Il cinquantesimo anniversario della fondazione dell’opera di monsignor Marcel Lefebvre, l’enciclica Fratelli tutti, il caso Becciu, la situazione del sacerdozio cattolico, l’interpretazione del Concilio Vaticano II, i rapporti della FSSPX con Roma. Sono molti i temi affrontati da don Davide Pagliarani, superiore generale della Fraternità sacerdotale san Pio X, in un’intervista pubblicata nel sito della Fraternità. Ne riporto ampi stralci.
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Che cosa rappresenta per la Tradizione il cinquantesimo anniversario della Fraternità sacerdotale san Pio X?
Prima di tutto, questo giubileo è l’occasione per ringraziare la Provvidenza per tutto ciò che ci ha concesso in questi cinquant’anni, perché se quest’opera non venisse da Dio non avrebbe resistito all’usura del tempo. È a Lui, in primo luogo, che dobbiamo attribuire tutto questo.
Ma per noi questo giubileo è anche e soprattutto un’opportunità per ravvivare il nostro ideale di fedeltà a quanto abbiamo ricevuto. In effetti, dopo tanti anni, può esserci una comprensibile stanchezza. Si tratta quindi di riaccendere il nostro fervore nella lotta per l’instaurazione del regno di Cristo Re: che regni innanzitutto nelle nostre anime, e poi intorno a noi. È su questo punto particolare che dobbiamo lavorare, sulla scia di monsignor Lefebvre.
Il 24 settembre, su sua richiesta, il corpo di monsignor Lefebvre è stato trasferito nella cripta della chiesa del seminario di Ecône. Nonostante la crisi del coronavirus, molti sacerdoti, seminaristi, religiosi e fedeli hanno partecipato alla cerimonia. Come ha vissuto quella giornata?
Questo trasferimento è stato richiesto dall’ultimo Capitolo generale, nel 2018, e sono molto contento che si sia concretizzato nel giro di due anni. Anche se spetta alla sola Chiesa canonizzare un giorno monsignor Lefebvre, penso che già meriti tutta la nostra venerazione e un luogo di sepoltura degno di un santo vescovo. In questo anno giubilare, questo gesto vuole essere l’espressione del ringraziamento di tutti i membri della Fraternità sacerdotale san Pio X verso colui che la Provvidenza ha suscitato come strumento per salvaguardare la Tradizione della Chiesa, la Fede, la Santa Messa, e per lasciarci in eredità tutti questi tesori. Il fatto di rivedere la bara del nostro fondatore dopo trent’anni, e di vedere i nostri sacerdoti portarla sulle spalle come il giorno del suo funerale, è stato particolarmente commovente. Ho visto confratelli anziani commossi fino alle lacrime.
I contatti con il Vaticano continueranno a stagnare?
Non dipende dalla FSSPX, né dal suo superiore generale. Lo stesso Vaticano ha preferito per il momento non riprendere le discussioni dottrinali che la Frtarenità aveva proposto per esporre meglio la sua posizione, e per mostrare il suo attaccamento alla fede cattolica e alla Sede di Pietro.
Ciò che stupisce è che allo stesso tempo il Vaticano ci chieda di regolarizzare innanzitutto la nostra situazione canonica: questo crea una situazione inestricabile e intrinsecamente contraddittoria, poiché la possibilità di un riconoscimento canonico della FSSPX è essa stessa costantemente soggetta a esigenze di natura dottrinale, le quali, ancora una volta, rimangono assolutamente inaccettabili per noi.
Aggiungo che, qualunque possano essere le opinioni di ciascuno in merito, è importante fare attenzione a non preoccuparsi in modo ossessivo di questi temi estremamente delicati, come a volte è successo. Dobbiamo tenere presente che, come la Provvidenza ci ha guidato e assistito fin dalla nostra fondazione, così, a suo tempo, non mancherà di darci segni sufficienti e proporzionati che ci consentiranno di prendere le decisioni che le circostanze richiederanno. Questi segni saranno tali che la loro evidenza sarà facilmente percettibile dalla Fraternità e la volontà della Provvidenza si manifesterà chiaramente.
Durante quest’anno 2020 la crisi legata al Covid-19 ha colpito anche la Chiesa e condizionato le sue attività. Cosa ne pensa?
