Cari amici di Duc in altum, il 18 novembre 2020 si è tenuto il convegno on-line Poveri tutti. All’economia serve la conversione non l’utopia. Condotto da Federico Catani, ha ospitato le relazioni di Riccardo Cascioli, Stefano Fontana, Ettore Gotti Tedeschi e Julio Loredo. Propongo qui, dal sito dell’Osservatorio internazionale cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa, il testo dell’intervento di Stefano Fontana.
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Due visioni opposte
Ci sono varie dottrine della fraternità e della fratellanza. Però, soprattutto a partire dalla modernità, tali dottrine si sono ridotte a due, rivali tra loro e che potremmo chiamare la dottrina cattolica e la dottrina mondana della fraternità. La prima è conforme al Logos, la seconda è conforme alla Gnosi. Logos e Gnosi continuano anche in questo campo la loro lotta.
La concezione che ho chiamato cattolica della fraternità, e che assume in sé anche la visione della retta ragione, colloca la fraternità su tre piani, in relazione ordinata tra loro. A un primo piano, che possiamo chiamare ontologico, la fraternità ha una dimensione naturale relativa alla reale presenza in tutti gli uomini della medesima natura umana, come co-principio del loro essere. L’ordine naturale è fondato sui principi di analogia e partecipazione: tutti gli uomini sono collocati in questo ordine allo stesso livello, quindi godono di una serie di caratteri essenziali o specifici comuni a tutti. Posiamo parlare di una fraternità nell’essere. Da qui nascono una grammatica naturale universale e una legge morale naturale universale. Gli uomini vedono lo stesso mondo, hanno gli stessi fini e possono comunicare tra loro. A questa realtà ontologica ci si riferisce quando si parla di “genere umano”.
A un secondo livello la fraternità ha una dimensione morale. In questo senso si può parlare di una fratellanza “nel bene”. Sul piano ontologico rimaniamo tutti fratelli, ma in quello pratico ci contrapponiamo mediante le nostre azioni buone o malvage. La fraternità c’è solo “nel bene”, con il male non si può “fraternizzare”. La fraternità politica – o “amicizia civica” come la chiamava Aristotele – è un capitolo di questa fraternità morale. Essa concerne la condivisione del bene comune e fonda il corretto concetto di cittadinanza. La comune cittadinanza si fonda sulla fraternità nel bene e non viceversa. Pensare ad una cittadinanza universale indipendente dal bene conosciuto e perseguito porta fuori strada.
A un terzo livello la fraternità assume una dimensione soprannaturale e salvifica. Si tratta della fratellanza in Gesù Cristo che ci fa vivere in un unico Corpo e che ci raccoglie come la chioccia raccoglie la sua covata. È la fraternità resa possibile dalla partecipazione alla grazia divina.
Questi tre livelli non sono uno di seguito all’altro, come i gradini di un scala. La fraternità naturale e quella morale dipendono da Cristo Creatore, la fraternità soprannaturale da Cristo Redentore, quindi alla fine costituiscono un sistema unico. Senza Cristo Salvatore, quindi senza la Chiesa e i sacramenti, si finisce per dimenticare la fraternità ontologica e per indebolire o stravolgere la fraternità morale. Senza la presenza di Dio nella vita pubblica non è possibile una vera fraternità civica. Il piano naturale della fraternità ontologica e morale non riesce ad essere se stesso senza la fraternità soprannaturale. I fratelli sono tali perché hanno uno stesso Padre, non c’è fraternità senza Padre o con Padri diversi.
Nella modernità è però nata una versione rivale di fratellanza. I nomi da ricordare sono tanti: Campanella, Rousseau, i teorici della democrazia totalitaria all’epoca della Rivoluzione francese, Babeuf, anarchici come Bakuinin e Cafiero, la religione dell’umanità di Comte, Fourier e i suoi falansteri, la fraternità di classe del comunismo che sarebbe diventata fraternità universale dopo la rivoluzione, la fratellanza della massoneria. E non dimentichiamo Kant e il suo progetto per una pace universale. Cosa accomuna tra loro queste varie visioni della fratellanza? La loro artificialità, ossia la mancanza di presupposti che, come si sa, è la caratteristica di fondo del pensiero moderno. I tre livelli visti nella visione precedente – naturale, morale e soprannaturale – sono presupposti della fratellanza, ma appunto la visione moderna rifiuta ogni presupposto. Da qui alcune caratteristiche incompatibili con la visione cattolica: il suo carattere utopico perché cosa sarà è più importante di cosa è; il suo carattere violento perché innaturale e ogni lesione dell’ordine naturale è violenza, il suo carattere rivoluzionario per il suo rifiuto di ciò che è in nome di ciò che si vuole che sia; il suo carattere dispotico perché solo un forte potere centrale artificiale è in grado di imporre l’artificio; il suo carattere di massa come somma di individui disincarnati; e infine il suo carattere ateo nella forma di una nuova religione civile globale sincretistica e immanentistica.
L’enciclica Fratelli tutti e l’inclusione liquida
La relazione tra le due visioni rivali attraversa tutta la storia della modernità ed è passata per tre fasi. La prima è stata di chiara contrapposizione. Le encicliche Humanun genus e Quod apostolici muneris di Leone XIII ne sono un valido esempio. La seconda è stata di conciliazione e si è svolta nel post-concilio: la visione personalista della dignità umana, il senso di colpa per non aver compreso le esigenze moderne dell’individuo, l’accondiscendenza ai nuovi fenomeni sociali secondo il principio dei “segni dei tempi”, un dialogo inter-religioso affrettatamente impostato hanno fatto sì che la concezione cattolica della fraternità abbia cercato di conciliarsi con quella mondana, nel mentre la Chiesa cercava di conciliarsi col mondo. In questo secondo lungo periodo non sono mancate le attestazioni del magistero sulla rivalità tra le due visioni, ma nel complesso la Chiesa sembra essere scivolata con Fratelli tutti verso una conciliazione. Nel nostro tempo, infine, siamo in una fase che potremmo chiamare di inclusione della fraternità cattolica dentro la fraternità mondana. Questo mi sembra un tratto caratteristico dell’enciclica Fratelli tutti.
