel dire quelle parole avesse in mente il cardinale Wyszynski, il cardinale Mintzenty, il cardinale Beran. Egli mi rispose senza negare e disse solo che se il suo discorso non mi era piaciuto mi chiedeva scusa. Ma uno che disprezza gli eroi della fede non ha fede!

La storia

Vediamo come Parolin fa un riassunto della storia.

La rituale menzione di Matteo Ricci come non plus-ultra nella storia delle missioni della Chiesa in Cina comincia a causarmi fastidio. Molti missionari che hanno evangelizzato il popolo non sono da ammirare di meno (e badate bene che io sono fiero di essere stato educato nella fede dai gesuiti a Shanghai).

Parolin fa risalire i tentativi di dialogo fino a Pio XII. Meno male che ha affermato pure che Pio XII abbandonò il tentativo, ma aggiunge che “ciò creò la sfiducia reciproca che ha segnato la storia successiva.”

Sembra dire che sia stata la “sfiducia” a causare tutta la storia dei seguenti trent’anni! Possibile che si possa semplificare così la storia? Come dimenticare l’espulsione dei missionari, tutti, dopo essere stati sottoposti a giudizi popolari, condannati come imperialisti, oppressori del popolo cinese e perfino assassini? Fu espulso anche il rappresentante pontificio, e così molti vescovi, dopo anni in carcere!

Espulsi gli “imperialisti oppressori”, è stata poi la volta degli “oppressi”, i cristiani e il clero cinese, colpevoli di non voler rinnegare la religione imparata da quegli oppressori!

Metà della Chiesa finì in prigione e nei campi di lavori forzati. Pensate ai giovani membri della Legio Mariae, che entrarono in prigione da teen-agers e ne uscirono quarantenni (eccetto quelli che vi lasciarono la vita).

L’altra metà della Chiesa finì pure in prigione, dopo le torture sotto le guardie rosse della Rivoluzione culturale. Poi dieci anni di silenzio.

Si dice: non siete capaci di dimenticare le sofferenze del passato? Io personalmente non ho sofferto niente (sono a Hong Kong dal 1948), ma i miei famigliari e confratelli sì!

Purificazione della memoria? Perdonare va bene, ma come si può dimenticare la storia? La storia è maestra!

Parolin menziona il cardinal Echegaray come iniziatore di un nuovo percorso “tra vicende alterne”. Per chi l’ha conosciuto, il cardinale Echegaray era un ottimista a oltranza, amava la Cina immensamente, ma pochi sanno come i comunisti trattarono questo vecchio amico, quando li visitò in un momento sfortunato, durante la campagna contro la canonizzazione dei martiri in Cina: un’ora di insulti e umiliazioni! E un testimone vivente del Pime ne sa qualcosa!

Le “vicende alterne” sono in realtà una linea diritta, mai cambiata! Monsignor Claudio Celli, che era il negoziatore prima di Parolin, si lamentava che la controparte cinese non negoziava, ma ripeteva come un grammofono: “Firmi l’accordo!”

Oggi l’arcivescovo Celli ha solo una parola, sempre la stessa, per la Chiesa indipendente in Cina: compassione. Ma la vera compassione si esprime nel liberare gli schiavi dalla schiavitù, non nell’incoraggiarli a essere buoni schiavi.

L’ostpolitik della Santa Sede

Sì, il dialogo con i comunisti ha origini lontane. C’erano già vescovi rappresentanti di paesi comunisti al Concilio Vaticano II con Papa Giovanni XXIII. Papa Paolo VI mandò poi monsignor Casaroli in diverse missioni, a ristabilire le gerarchie in quei paesi.

Era un lavorare nel buio (parola dello stesso Casaroli), non si conosceva la situazione reale. Le gerarchie? C’erano vescovi fantocci, più ufficiali di governo che pastori del gregge. Ma in nazioni dalla  lunga storia cristiana non potevano comportarsi troppo male (due anni fa sono stato a visitare Budapest, Bratislava e Praga proprio per imparare un po’ della loro storia).

Il dialogo è continuato attraverso Giovanni Paolo II e Benedetto, ma quale è stato il risultato di questa politica che si usa chiamare Ostpolitik?

