Cari amici di Duc in altum, a integrazione di quanto già scritto a caldo, su sollecitazione di LifeSiteNews monsignor Carlo Maria Viganò critica in modo molto chiaro alcune affermazioni dell’enciclica Fratelli tutti che sembrano promuovere l’indifferentismo religioso e, di conseguenza, rendere inutile l’opera di evangelizzazione.
Il documento, sottolinea l’arcivescovo, è intessuto di dichiarazioni equivoche e segnato da una mancanza di chiarezza che ancora una volta non può che confondere i fedeli.
Di seguito le parti dell’enciclica che LifeSiteNews ha posto all’attenzione dell’arcivescovo e i commenti di monsignor Viganò.
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- 274. A partire dalla nostra esperienza di fede e dalla sapienza che si è andata accumulando nel corso dei secoli, imparando anche da molte nostre debolezze e cadute, come credenti delle diverse religioni sappiamo che rendere presente Dio è un bene per le nostre società.
La proposizione «Come credenti delle diverse religioni sappiamo che rendere presente Dio è un bene per le nostre società» è volutamente equivoca: «rendere presente Dio» non significa nulla in senso stretto (Dio è presente di per Sé). In senso lato, se si intende «rendere presente Dio tramite la presenza di una o più religioni» in antitesi all’«allontanamento dai valori religiosi» di cui al punto 275 come pare suggerire il testo, la proposizione è erronea ed eretica, perché pone sullo stesso piano la divina Rivelazione del Dio vivo e vero con le “prostituzioni”, come la Sacra Scrittura chiama le false religioni. Sostenere che la presenza delle false religioni sia «un bene per le nostre società» è altrettanto eretico, perché non solo offende la Maestà di Dio, ma giunge a legittimare l’azione dei dissidenti, attribuendole un merito anziché la responsabilità nella dannazione delle anime e per le guerre di religione mosse contro la Chiesa di Cristo da eretici, maomettani e idolatri. Questo passo è inoltre offensivo perché implica surrettiziamente che questo «bene per le nostre società» sia stato genericamente acquisito «imparando anche da molte nostre debolezze e cadute», mentre in realtà le «debolezze e cadute» sono attribuibili alle sette e solo indirettamente e per accidens agli uomini di Chiesa.
Faccio infine notare che l’indifferentismo implicitamente promosso nel testo di Fratelli tutti, nel quale si definisce «un bene per le nostre società» la presenza di qualsiasi religione e non «la libertà e l’esaltazione di Santa Madre Chiesa», nega di fatto i diritti sovrani di Gesù Cristo, Re e Signore dei singoli, delle società e delle nazioni. Pio XI, nell’immortale Enciclica Quas primas, proclama: «Non può dunque sorprenderci se Colui che è detto da Giovanni “Principe dei Re della terra” (Ap 1, 5), porti, come apparve all’Apostolo nella visione apocalittica “scritto sulla sua veste e sopra il suo fianco: Re dei re e Signore dei dominanti” (Ap 19, 16). Da quando l’eterno Padre costituì Cristo erede universale (Eb 1, 1), è necessario che Egli regni finché riduca, alla fine dei secoli, ai piedi del trono di Dio tutti i suoi nemici (1Cor 15, 25)»[1]. E poiché i nemici di Dio non possono essere nostri amici, la fratellanza dei popoli contro Dio è non solo ontologicamente impossibile, ma teologicamente blasfema.
- 277. La Chiesa apprezza l’azione di Dio nelle altre religioni, e «nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che […] non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini». (Dich. Nostra aetate, 2)
Il riferimento al documento conciliare Nostra aetate è la conferma del nesso ideologico del pensiero ereticale bergogliano con le premesse poste dal Vaticano II. Nelle false religioni non vi è nulla di vero e santo “ex se”, dal momento che gli eventuali elementi di verità che esse possono conservare sono comunque usurpati, e utilizzati per celare l’errore e renderlo più dannoso. Nessun rispetto può esser accordato alle false religioni, i cui precetti e le cui dottrine vanno rigettati e respinti integralmente. Se poi tra questi elementi di verità e santità Bergoglio vuole includere ad esempio il concetto di un Dio unico che dovrebbe avvicinare i Cattolici a quanti professano una religione monoteistica, andrebbe chiarito che vi è una differenza sostanziale ed ineludibile tra il vero Dio Uno e Trino e il dio misericordioso dei Maomettani.
- 277. Altri bevono ad altre fonti. Per noi, questa sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù Cristo.
L’unica fonte cui sia possibile abbeverarsi è Nostro Signore Gesù Cristo, per il tramite dell’unica Chiesa che Egli ha istituito per la salvezza delle anime. Chi cerca di dissetarsi ad altre fonti, non placa la propria sete e quasi certamente si avvelena. È inoltre discutibile che il concetto eterodosso di dignità umana e di fraternità di cui parla “Fratelli Tutti” possa esser trovato nel Vangelo, che anzi contraddice palesemente questa visione orizzontale, immanentista e indifferentista teorizzata da Bergoglio. Infine, la precisazione «per noi» è fuorviante, perché relativizza ad un personale modo di vedere le cose l’oggettività del messaggio evangelico e conseguentemente lo destituisce della sua autorità, che nasce dall’origine divina e soprannaturale della Sacra Scrittura.