L’enciclica parla di una fraternità che possiamo considerare esistenziale, una comune presenza nel tempo. Non accenna ai fondamenti di questa fraternità né ai suoi fini ultimi, se non in alcuni paragrafi finali. Quando si riferisce a Dio Padre ne parla in modo generico, come il Dio di tutte le religioni, quindi un Dio non unico né personale. La fraternità è vista come una con-vivenza in cammino di soggetti nomadi, “viandanti fatti della stessa carne umana”, “figli di questa stessa terra” che devono imparare a dialogare. La Chiesa cattolica è un soggetto tra i tanti presenti in questa communitas globale e la religione di Gesù Cristo è una delle tante spiritualità utili per questo anonimo “guardare avanti”, questo “sognare insieme”, senza poter pretendere una qualche funzione fondativa della fraternità. Possiamo anche dire che la fraternità, secondo la Fratelli tutti, è la fraternità mondana in cui la fraternità cattolica deve inserirsi per essere veramente una fraternità umana. Alla fraternità non si arriva, dalla fraternità si parte. Il mondo è sempre stato fraterno, anche se solo oggi questo aspetto risulta evidente data l’interconnessione e il coronavirus. Il male coincide con i danni che potranno derivare all’umanità se non saprà dialogare, danni mondani, come le guerre o il degrado ambientale: il male è solo umano, la fraternità è solo umana, la via della salvezza è il dialogo umano. Non è il peccato a rompere la fraternità, ma è semmai la fraternità rotta dalla mancanza di dialogo che produce il peccato, considerato ora come peccato sociale, non come offesa a Dio ma come rifiuto del con-vivere nel tempo su questa terra. Nella Fratelli tutti la svolta antropologica della teologia risulta piuttosto evidente: la Chiesa deve lavorare per favorire rapporti fraterni dentro un dialogo universalistico, paritetico, senza verticalismi che sarebbero come dei muri. Si tratta di una fraternità secolare e post-religiosa. Ad essa la fede cattolica non ha più nulla da dire di proprio, perché essa – la fraternità umana – non ha più nulla di specifico da chiedere alla Chiesa. Anzi, la fede cattolica può essere in ritardo rispetto a quanto altre agenzie sociali e culturali stanno già facendo per la fraternità globale. Si può dire che il Covid abbia fatto più della Chiesa per la fratellanza.
La fraternità cattolica e le religioni
Al paragrafo numero 5 la Fratelli tutti dice che Dio «ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro». Ma questo Dio è il Dio di Abu Dhabi, non è il Dio della rivelazione cristiana professato e confessato dalla Chiesa cattolica. L’enciclica invita ad una fratellanza interreligiosa, nella quale la fede cattolica è parte di una comunità universale esistenziale che cammina nel tempo come una delle tante religioni finalizzare ad animare il percorso. Tutte le religioni sono accessorie rispetto ad una comunità fraterna che è sostanziale per virtù propria.
Torniamo ai tre livelli della fraternità cattolica visti in precedenza. Il primo livello era quello ontologico. Il dialogo fraterno tra le religioni proposto dalla Fratelli tutti non riesce a garantire questa fraternità ontologica. Per esempio nell’Islam non esiste una dimensione ontologica e naturale e gli uomini non partecipano della stessa sostanzialità, dato che si dividono antropologicamente in musulmani, donne e schiavi. L’umanità secondo l’Islam è divisa e per niente fraterna dal unto di vista ontologico. Il secondo livello era quello morale. Continuando a fare l’esempio dell’Islam, in questa religione non esiste una morale naturale o razionale ma esistono solo i decreti inappellabili e insondabili di Dio. Su cosa allora fondare un dialogo fraterno e non sulla comune realtà ontologica, né sul diritto naturale e nemmeno sulla ragione naturale? C’è poi il terzo livello, quello trascendente e salvifico. A meno di considerare questo livello come proprio di tutte le religioni, anche su questo livello, più ancora che negli altri, non può esistere una fratellanza universale che sarebbe di parte.
Stefano Fontana
Fonte: Osservatorio internazionale cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa
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Aldo Maria Valli, Semel in anno
(Cronache dal futuro, Interviste pazze, Cattolici su Marte)
“Semel in anno licet insanire” dicevano gli antichi. “Una volta all’anno è lecito impazzire”. Quando le cose si mettono male, una risata può essere terapeutica. E può anche servire per dire la verità a fronte di un dispotismo soffocante. Vecchia storia: quando il conformismo dilaga, solo il giullare, attraverso la satira, riesce a proporre squarci di verità. E allora “insanire” può diventare addirittura dovere civile, se vogliamo usare parole grosse. Come diceva Victor Hugo, “è dall’ironia che comincia la libertà”. L’avvertenza è quella solita, nota ai frequentatori del mio blog Duc in altum: i contributi qui raccolti contengono ironia e sarcasmo. In caso di accertata allergia all’ironia e al sarcasmo, astenersi dalla lettura. Se siete allergici e non vi astenete, peggio per voi.
Semel in anno lo trovi qui, qui e qui