È interessante notare che con la crisi dovuta al Covid, la gerarchia ecclesiastica ha perso un’occasione d’oro per spingere le anime verso la vera conversione e la penitenza, ciò che è notevolmente più facile quando gli uomini riscoprono, in qualche modo, la propria natura mortale. Inoltre, sarebbe stata l’occasione per ricordare all’umanità, in preda al panico e alla disperazione, che Nostro Signore è «la Risurrezione e la Vita».
La gerarchia ha preferito invece interpretare l’epidemia in chiave ecologica, in perfetta coerenza con i principi cari a Papa Francesco. In pratica, il Covid non sarebbe altro che il segno della ribellione della Terra contro un’umanità che ne avrebbe abusato con lo sfruttamento sproporzionato delle sue risorse, l’inquinamento delle acque, la distruzione delle foreste eccetera Questo è deplorevole e incompatibile con un’analisi in cui rimanesse un minimo di fede e consapevolezza di cosa sia il peccato, la cui gravità si misura in quanto offesa alla maestà divina, e non in base all’inquinamento della Terra.
Nel suo messaggio per la Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato (Giubileo della Terra, 1° settembre 2020), il Papa stesso ci insegna a quale conclusione morale deve condurci la pandemia: «L’attuale pandemia ci ha portati in qualche modo a riscoprire stili di vita più semplici e sostenibili. […] È stato possibile constatare come la Terra riesca a recuperare se le permettiamo di riposare: l’aria è diventata più pulita, le acque più trasparenti, le specie animali sono ritornate in molti luoghi dai quali erano scomparse. La pandemia ci ha condotti a un bivio. Dobbiamo sfruttare questo momento decisivo per porre termine ad attività e finalità superflue e distruttive, e coltivare valori, legami e progetti generativi». Insomma, la crisi Covid ci spinge nuovamente alla «conversione ecologica», pietra angolare dell’enciclica Laudato si’. Come se la santità coincidesse con il rispetto del pianeta.
Gli ultimi due anni sono stati marcati dal Sinodo sull’Amazzonia e dalla Dichiarazione di Abu Dhabi, a cui lei ha risposto con una dichiarazione il 24 febbraio 2019. Come vede la situazione attuale, dopo questi eventi?
Gli ultimi insegnamenti di Papa Francesco sembrano purtroppo confermare definitivamente la direzione sbagliata intrapresa all’inizio del suo pontificato. Il 3 ottobre, infatti, il Papa ha firmato l’enciclica Fratelli tutti, che deve essere il faro della seconda parte del suo pontificato, dopo che Laudato si’ è stato il punto di riferimento per la prima. Questa enciclica è un vero e proprio sviluppo della Dichiarazione di Abu Dhabi, a cui si ispira. Quest’ultima, ricordiamolo, riconosce come espressione della volontà di Dio la diversità delle religioni, tutte chiamate a costruire la pace: ecco l’esito catastrofico dell’ecumenismo, del dialogo interreligioso, della libertà religiosa e, soprattutto, della negazione della regalità universale di Cristo e dei suoi diritti intangibili.
È un lungo testo che tratta tanti argomenti diversi, ma con un’unità di base abbastanza chiara: infatti, questo lungo discorso del Papa si sviluppa in modo ben ordinato e coerente intorno a un’idea fondamentale, cioè l’illusione che ci possa essere una vera fratellanza universale anche senza riferimento, diretto o indiretto, a Cristo e alla sua Chiesa. In altre parole, attorno a una “carità” puramente naturale, una sorta di filantropia vagamente cristiana, alla luce della quale si rilegge il Vangelo. Infatti, leggendo questa enciclica, si ha l’impressione che sia la filantropia a fornirci la chiave per interpretare il Vangelo, e non il Vangelo che ci fornisce la luce per illuminare gli uomini. Questa fratellanza universale è purtroppo un’idea di origine liberale, naturalista e massonica, ed è su questa utopia apostata che è stata costruita la società contemporanea.
Vescovi come monsignor Schneider e monsignor Viganò hanno sottolineato il rapporto di causa-effetto tra il Concilio Vaticano II e l’attuale crisi. Cosa pensa di queste posizioni? Si dovrebbe «correggere» il Concilio (mons. Schneider) o «dimenticarlo» (mons. Viganò)?
Inutile dire che siamo felicissimi di queste reazioni, perché vescovi al di fuori della FSSPX, e senza alcun legame diretto con essa, arrivano finalmente, con altri mezzi e per altre vie, a conclusioni simili a quelle della Fraternità, e soprattutto a conclusioni capaci di far riflettere e illuminare tante anime confuse. Questo è molto incoraggiante.
