Ricorrono in questo 2020 i cinquant’anni della legge sul divorzio. Nessuno ne parla più, ma la sua approvazione ha segnato un cambiamento epocale nella mentalità degli italiani, di cui oggi vediamo tutte le amare conseguenze. E a rimetterci sono soprattutto i bambini. In proposito, un’analisi di Federico Catani.
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Il 2020 ha segnato il cinquantesimo anniversario dell’approvazione della legge 898 del 1° dicembre 1970, quella, per intenderci, che introdusse il divorzio nell’ordinamento giuridico italiano e nota anche come Fortuna-Baslini, dal nome dei due politici promotori. Si tratta di una triste ricorrenza, che però è doveroso ricordare.
Cinque decenni dopo, infatti, nessuno si pone più il problema del divorzio e dell’indissolubilità matrimoniale. Nessuno, anche in casa cattolica, si sognerebbe di contestare la legge del 1970. Tutt’al più qualcuno ha criticato le riforme ad essa apportate, come ad esempio il cosiddetto divorzio “breve” o “facile”. Ma anche in questo caso le voci di dissenso sono state pochissime e molto deboli. Del resto, se persino molti uomini di Chiesa, sin nei più alti vertici, da alcuni anni hanno iniziato a parlare di comunione per i divorziati risposati, cosa ci si può aspettare dalla classe politica e dall’opinione pubblica?
Inutile girarci attorno: l’introduzione del divorzio è stata sicuramente la conseguenza di un cambiamento valoriale all’interno della società italiana soprattutto a partire dal secondo dopoguerra e in particolare negli anni Sessanta. Però a sua volta la legge 898 ha contribuito ad avviare una vera e propria rivoluzione culturale, portando una nuova mentalità in cui oggi tutti siamo immersi sin sopra i capelli. L’Italia si è così adeguata a quella cultura divorzista che ha costruito un sistema che oppone i due sessi esaltando le ragioni egoistiche di ciascuno. La famiglia è stata subordinata all’egoismo degli individui. Il desiderio è diventato diritto e le responsabilità vengono spesso ignorate.
Un cambiamento di mentalità
Lo aveva capito molto bene il giornalista Piero Ottone, già direttore del Corriere della sera, il quale sei anni prima dell’approvazione della legge Fortuna-Baslini scriveva: “Il divorzio ha il vantaggio [sic!] di riparare l’errore di un matrimonio sbagliato e permette di ricominciare. D’accordo. Ma presenta anche uno svantaggio che è, a mio avviso, ancora maggiore. Esso uccide, o riduce fortemente, la volontà dei coniugi di compiere ogni possibile sforzo per salvare un matrimonio pericolante. […] La possibilità di uscire da una stanza in cui si sta scomodi genera un potente, quasi irresistibile desiderio di uscire, senza tentare di rendere quella stanza, quanto più possibile, comoda e abitabile. E ogni indebolimento della volontà dei coniugi è gravissimo, anzi fatale, perché, nei matrimoni davvero pericolanti, solo un grande sforzo da parte di entrambi, senza indecisioni e incertezze, può salvarli. Ne consegue che l’istituto del divorzio, anche se ha il vantaggio di sanare di tanto in tanto le situazioni insostenibili, ha il gravissimo difetto di indebolire la fibra morale dei cittadini. Esso fa di loro, uomini e donne, persone che fuggono davanti alle difficoltà, e non persone che le affrontano con coraggio. Il danno si ripercuote su tutta la vita sociale”. Ottone, da laico, aveva ragione. La possibilità di sciogliere il vincolo matrimoniale, che era stata concepita come una tutela in determinate situazioni di emergenza, si è ben presto tramutata in una sorta di “diritto inalienabile della persona”, la quale ha così acquisito il pieno diritto di far prevalere la logica egoistica del piacere personale rispetto a qualsivoglia esigenza dettata da principi morali o sociali. E perché la gente divorzia? I motivi sono indubbiamente molteplici e di varia natura, ma quel che forse incide maggiormente è proprio il progressivo venir meno della predisposizione al sacrificio.
Le amare conseguenze
Gli effetti di cinquant’anni di divorzio legale sono sotto i nostri occhi. I matrimoni ad esempio sono diminuiti drasticamente. Nell’attuale società sempre più spesso i genitori hanno difficoltà a presentarsi come modelli di vita e a trasmettere una visione valoriale densa di significati per i propri figli. Nei casi di separazione o divorzio, poi, i figli sono ancor più sacrificati ed esposti ad una costante e pervasiva opera di influenza sul loro sviluppo. Ma a pagare sono alla fine anche gli adulti. Chi non è a conoscenza di casi di depressione (ma anche di alcolismo e persino di suicidio) causati dal divorzio? Chi non ha mai sentito parlare almeno una volta dei problemi dei padri separati, sulle cui spalle peraltro spesso ricadono quasi interamente i costi dello scioglimento matrimoniale? Inoltre, chi frequenta il mondo scolastico sa benissimo che i consigli di classe devono evidenziare e trattare con riguardo i Bisogni Educativi Speciali (BES): ebbene, si tratta quasi sempre di ragazzi di famiglie disgregate.
Di fronte a questo panorama desolante, risuonano quanto mai profetiche le parole di Amintore Fanfani che, battendosi per l’abrogazione della legge 898 nel referendum del 1974, ebbe a dichiarare al Corriere della sera: “Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto. E dopo ancora, il matrimonio tra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva!”. Oggi, che dobbiamo batterci per fermare un progetto di legge (il ddl Zan) che mira a punire e imbavagliare chiunque osi sollevare obiezioni sulla condotta omosessuale e sull’ideologia gender in generale, capiamo meglio quanto sciagurata sia stata l’introduzione del divorzio. Il vaso di Pandora è stato aperto proprio cinquant’anni fa e richiuderlo non sarà certo facile.
Federico Catani
Fonte: Osservatorio internazionale cardinale Van Thuân sulla Dottrina Sociale della Chiesa
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