Autolesionismo e suicidio, boom tra giovanissimi: dati choc da Oms e Istat
In Italia il suicidio è la seconda causa di morte tra i 15 e i 24 anni. La notizia arriva dall’Oms, che ha comunicato dati drammatici sul nostro Paese. Uno scenario preoccupante, che non può passare sotto silenzio, dal momento che vede correlata la parola “suicidio” a un’età in cui la vita dovrebbe germogliare prepotentemente. Ma non è tutto, purtroppo: anche l’autolesionismo conosce una triste impennata tra i giovanissimi, complice l’avvento del Covid-19.
I colpi della pandemia non scuotono solamente la vita economica di singoli e nazioni, ma anche la psiche degli individui. I dati Oms mettono ben in luce quest’aspetto: non solo il suicidio è al secondo posto tra le cause di morte tra i 15 e i 29 anni, ma in particolare l’Italia registra un’impennata del fenomeno tra i 15 e i 24 anni. All’interno di questa fascia d’età, il suicidio è la seconda causa di morte nel nostro Paese; d’altronde i dati Istat registrano che, su 4mila suicidi l’anno, il 5% è stato compiuto da individui al di sotto dei 24 anni.
“Si tagliano gli avambracci, le cosce, l’addome. Altri tentano il suicidio. Mi viene in mente una ragazzina di 12 anni che si è buttata dalla finestra, che è il modo più usato tra i ragazzi tra i 12 e i 15 anni”. A dichiararlo a L’Espresso è Stefano Vicari, ordinario di Neuropsichiatria infantile presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e responsabile dell’Unità operativa complessa di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù. Le parole del medico disegnano un quadro sconfortante sull’incidenza dell’autolesionismo tra i giovanissimi.
Gettarsi dalla finestra, ingerire farmaci, impiccarsi sono le modalità più utilizzate dagli adolescenti per togliersi la vita. Negli Usa è frequente anche il ricorso ad armi da fuoco.
Anche in questo è visibile l’influenza dei social: “Gli adolescenti tendono a emulare quanto vedono sulla rete ed è per questo, probabilmente, che un metodo molto utilizzato in questo periodo è l’assunzione di grandi dosi di tachipirina oppure rastrellano tutti i farmaci che trovano in casa e ingeriscono un mix“.
Il Covid-19, con l’ansia, le preoccupazioni e il senso d’incertezza che ha portato con sé, ha certamente fatto la sua parte: “Sicuramente c’è una coincidenza molto sospetta – ha commentato il professor Vicari – e siamo certi che la rapida crescita a cui assistiamo in questi ultimi mesi di alcuni disturbi in particolare, come l’ansia, l’irritabilità, lo stress, i disturbi del sonno, sono legati direttamente all’isolamento”.
Solitudine, depressione, disperazione. Un quadro complesso e delicato che già i dati relativi al mondo dell’istruzione hanno messo ampiamente in luce.
Il monito del reparto di Neuropsichiatria infantile del Regina Margherita di Torino è arrivato a dicembre. I ricoveri per tentato suicidio sono saliti a 35 nel 2020 dai 7 del 2009. Negli ultimi undici anni, nel day hospital psichiatrico, l’ideazione suicidaria è decollata dal 10% all’80%.
Anche per il Bambino Gesù di Roma il professor Vicari ritrae una situazione analoga, con un incremento significativo delle attività autolesive e dei tentativi di suicidio: “Nel 2011 i ricoveri sono stati dodici, nell’anno appena concluso abbiamo superato quota trecento”.
Le statistiche ufficiali indicano un leggero calo del suicidio tra gli adolescenti – precisa l’ordinario -, ma l’attività autolesiva è in aumento. “Mai come in questi mesi, da novembre a oggi, abbiamo avuto il reparto occupato al 100% dei posti disponibili, mentre negli altri anni, di media, eravamo al 70%. Le diagnosi che predominano sono quelle del tentativo di suicidio. Ho avuto per settimane tutti i posti letto occupati da tentativi di suicidio e non mi era mai successo”.
I dati di letteratura parlano chiaro: il lockdown e la chiusura delle scuole hanno determinato un aumento degli stati d’ansia e depressione e disturbi del sonno. Le preoccupazioni a volte vengono vissute dai ragazzi con maggiore intensità dei loro genitori; la paura del contagio li blocca. Per questo, il consiglio è quello di aiutarli a mantenere dei ritmi il più possibile normali, con una sveglia presto che aiuti a dormire adeguatamente la notte anziché trascorrerla online o sui social.
Il ruolo dei genitori è fondamentale: “I genitori non hanno colpe, piuttosto responsabilità. Hanno il dovere di monitorare quello che fanno i ragazzi, chi frequentano. Vuol dire interessarsi alla loro vita, mantenendo un dialogo aperto. Non certo fare i carabinieri. I genitori non sono la causa, ma hanno la grande possibilità di ridurre il rischio, così come la scuola”, ha dichiarato il professor Vicari.
Sicuramente la chiusura degli istituti scolastici ha mortificato i rapporti tra i coetanei o con adulti, quali gli insegnanti, che a volte diventano un vero e proprio punto di riferimento. “Oggi questo cuscinetto sociale sta mancando, per questo i ragazzi “sbroccano”, diventano aggressivi e violenti, oppure si chiudono sempre di più nella loro stanza e non vogliono più uscire”.
“Pensare che la scuola sia solo didattica è un errore drammatico – ha sottolineato il docente -. La didattica è una parte marginale della scuola. Bisogna smettere di pensare che la scuola deve formare i futuri lavoratori, trasferendo competenze, la scuola deve trasmettere conoscenze di vita. È una palestra educativa, non un avviamento al lavoro. Questa è una concezione autoritaria della scuola”.
Fonte: vocecontrocorrente.it