Mi rifaccio al libro di Benedetto XVI Ultime conversazioni (p. 161-162). Alla domanda posta da Peter Seewald, e cioè se Ratzinger ha condiviso e sostenuto attivamente “l’Ostpolitik” di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI risponde: “Ne parlavamo. Era chiaro che la politica di Casaroli… per quanto attuata con le migliori intenzioni, era fallita. La nuova linea perseguita da Giovanni Paolo II era frutto della sua esperienza personale, del contatto con quei poteri. Naturalmente allora non si poteva sperare che quel regime crollasse presto, ma era evidente che, invece di essere concilianti e accettare compromessi, bisognava opporsi con forza. Questa era la visione di fondo di Giovanni Paolo II, che io condividevo”.

Applicazione dell’Ostpolitik alla Cina

Nella lettera ai cattolici cinesi del 2007 Papa Benedetto mette in chiaro il principio che deve guidare ogni dialogo: non si può volere una conclusione a ogni costo; una buona conclusione dipende dalla volontà delle due parti. “La soluzione dei problemi esistenti non può essere perseguita attraverso un permanente conflitto con le autorità civili; nello stesso tempo, però, non è accettabile un’arrendevolezza alle medesime quando esse interferiscono indebitamente in materie che riguardano la fede e la disciplina della Chiesa” (n. 4).

Anche Papa Franceso ha chiaro il principio che deve guidare il dialogo. In Corea, in occasione della Giornata della gioventù, disse ai vescovi asiatici lì radunati che il principio del dialogo ha due facce:  anzitutto fedeltà alla propria identità (non si può rinunciare alla nostra ecclesiologia e alla fondamentale disciplina), poi occorre aprire il cuore e ascoltare.

Continuità?

Nella pratica non c’è stata continuità tra Benedetto e Francesco. C’è la continuità nella persona di Parolin.

Nel mio libro Per amore del mio popolo non tacerò ho raccontato come come un gruppo di potere del Vaticano non ha seguito la linea di Papa Benedetto nel modo di risolvere i problemi con il governo di Pechino.

Se mi chiedete come sia stato possibile che un papa dipinto come duro (gli hanno dato perfino il sopranome di “pastore tedesco”) abbia tollerato tutto questo, rispondo che in realtà Papa Benedetto è l’uomo più mite e timido del mondo, ed ha grande difficoltà a usare la sua autorità.

Un giorno io, gran peccatore, gli feci il broncio e dissi: “Lei mi dice di aiutarla riguardo alla Chiesa in Cina, ma questi altri suoi collaboratori non seguono la sua linea e lei non interviene. Quindi che ci sto a fare? Nemmeno Bertone mi aiuta, perché?”. Mi rispose: “Qualche volta non si vuol offendere qualcuno”. Si riferiva al  cardinale Dias, allora prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, e al negoziatore della Santa Sede con Pechino, monsignor Parolin, entrambi entusiasti della linea dell’Ostpolitik.

Si dirà che io sto rivelando cose dette in conversazioni private e così facendo causo imbarazzo all’interessato. Sì, ma meglio questo che lasciare che gli venga addossata la responsabilità di aver approvato un cattivo accordo.

Una cosa strana è che mentre ai tempi del cardinale Tomko come prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli il negoziatore ragguagliava i membri su quelle riunioni segrete periodiche riguardanti l’andamento dei negoziati (non ufficiali), quando Papa Benedetto costituì l’imponente Commissione per la Chiesa in Cina questa venne lasciata completamente all’oscuro.

Durante l’anno 2010 correva voce che un accordo fosse pronto. Ma a un certo punto tutto cadde nel silenzio. Parolin venne mandato in Venezuela ed entrò Ballestrero. Savio Hon arrivò alla Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli già prima che Dias andasse in pensione. Da tutto questo si può arguire con fondamento che Papa Benedetto in extremis fermò l’accordo e fece la sterzata.

Quando Papa Francesco chiamò Parolin dal Venezuela e lo fece suo segretario di Stato, una delle prime iniziative di Parolin fu di far sparire alla chetichella la Commissione per la Cina, e presto l’Ostpolitik verso Pechino ebbe la strada aperta. Si dialogava con il nemico, ma non tra di noi! E Papa Francesco mise la Cina completamente nelle mani del suo segretario di Stato.