Penso che purtroppo non si potrà “dimenticare” il Concilio sic et simpliciter, perché si tratta di un evento storico di massima rilevanza, così come la caduta dell’Impero romano o la Prima guerra mondiale. Piuttosto, dovrà essere seriamente discusso e certamente corretto in tutto ciò che contiene di incompatibile con la Fede e la Tradizione della Chiesa.
La Chiesa stessa risolverà la delicata questione dell’autorità di questo concilio atipico e bizzarro e stabilirà il modo migliore per correggerlo. Ma ciò che è certo è che un errore in quanto tale – e il Concilio ne contiene diversi – non può in alcun modo essere considerato come la voce della Chiesa ed esserle attribuito: questo già ora lo si può e lo si deve dire. Inoltre, gli eventi degli ultimi anni, a partire dal pontificato di Benedetto XVI, hanno dimostrato agli uomini di buona volontà che qualsiasi sforzo ermeneutico, tendente a interpretare «l’errore» per renderlo «una verità mal compresa» non può che fallire irreparabilmente. È un vicolo cieco in cui è inutile inoltrarsi.
Oggi la Messa tridentina viene celebrata anche fuori dalla FSSPX, da altre comunità, cosa che non esisteva quando fu fondata la Fraternità. Al contempo, ci sono anche sacerdoti che scoprono questo rito. Come vede questo sviluppo della situazione?
Notiamo che, soprattutto negli ultimi anni, un certo numero di sacerdoti, scoprendo la Messa di sempre, ha intrapreso un cammino che li ha portati via via alla scoperta della grandezza del loro sacerdozio e, più in generale, del tesoro della Tradizione. Si tratta di uno sviluppo molto interessante perché la Santa Messa realmente veicola tutto questo. Ricordo bene la testimonianza che ho ricevuto un giorno da un sacerdote che aveva scelto, non senza incontrare forti opposizioni, di celebrare solo la Messa tridentina. Mi fece notare e sottolineò come, celebrando questa Messa, fosse stato portato a riconsiderare tutto il suo sacerdozio e, di conseguenza, tutto ciò che era chiamato a fare come sacerdote: predicazione, consigli alle anime, catechismo. Questo è molto bello e possiamo solo rallegrarci per una tale rigenerazione, che ha luogo nell’anima stessa del sacerdote.
Detto questo, è imperativo mantenere la Messa tridentina per il profondo motivo che è l’espressione della nostra fede, in particolare nella divinità di Nostro Signore, nel suo Sacrificio redentore, e di conseguenza nella sua regalità universale. Si tratta di vivere la Santa Messa entrando completamente in tutti questi misteri, e più particolarmente nel mistero di carità che essa racchiude. Questo è incompatibile con una fede tiepida, incentrata sull’uomo, sdolcinata, ecumenica; oppure con un apprezzamento puramente estetico delle ricchezze del rito tridentino, come a volte purtroppo accade tra coloro che sarebbero tentati di dissociare l’uso del rito tridentino dalla necessità di viverlo realmente, di penetrarlo, e soprattutto di lasciarsi assimilare da Nostro Signore e dalla sua carità.
In definitiva, diciamolo: la Messa stessa è quasi resa sterile se non ci porta a vivere in Cristo: per Ipsum, et cum Ipso, et in Ipso. Serve a poco se non produce in noi il desiderio di imitare Nostro Signore attraverso il dono di noi stessi. Generosità che si rivela impossibile in un contesto intriso dello spirito del mondo, o sempre incline al compromesso con esso. La fecondità della Messa è tanto più grande quanto più un ardente spirito di sacrificio dispone le anime a donarsi generosamente al Cristo.
Di recente i media hanno dato notevole risonanza allo scandalo legato al cardinale Becciu. Che cosa ne pensa?
Inutile dire che non spetta alla FSSPX definire come si ripartiscano le responsabilità in questa vicenda, o indagare su di essa. Detto questo, come figli della Chiesa, non possiamo che deplorare questo scandalo che, ahimè, la colpisce e la umilia. Questo inevitabilmente ci rattrista, perché la santità della Chiesa viene offuscata. Tuttavia, dobbiamo ricordare che, purtroppo, nella Chiesa esisteranno sempre scandali di questo tipo, e che Dio li permette misteriosamente nella sua Sapienza, per la santificazione dei giusti. Sarebbe quindi fuori luogo scandalizzarsi in modo farisaico, alla maniera dei protestanti.
