Così la nuova aristocrazia si impossessa del potere, svuotando la politica e annullando la democrazia
Cari amici di Duc in altum, vi propongo il mio più recente intervento per la rubrica La trave e la pagliuzza in Radio Roma Libera. Si parla della nuova aristocrazia tecnico-scientifica.
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Le vicende politiche e istituzionali legate al Covid hanno portato alla ribalta, in Italia, il Comitato tecnico scientifico, istituito all’inizio del febbraio 2020 con decreto del capo dipartimento della Protezione civile per fornire “consulenza e supporto alle attività di coordinamento per il superamento dell’emergenza epidemiologica dovuta alla diffusione del coronavirus”.
Composto da “esperti e qualificati rappresentati degli enti e amministrazioni dello Stato”, il Cts ha man mano assunto un ruolo di primissimo piano e, di fatto, le sue decisioni sono state alla base dell’intera strategia adottata dal governo per contrastare la diffusione del virus.
La preminenza assunta dal Cts è anche figlia di una debolezza della politica. Quando l’esecutivo si affida agli “esperti” o, se si preferisce, ai “tecnici”, significa che la politica avverte di non avere in sé le risorse necessarie per affrontare adeguatamente un problema. Certo, il contributo del tecnico, a fronte di una questione specifica, è importante, e l’esecutivo dimostra senso di responsabilità nel tenerne conto. Ma quando in concreto la politica si spoglia delle sue prerogative per delegare la capacità decisionale a un apparato tecnico quella che emerge è una profonda crisi della politica: un’ammissione di inabilità.
L’avvento del Cts e il suo crescente protagonismo possono essere considerati sintomi, a livello nazionale, di un ben più vasto e articolato fenomeno che non riguarda soltanto il nostro Paese ma tutte le democrazie di stampo liberale: l’irruzione del principio di competenza tecnico-scientifica come bussola per il sistema decisionale politico e fondamento dell’architettura del potere.
È questo il fenomeno del quale si occupa Lorenzo Castellani, docente di Storia delle istituzioni politiche alla Luiss Guido Carli di Roma, nel libro L’ingranaggio del potere (Liberilibri, 250 pagine, 17 euro), un saggio che vuole appunto porre l’attenzione sul sempre più pervasivo potere tecnocratico.
Castellani evita accuratamente di inoltrarsi nell’analisi di presunti complotti orditi dalle élites ai danni del popolo. Si tratta invece di vedere come le democrazie liberali si sono trasformate in sistemi all’interno dei quali è aumentato enormemente lo spazio della tecnocrazia, fondato sul principio della competenza tecnico-scientifica, a danno della democrazia, fondata sul principio della rappresentanza.
Il fenomeno è rimasto a lungo invisibile, o quasi, perché “l’elemento tecnocratico si è abilmente nascosto dietro l’espansione della partecipazione politica e dei diritti individuali e sociali”. Così la promessa democratica, quella cioè di garantire l’autodeterminazione dei cittadini, è rimasta al centro della scena. Ma, dietro le quinte, è andato crescendo un “bisogno di gerarchia” che ha di fatto segnato lo sviluppo della reale architettura del potere. Insomma: mentre alla superficie il problema su cui dibattere sembrava essere, more solito, la partecipazione e la rappresentanza, nelle profondità dei meccanismi del potere andava ripresentandosi, in forme nuove, niente meno che il vecchio principio aristocratico.
Ecco perché, scrive Castellani, se vogliamo fotografare la situazione per quella che è, oggi dobbiamo anteporre alla parola democrazia il prefisso “tecno”. Significa appunto sottolineare che, accanto al principio di rappresentanza, si è sviluppato quello tecnocratico, di matrice chiaramente aristocratica.
Parlare oggi di aristocrazia sembra del tutto anacronistico, ma nei fatti le tecno-democrazie mostrano, nelle profondità dei loro meccanismi, l’applicazione di principi aristocratici. Se una volta l’appartenenza all’élite nasceva dalla nobiltà di sangue o da privilegi concessi dal sovrano, ai nostri giorni la legittimazione gerarchica poggia sulla competenza tecnico-scientifica.
Ora, che la politica possa e, in alcune circostanze, debba appoggiarsi alla competenza tecno-scientifica è fuori discussione. Il problema non è questo. Quella che suscita preoccupazione è “la falsa pretesa che la politica possa essere del tutto neutralizzata, ridotta a mera tecnica, a pura procedura, a scienza economica e statistica, e che si possa sfruttare questa convinzione illusoria per costruire un dispotismo falsamente illuminato”.
Sarebbe errato lasciarsi prendere dall’idea di contrappore la competenza tecnica alla politica. Anche la politica richiede competenza. La questione è l’insinuarsi del principio di competenza tecnico-scientifica nell’ingranaggio del potere fino a svuotare di significato la competenza politica. Un fenomeno che conduce alla “centralizzazione in istituzioni sempre più lontane, artificiali, incontrollabili dai cittadini”, con le politiche nazionali, specie economiche, vincolate a “leggi internazionali di fatto immodificabili”.
La nuova aristocrazia in veste di tecno-scienza sta travolgendo l’essenza della democrazia: niente più partecipazione, niente più potere dal basso, niente più governo locale, niente più patto tra la comunità e i suoi rappresentanti. Al loro posto ecco il potere senza volto e senza precisa collocazione, incontrollabile. Un potere che, in nome della competenza tecnico-scientifica, pretende di estendersi su tutto e rispetto al quale ci si può soltanto sottomettere. Un potere dispotico, come è sempre, in misura più o meno rilevante, quello delle aristocrazie. E anche subdolo, perché si fa scudo dell’idea di efficienza per evitare la discussione politica, sottrarre sovranità agli Stati, saltare ogni mediazione locale e imporre la propria volontà.
Scientismo e neopositivismo fanno da substrato culturale delle pretese avanzate dalla nuova aristocrazia, questo “ordine di chierici” che, in quanto casta, è caratterizzato dal conformismo ideologico e dall’incapacità di cogliere gli umori del resto della società.
La nuova aristocrazia, sganciata da ogni tipo di rapporto con la realtà, vive nell’illusione meccanicista di poter imporre dall’alto ricette identiche a situazioni diverse, e ciò avviene per lo più attraverso le istituzioni sovranazionali e globali. Da parte dei tecnocrati emerge così un’intolleranza che si trasforma spesso in accanimento. La ricetta stabilita dall’alto deve per forza andar bene, la medicina va fatta ingurgitare a ogni costo.
Sarà possibile un’inversione di tendenza? Una speranza è forse legata alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione perché, mettendo in rapporto le persone, esse possono fare da barriera all’estendersi delle pretese aristocratiche, alimentando sia il desiderio di decentramento sia un pensiero sganciato dalle narrative imposte dall’aristocrazia stessa. Ecco perché l’aristocrazia cerca in ogni modo di avere il controllo anche di tali tecnologie. Una battaglia è in corso. Rendersi conto del fatto che “dietro ogni tentativo di annullare la politica come processo di discussione si nasconde un pericolo dispotico” è già un passo importante a difesa delle nostre democrazie.
Aldo Maria Valli