Great Reset / Così i signori del denaro cambieranno il mondo del lavoro
Cari amici di Duc in altum, vi propongo il mio più recente intervento per la rubrica La trave e la pagliuzza in Radio Roma Libera.
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L’espressione Great Reset è ormai di dominio pubblico ed entra in molte analisi e discussioni. Spesso però in proposito si resta nel vago. Per rendere più chiaro che cosa si prefiggono i teorici di questa manovra epocale può essere utile dare un’occhiata al cosiddetto libro bianco, intitolato Resetting the Future of Work Agenda in a Post-Covid World, pubblicato dal World Economic Forum.
Questo documento di trentuno pagine spiega come eseguire (o implementare, come si usa dire oggi) il programma contenuto nel libro Covid-19. The Great Reset, scritto da Klaus Schwab, il fondatore del World Economic Forum, con Thierry Malleret.
Resetting the Future si occupa, come arco di tempo, del decennio dal 2021 al 2030. Ed ecco, in sintesi, che cosa prevede per quanto riguarda il lavoro.
Prima di tutto un’accelerazione dei processi di lavoro digitalizzati, che dovrà portare l’84% di tutti i processi di lavoro a essere digitalizzati o realizzati via video. Circa l’83% delle persone dovrà lavorare a distanza, senza interazioni tra persone, all’insegna di un assoluto distanziamento sociale.
Si prevede che almeno la metà di tutte le attività sarà automatizzata: in altre parole, il contributo umano diretto sarà drasticamente ridotto, anche nello stesso lavoro a distanza.
Anche le attività di upskilling e reskilling dovranno essere digitalizzate. Con upskilling si indica lo sviluppo di competenze aggiuntive che aiutano a rendere una persona più efficace e qualificata nel suo ruolo. Con reskilling si indica lo sviluppo di abilità significativamente differenti per far sì che una persona sia in grado di ricoprire un ruolo diverso. Il 42% dell’aggiornamento delle competenze o della formazione per nuove competenze sarà digitalizzato: in altre parole, anche in questo caso l’imperativo è evitare il contatto umano e realizzare tutto mediante computer, intelligenza artificiale e algoritmi.
Ed ecco altri obiettivi.
Accelerare l’attuazione dei programmi di riqualificazione, così che almeno il 35% delle competenze sia “riqualificato”: significa che le competenze raggiunte dovranno essere abbandonate.
Accelerare le trasformazioni degli assetti organizzativi. Si prevede di “ristrutturare” il 34% delle attuali strutture organizzative, così che siano dichiarate obsolete. L’obiettivo è fare spazio a nuovi set di quadri organizzativi, così da garantire, anche mediante la digitalizzazione, il massimo controllo su tutte le attività.
Riassegnare temporaneamente i lavoratori a compiti diversi: si prevede che questa sorte toccherà a circa il 30% della forza lavoro. Ciò significa rivedere anche le scale retributive.
Ridurre temporaneamente la forza lavoro: si prevede che questo destino interesserà il 28% della popolazione. Si tratta di fatto di disoccupazione, anche perché non è precisato che cosa si intenda con il termine “temporaneamente”.
Riduzione della forza lavoro, così che almeno il 13% della forza lavoro sia ridotto in modo permanente.
Solo un 4% della forza lavoro non sarà toccato da queste misure.
Questo, a grandi linee, il processo concreto di implementazione del Great Reset.
Ma ricordiamo che il Great Reset prevede anche uno schema di credito, in base al quale un debito personale potrà essere “condonato” dietro la consegna di tutti i beni personali a un ente o un’agenzia amministrativa.
Di fronte a questi obiettivi sorgono ovviamente molte domande. E la prima è: qual è l’interesse precipuo in base al quale i teorici del Great Reset formulano certe visioni, stabiliscono determinati traguardi e indirizzano le scelte dei responsabili della cosa pubblica? I potenti che si riuniscono a Davos non sono, se non in minima parte, espressione della volontà dei cittadini, non sono persone elette in organismi rappresentativi, bensì banchieri, amministratori delegati di grandi aziende, industriali, miliardari, docenti universitari. Quale, dunque, il loro obiettivo?
La risposta più sincera l’ha data lo stesso Klaus Schwab, inventore del Forum di Davos, quando al Financial Times ha ricordato che il WEF “è sempre stato concepito come piattaforma per gli investitori”. Non bisognerebbe mai dimenticare, dunque, che la molla è il denaro.
Il che fa capire meglio certe prospettive contenute nel libro bianco, tutte indirizzate, come abbiamo visto, verso la riduzione del costo del lavoro e un sempre più serrato controllo delle persone, all’interno di un quadro, dominato dalle tecnologie informatiche, nel quale si potrà fare tranquillamente a meno di relazioni sociali che non siano quelle virtuali.
Chi, di fronte al processo di resetting, solleva dubbi e manifesta preoccupazioni, non di radio è tacciato di complottismo. Ma, di fronte ai dati reali, questa accusa appare ridicola. Qui non si tratta di essere complottisti. Si tratta di capire in che modo i signori del denaro vogliono cambiare il mondo e l’uomo stesso.
Benvenuti, dunque, nel nuovo decennio.
Aldo Maria Valli
Nella foto all’interno dell’articolo (Khalil Masraawi—AFP/Getty Images), Klaus Schwab, fondatore e direttore del World Economic Forum