Non c’è alcuna continuità tra Benedetto, che disse no all’Ostpolitik, e Francesco che dice sì all’Ostpolitik. C’è la continuità dell’ostpolitik di Parolin: prima egli non seguiva Benedetto, ora Francesco segue lui.

Mi si domanderà: lei dice che Parolin manipola il Santo Padre? Sì, non so perché il Papa si lasci manipolare, ma ho elementi per credere che sia così, e ciò mi rende meno penoso e ripugnante criticare la Santa Sede.

Quando nel corso del processo di legittimazione dei sette “vescovi” scomunicati si chiese ai due vescovi legittimi della comunità clandestina di dimettersi, in una udienza concessa all’arcivescovo Savio Hon il Papa disse tre cose: “Questo non va bene”, “Perché non hanno discusso con me?”, “Mi interesserò di questo.”

Più tardi, in un’udienza concessa a me, domandai a Papa Francesco: “Ha poi avuto modo di interessarsi di quel problema?”. Mi rispose prontamente: “Sì, ho detto loro di non creare un altro caso Mintzenty”. Non poteva essere più chiaro e preciso, ma purtroppo le cose sono andate esattamente come capitò al cardinale Mintzenty, perché i due vescovi furono obbligati a cedere il loro ufficio a due indegni.

Aggiungo che le cose trapelate dal Vaticano vennero da Parolin (ovviamente con il consenso del Papa)!

L’effetto dell’accordo

Come si fa a dire qualcosa sull’accordo Cina-Vaticano? Non avendo visto il testo, sopratutto quello in cinese, non posso dare nessun giudizio. Ma l’eminentissimo Parolin stesso e i suoi accoliti hanno sovente affermato che un cattivo accordo è meglio che nessun accordo. E questo, da insegnante di morale, proprio non riesco a capirlo. Ho sempre insegnato che il male non si può fare neppure con la migliore intenzione.

Dicono: “L’accordo è buono, i comunisti cinesi hanno finalmente riconosciuto il Papa come autorità suprema della Chiesa cattolica”. Ebbene, se non vedo il testo non ci credo.

Dicono: “Il Papa avrà il diritto di veto!”. Ripeto: se non vedo il testo, non ci credo. E poi: ammesso pure che abbia il diritto di veto, quante volte potrà usarlo senza imbarazzo?

Dicono: “Con l’accordo non ci saranno più vescovi illegittimi!”. Ma ci si può fidare della parola di un regime totalitario? Non ricordate il patto con Napoleone, il concordato con il governo nazista?

Se il Vaticano resta cedevole come ora, i vescovi legittimi non saranno necessariamente degni vescovi. La Chiesa indipendente in Cina è ormai piena di vescovi “opportunisti”, gente che si vende al governo per far una carriera di potere e di benessere.

Se poi i sette scomunicati legittimati sono il campionario di ciò che verrà, il Signore ce ne scampi e liberi! Hanno forse cambiato la loro condotta? Hanno forse dato alcun segno di ravvedimento? Hanno espresso gratitudine per il perdono concesso dal Papa? Hanno fatto una pubblica promessa di rispettare la dottrina e la disciplina della Chiesa? Niente di tutto ciò. Quello che si vede è che vanno in giro cantando vittoria: “Noi abbiamo fatto la scelta intelligente stando con il governo!”.

Particolarmente disgustoso il trattamento dei due vescovi legittimi obbligati a cedere il posto agli scomunicati. Il legittimato di Shantau, Wong, dopo la sua “vittoria” organizzò una grande celebrazione nella Chiesa del deposto. Il clero e i fedeli suoi vennero fatti arrivare con i pullman, mentre il clero e i fedeli del deposto non furono ammessi (la polizia contgrollava). Volevano che il deposto venisse a concelebrare, per umiliarlo. Ma l’anziano vescovo, ancora lucido, disse: “Quando ci si sposa si festeggia, ma io sono stato forzato a divorziare dalla mia diocesi. Che cosa c’è da festeggiare?”. E si ritirò.