Inoltre, penso che sia importante notare l’attenzione insolita che i media secolari prestano alla Chiesa su questo argomento. Questa attenzione supera quella che prestano ad altri eventi della vita della Chiesa, o quella che gli imperatori del Medioevo potevano dedicare ai Papi del loro tempo. Se si legge tra le righe dei tanti articoli di giornale dedicati a questo tema, si riconosce un certo compiacimento, una malsana soddisfazione. Sembra che il mondo laico non possa sprecare un’occasione così ghiotta per sputare sul volto della Sposa di Cristo, verso la quale aveva tuttavia giurato indifferenza. Questo dovrebbe farci riflettere, e soprattutto dovrebbe far riflettere tutti coloro che vivono nell’illusione che oggi la Chiesa possa vivere in pace di fronte a un mondo divenuto effettivamente laico e teoricamente rispettoso di tutti. Non è così. Dietro la retorica liberale c’è sempre il desiderio di vedere la Chiesa non purificata, ma screditata e annientata. Non c’è accordo possibile con questo mondo.
Come può la FSSPX fornire un rimedio, nei limiti dei suoi mezzi, alla crisi attuale?
Per prima cosa, sul piano dottrinale, la FSSPX è consapevole di non poter variare nelle sue posizioni. Che ci piaccia o no, queste sono un punto di riferimento per tutti coloro che nella Chiesa cercano la Tradizione. È quindi in uno spirito di servizio agli altri e alla Chiesa stessa, che dobbiamo tenere la lanterna fuori dal moggio, senza nasconderla.
Sul piano pratico, i membri della Fraternità devono dimostrare che il loro attaccamento al Santo Sacrificio della Messa è un attaccamento a un mistero di carità che deve riflettersi su tutta la Chiesa. Ciò significa che una Messa veramente vissuta, che ci permetta di penetrare nel mistero della Croce, è necessariamente apostolica e ci spingerà sempre a cercare il bene del nostro prossimo, anche del più lontano, senza distinzione. È un atteggiamento fondamentale, una disposizione morale di benevolenza che deve permeare tutte le nostre azioni.
L’obiettivo della Fraternità è il sacerdozio cattolico e tutto ciò che lo riguarda. Per questo lei si preoccupa principalmente delle vocazioni, della santificazione dei sacerdoti e della fedeltà alla Messa di sempre. Quali sono le sue attuali preoccupazioni?
Sono esattamente quelle elencate. Sono convinto che finché riusciremo a mantenere questi tre obiettivi con tutto il cuore, le grazie e la luce di cui abbiamo bisogno per il nostro futuro e per le decisioni che dovremo prendere, ci saranno date al momento opportuno.
Mantenendo il sacerdozio, manteniamo ciò che la FSSPX e la Chiesa hanno massimamente a cuore. Ogni vocazione, infatti, ha un valore infinito. Una vocazione è innegabilmente la grazia più preziosa che Dio possa dare a un’anima e alla sua Chiesa. Pertanto, un seminario è il luogo più sacro che si possa immaginare o trovare sulla terra. Lo Spirito Santo continua ad operare lì come nel Cenacolo, per trasformare le anime dei candidati al sacerdozio e renderli apostoli. Dobbiamo continuare a impiegare tutti i nostri sforzi e investire in quest’opera le nostre migliori energie morali e umane. Tutto ciò che costruiamo sul sacerdozio di Nostro Signore e per perpetuare il sacerdozio di Nostro Signore rimane per l’eternità.
Che incoraggiamento dà ai sacerdoti e ai fedeli legati alla Tradizione?
Vorrei far loro notare che la Provvidenza ha sempre guidato la FSSPX e l’ha sempre protetta in mezzo a mille difficoltà. Questa stessa Provvidenza, sempre fedele alle sue promesse, sempre vigile e generosa, non può abbandonarci all’avvenire, perché cesserebbe di essere quello che è – il che è impossibile, perché Dio rimane sempre lo stesso.
In altre parole, dopo cinquant’anni di esistenza della FSSPX, la nostra fiducia è ancor più radicata negli innumerevoli segni di questa benevolenza manifestatisi in tutti questi anni.
Ma preferisco lasciare l’ultima parola a Nostro Signore stesso: «Non temere, piccolo gregge, perché è piaciuto al Padre vostro di dare a voi il Regno» (Lc 12,32).
Menzingen, 11 ottobre 2020
Festa della Divina Maternità della Beata Vergine Maria
Fonte: fsspx.news
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