Anche se il prossimo 20 gennaio sarà effettivamente Joe Biden a prestare giuramento come nuovo presidente degli Stati Uniti, le vicende degli ultimi mesi hanno dimostrato che i cittadini americani non sono mai stati così divisi. La spaccatura è netta e gli appartenenti alle due parti hanno preso strade che appaiono del tutto inconciliabili. Ecco perché una parola che sembrava sparita dal vocabolario americano è tornata ultimamente alla ribalta: secessione.
Occupandosi della questione su Crisis Magazine Eric Sammons scrive che nella mente della maggior parte degli americani la secessione evoca immagini della guerra civile, della schiavitù e del razzismo. Rappresenta l’ora più buia e sanguinosa nella storia della nazione, un’epoca in cui le famiglie erano divise e il fratello combatteva contro il fratello. Proprio perché la parola è legata a una guerra lunga, sanguinosa e fratricida, la sola idea di secessione per lungo tempo ha suscitato repulsione. Inoltre, il mito ideologico secondo cui gli Stati Uniti hanno la missione di estendere libertà e democrazia a tutto il mondo subirebbe un colpo mortale da un processo di secessione.
Tuttavia, ora la gente ne parla, e la possibilità della secessione non sembra più un tabù. La causa prossima sta nei brogli elettorali che secondo molti americani hanno segnato l’ultima elezione presidenziale, tanto che un gran numero di cittadini ritiene che il candidato che probabilmente presterà giuramento il 20 gennaio 2021 è arrivato alla Casa Bianca con la frode. Ma la vicenda elettorale non è che il frutto di un sistema politico che, afferma Sammons, è ormai rotto. Non a caso, un numero crescente di americani mette in dubbio che sia il caso di continuare la farsa di un paese unito.
Ma la secessione è tecnicamente possibile?
Il giudice Antonin Scalia (1936 – 2016), avvocato e magistrato statunitense, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti (su nomina del presidente Reagan) dal 1986 fino al momento della morte, diceva che non esiste un diritto alla secessione e che la questione è stata risolta dall’esito della guerra civile. Ma, osserva Sammons, con tutto il rispetto per il giudice Scalia, è evidente che quando una comunità decide di separarsi non riconosce più le leggi della nazione dalla quale si stacca. Chiedere se la secessione sia legalmente possibile, quindi, non ha senso, perché chi si separa non riconosce più le leggi del paese dal quale si allontana.
Ma, ponendo che sia legale, la secessione è anche morale? Poiché molti americani ritengono che una secessione sfocerebbe automaticamente in un conflitto, pensano che non sia morale farvi ricorso, perché si causerebbe troppa violenza e si metterebbero a repentaglio troppe vite. Tuttavia, fa notare Sammons, la storia recente dimostra che ci possono anche essere successioni incruente, com’è avvenuto all’inizio degli anni Novanta, quando quindici repubbliche si separarono dall’Unione Sovietica senza spargimento di sangue. E, prima ancora, si può ricordare il caso di Singapore, che si separò dalla Malesia senza violenze.
Stabilito, dunque, che la secessione può essere pacifica, come può essere vista dai cattolici?
I benefici di una secessione americana, osserva Sammons, per i cattolici includerebbero certamente alcuni significativi benefici. Una secessione operata da chi non si sente più rappresentato da un governo troppo sbilanciato a sinistra fornirebbe certamente migliori prospettive a proposito di due questioni che per i cattolici sono di primaria importanza: diritto alla vita e difesa della famiglia. Per esempio, se uno Stato come il Texas fosse indipendente, nulla gli impedirebbe di vietare l’aborto e di dichiarare il matrimonio omosessuale fuorilegge.
La secessione, in questo modo, porterebbe a un minor conflitto culturale e politico. Una volta verificato che la visione del mondo prevalente in un certo Stato è incompatibile con quella di un altro Stato, perché pretendere che continui a esserci un’unità che, a quel punto, è soltanto formale? Una separazione pacifica consentirebbe a tutti di vivere e governare secondo la propria visione. Sempre meglio, scrive Sammons, di ciò che vediamo oggi, con un’oligarchia che pretende di imporre a tutti la propria ideologia.
Nel corso del Novecento, osserva Sammons, si è avuto un grande rafforzamento del potere federale a scapito dell’autonomia dei singoli Stati. Tutti gli americani, dal contadino dell’Iowa all’attore di Hollywood, devono conformarsi a ciò che le élite e le loro armate burocratiche di stanza a Washington dicono loro di fare. Ciò crea un sistema intrinsecamente ingiusto e contrario al principio cattolico di sussidiarietà. Il pensiero politico cattolico riconosce che chi si trova più vicino a una situazione spesso è meglio equipaggiato per gestirla. Una secessione di alcuni Stati nazione dagli enormi Stati Uniti comporterebbe un significativo impulso alla sussidiarietà, aumentando la probabilità di leggi più giuste in molti di quei nuovi Stati nazione.
Un problema pratico riguarderebbe il modo di dividere la nazione. Anche se ormai è comune parlare di Stati “rossi” e Stati “blu”, la realtà è che la vera divisione è più tra l’America rurale e l’America urbana. Quindi, come procedere?
Probabilmente, dice Sammons, un processo di secessione dovrebbe mettere nel conto il trasferimento di parti della popolazione, così da riunirsi con chi ha la stessa visione del mondo.
Poi c’è la questione della politica estera. Gli oppositori della secessione ritengono che un’America ufficialmente divisa farebbe venir meno l’egemonia americana nel mondo ed esporrebbe il paese al rischio di essere invaso dalla Cina o dalla Russia.
A questa obiezione Sammons risponde che non c’è motivo per cui un’America divisa potrebbe restare di fatto una confederazione quando si tratta della difesa militare, così che un attacco a un qualsiasi nuovo Stato nazione americano potrebbe essere considerato un attacco a tutti gli Stati.
Senza contare che i decenni in cui gli Usa sono stati i poliziotti del mondo, osserva Sammons, hanno comportato per il paese moltissime conseguenze negative. Dunque, se un’America divisa fosse meno coinvolta in missioni estere non sarebbe necessariamente un male. È chiaro poi che la maggior parte dei conflitti in cui si sono impegnati gli Stati Uniti è stata contraria al principio cattolico della guerra giusta. Dunque, anche dal punto di vista cattolico non ci sarebbero grandi problemi. Non dimentichiamo che i “valori americani” che gli Usa esportano attraverso la loro potenza militare e la loro influenza culturale sono sempre più antitetici alla morale cattolica.
Insomma, una secessione americana è realistica? O è solo il pio desiderio di pochi individui illusi?
Non c’è dubbio, conclude Sammons, che un movimento di secessione dovrebbe affrontare molti ostacoli difficili da superare. “Tuttavia, mentre il nostro Paese si allontana sempre più dai suoi storici valori giudaico-cristiani, i cattolici dovrebbero pensare seriamente a come superare pacificamente questi ostacoli se vogliono preservare la libertà religiosa e la giustizia almeno in alcuni luoghi di questo continente”.
Una volta stabilito che la secessione sia inevitabile, “più a lungo viene rimandata, più è probabile che il conflitto violento sarà l’unica opzione”. Quando l’alternativa è usare la forza dello Stato per tenere insieme le persone che vogliono andare per strade diverse, “la secessione potrebbe essere il mezzo più pacifico per andare avanti”.
A.M.V.
Fonte: Eric Sammons, The Catholic Case for Secession?