Il vescovo Guo di Mingdong, che pur aveva con sé la comunità non-ufficiale, molto più numerosa di quella del suo contendente, ha obbedito al Vaticano cedendo il posto allo scomunicato e accettando di fargli da ausiliare. Ma, come tutti hanno visto, la vita gli è stata resa impossibile, e proprio in questi giorni si è dimesso.

Sarebbe questa la Chiesa finalmente unita? Sarebbe questo l’avvicinamento tra le due parti? Sarebbe questa la normalizzazione della vita della Chiesa, solo perché il Papa benedice tutta questa miseria,  questa vittoria del nemico?

Avere tutti vescovi legittimi, ma in una Chiesa che è oggettivamente scismatica, è un bene? È un progresso? È l’inizio di che cosa? Di quale tipo di viaggio?

Sua Eminenza Parolin appare molto umile quando dice che il risultato dell’accordo non è stato particolarmente entusiasmante, ma questo è ovviamente understatement. Io direi che è stato semplicemente disastroso.

L’ultimo atto: tutti nella Chiesa scismatica!

Più disastroso ancora, e più crudele, è stato l’ultimo atto di questa tragedia: il documento del giugno dell’anno scorso, Orientamenti pastorali riguardo la registrazione civile del clero, emanato dalla Santa Sede senza specificazione del dipartimento e senza firme (ma si sa che è creatura di Parolin). Nel testo si invitano tutti a iscriversi all’Associazione patriottica, cioè alla Chiesa indipendente. È il colpo di grazia!

Alcuni della comunità “clandestina”, con a capo vescovi e preti, sono felici di poter finalmente, in tutta coscienza, togliersi di dosso il fardello dei “fuorilegge”. Ma mentre entrano nella gabbia, vengono sbeffeggiati dai vecchi inquilini: “Abbiamo sempre detto…” Moltissimi che per tutta la vita hanno resistito al regime e perseverato nella vera fede (con molti martiri tra i loro familiari) ora sono invitati dalla stessa “Santa” Sede ad arrendersi! Come stupirsi che ci siano smarrimento, delusione e (nessuno si scandalizzi) anche risentimento per essere stati traditi?

È vero che il documento dice che la Santa Sede “rispetta” la loro coscienza, se non si sentono di fare quell’atto. Ma l’effetto pratico sarà lo stesso: non avranno più le loro chiese, non potranno più dire Messa per i fedeli in case private, non avranno più vescovi. Potranno vivere la fede solo nelle catacombe, aspettando giorni migliori.

La situazione generale

Molte cose sono avvenute in questo periodo, non dico “a causa dell’accordo”, ma certamente “nonostante l’accordo”: notevole incrudelimento della persecuzione, accanimento nel far sparire la comunità non ufficiale, rigida esecuzione di regole una volta meno stringenti, come la proibizione ai minori di diciotto anni di entrare in chiesa e di partecipare a qualunque attività religiosa. La “sinicizzazione” non è quel che intendiamo per inculturazione, è la religione del Partito comunista: prima divinità è la patria, il partito, il capo del partito.

Come può l’Eminentissimo sostenere che tutto questo non ha niente a che fa con l’accordo?

Sua Eminenza connette l’accordo con la pace internazionale e col risolvere le tensioni. Ma sembra proprio che per salvare l’accordo la Santa Sede chiuda tutti e due gli occhi su tutte le ingiustizie che il partito comunista infligge al popolo cinese.

E Hong Kong?

Anche Hong Kong, con l’introduzione della legge per la sicurezza nazionale, è diventata una città sottoposta a un regime totalitario. I cittadini, minacciati da incredibili brutalità della polizia, hanno perso ogni diritto, comprese la libertà di espressione e di parola.

Lo Stato autonomo di Hong Kong non è messo in discussione e l’accordo non riguarderebbe Hong Kong, ma si sente dire che per essere vescovo di Hong Kong uno deve avere la benedizione di Pechino!

Il Signore ci salvi dai nostri potenti nemici!

La Madonna del Santo Rosario ci protegga da ogni pericolo!

P.S. La prima lettura della Messa di oggi, ventisettesima settimana per annum, mercoledì (Galati 2. 1-2, 7-14) mi incoraggia a mettere questo articolo ne mio blog.

Cardinale Joseph Zen Ze-kiun

Fonte: https://oldyosef.hkdavc.com/?p=1575

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