- 279. […] C’è un diritto umano fondamentale che non va dimenticato nel cammino della fraternità e della pace: è la libertà religiosa per i credenti di tutte le religioni.
La libertà religiosa per i credenti di tutte le religioni non è un diritto umano, ma un abuso privo di qualsiasi fondamento teologico ed ancor prima filosofico e logico. Questo concetto di libertà religiosa – che sostituisce la libertà dell’unica Religione, la “libertà della Religione Cattolica all’esercizio della propria missione” e la “libertà del fedele di aderire alla Chiesa Cattolica senza impedimenti dallo Stato” con la licenza di aderire a qualsiasi credo, a prescindere dalla sua credibilità e credendità (che si deve credere) – è eretico ed inconciliabile con la dottrina immutabile della Chiesa. L’essere umano non ha alcun diritto all’errore: la libertà dalla coercizione magistralmente spiegata da Leone XIII nell’Enciclica Libertas praestantissimum non fa venir meno l’obbligo morale di aderire liberamente solo al bene, poiché dalla libertà di questo atto dipende la sua moralità, ossia la sua capacità di meritare il premio o il castigo. Lo Stato può tollerare l’errore, in determinate situazioni, ma non potrà mai legittimamente porre l’errore sullo stesso piano della verità, né considerare equivalenti o ininfluenti tutte le religioni: l’indifferentismo religioso è condannato dal Magistero, così come il relativismo religioso. La Chiesa ha la missione di convertire le anime alla vera Fede, strappandole dalle tenebre dell’errore e del vizio. Teorizzare un presunto diritto all’errore e alla sua diffusione è inoltre un’offesa a Dio e un tradimento dell’autorità vicaria dei Sacri Pastori, che questa devono esercitare per lo scopo per il quale essa è stata istituita, e non per diffondere l’errore e screditare la Chiesa di Cristo. È inaudito che il Vicario di Cristo (dimenticavo: Bergoglio ha rinunciato a questo titolo!) possa riconoscere alle false religioni un qualche diritto, dal momento che la Chiesa è Sposa dell’Agnello, e sarebbe blasfemo solo pensare che Nostro Signore possa avere più spose.
- 281. «Dio non guarda con gli occhi, Dio guarda con il cuore. E l’amore di Dio è lo stesso per ogni persona, di qualunque religione sia. E se è ateo, è lo stesso amore. Quando arriverà l’ultimo giorno e ci sarà sulla terra la luce sufficiente per poter vedere le cose come sono, avremo parecchie sorprese!» (Dal film Papa Francesco. Un uomo di parola. La speranza è un messaggio universale, di Wim Wenders, 2018)
L’uso di espressioni ad effetto prive di chiarezza di significato è uno dei modi cui ricorrono i Novatori per insinuare errori senza formularli chiaramente. La proposizione «Dio non guarda con gli occhi, Dio guarda con il cuore» può essere tutt’al più una espressione commovente, ma priva di un qualche valore dottrinale. Induce anzi a credere che in Dio conoscenza e amore siano dissociati, che l’amore di Dio sia cieco e che di conseguenza l’orientamento delle nostre azioni non abbia alcun valore ai Suoi occhi.
La proposizione «l’amore di Dio è lo stesso per ogni persona, di qualunque religione sia» è gravemente equivoca ed ingannevole, più insidiosa di un’eresia palese. Essa induce a credere che la libera risposta e l’adesione dell’uomo all’amore di Dio sia irrilevante rispetto al suo destino eterno.
Nell’ordine naturale, Dio crea ogni persona con un atto di amore gratuito: l’amore di Dio si estende a tutte le sue creature. Ma ogni persona umana è creata in vista dell’adozione filiale e della gloria eterna. Dio concede ad ogni persona le grazie soprannaturali necessarie perché possa conoscerLo, amarLo, servirLo, obbedire alla Sua legge inscritta nel suo cuore e giungere ad abbracciare la Fede.
Nell’ordine soprannaturale, l’amore di Dio nei confronti di una persona è proporzionale al suo stato di Grazia, ossia alla misura in cui quest’anima corrisponde al Dono di Dio mediante la Fede e le opere, meritando il premio eterno. Nei piani della Provvidenza l’amore verso il peccatore – ivi compreso l’eretico, il pagano e l’ateo – può concretizzarsi nella concessione di maggiori grazie che tocchino il suo cuore e lo portino al pentimento e all’adesione alla vera Fede.
«Quando arriverà l’ultimo giorno e ci sarà sulla terra la luce sufficiente per poter vedere le cose come sono, avremo parecchie sorprese»: questa proposizione insinua che quello che la Chiesa insegna possa in qualche modo esser smentito nel giorno del Giudizio Universale. Tra coloro che avranno «parecchie sorprese» ci saranno in realtà quanti credono di poter adulterare la Fede e la Morale con i farneticamenti dei Modernisti e l’adesione alle ideologie perverse del secolo, e si vedrà che quello che la Chiesa ha sempre predicato e che l’anti-chiesa ostinatamente nega corrisponde esattamente a quanto Nostro Signore ha insegnato agli Apostoli.
+ Carlo Maria Viganò
[1] Pio XI, enciclica Quas primas, 11 dicembre 1925