Cari amici di Duc in altum, sono lieto di proporvi questo testo che mi è stato inviato da monsignor Carlo Maria Viganò. Si tratta di una risposta a un sacerdote che si è rivolto all’arcivescovo chiedendogli lumi circa il rapporto dei fedeli cattolici, e in particolare dei consacrati, con l’autorità superiore. Nel suo contributo, monsignor Viganò spiega perché l’obbedienza a un’autorità pervertita non può essere considerata doverosa e afferma che nell’attuale situazione è proprio per difendere la Comunione gerarchica con il romano pontefice che occorre disobbedirgli, denunciando i suoi errori.
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Reverendo e caro Sacerdote di Cristo,
ho ricevuto la Sua lettera, nella quale Ella mi sottopone alcune gravi questioni sulla crisi dell’autorità nella Chiesa, crisi che va acuendosi in questi ultimi anni e in particolare durante “l’emergenza pandemica”, in occasione della quale la gloria di Dio e la salvezza delle anime sono state messe da parte a vantaggio di una presunta salute del corpo. Se intendo rendere pubblica questa mia articolata risposta alla Sua lettera, è perché essa risponde ai numerosissimi fedeli e sacerdoti che mi scrivono da ogni dove, esponendomi interrogativi e tormenti di coscienza su queste stesse gravi questioni.
Il problema di un’autorità pervertita – ossia che non agisca nei limiti che le sono propri o che si sia data autonomamente un fine opposto a quello che la legittima – viene affrontato dalle Sacre Scritture per ricordarci che omnis potestas a Deo (Rom 13, 1) e che qui resistit potestati, Dei ordinationi resistit (ibidem, 2). E se san Paolo ci intima di obbedire all’autorità civile, a maggior ragione noi siamo tenuti a obbedire all’autorità ecclesiastica, in ragione del primato che le questioni spirituali hanno su quelle temporali.
Ella osserva che non sta a noi giudicare l’autorità, perché il Figlio dell’uomo tornerà a fare giustizia alla fine dei tempi. Ma se dovessimo aspettare il giorno del Giudizio per vedere puniti i malvagi, a quale scopo la divina Maestà avrebbe costituito sulla terra un’autorità temporale e una spirituale? Non è forse loro compito, come vicari di Cristo Re e Sommo Sacerdote, reggere e governare i loro sudditi su questa terra, amministrando la giustizia e punendo i malvagi? Che senso avrebbero le leggi, se non vi fosse chi le fa rispettare, sanzionando chi le viola? Se l’arbitrio di chi è costituito in autorità non fosse punito da chi ha sopra di essi autorità, come potrebbero i sudditi – civili ed ecclesiastici – sperare di ottenere giustizia in terra?
Temo che la Sua obiezione, secondo la quale gli Ecclesiastici che rivestono una potestà loro derivante dall’autorità dell’ufficio ricoperto possano essere giudicati solo alla fine dei tempi, conduca da un lato al fatalismo e alla rassegnazione nei sudditi, e dall’altro costituisca una sorta di incoraggiamento ad abusare del proprio potere nei Superiori.
L’obbedienza a un’autorità pervertita non può essere considerata doverosa, né moralmente buona, solo perché al Suo ritorno il Figlio dell’uomo tornerà a fare giustizia alla fine dei tempi. La Scrittura ci sprona a essere sì obbedienti, moderando la nostra obbedienza con la pazienza e lo spirito di penitenza, ma non ci esorta assolutamente a obbedire a ordini intrinsecamente malvagi, per il solo fatto che chi ce li impartisce è costituito in autorità. Quell’autorità, infatti, proprio nel momento in cui viene esercitata contro lo scopo per cui essa sussiste, si priva della legittimazione che la giustifica e, pur non decadendo in sé, nondimeno richiede da parte dei sudditi un’adesione che dovrà essere di volta in volta vagliata e giudicata.
Con la Rivoluzione, l’ordo christianus, che riconosceva l’Autorità costituita come proveniente da Dio, è stato rovesciato per far posto alle cosiddette democrazie in nome della laicità dello Stato e della sua separazione dalla Chiesa. Con il Concilio Vaticano II questa sovversione del principio di autorità si è insinuata nella Gerarchia stessa, facendo sì che quell’ordine voluto da Dio non solo fosse cancellato dalla società civile, ma addirittura venisse minato anche nella Chiesa. Ovviamente, quando l’opera di Dio viene manomessa e la Sua Autorità negata, il potere ne è irrimediabilmente compromesso e si creano i presupposti per la tirannide o per l’anarchia. Né la Chiesa fa eccezione, come possiamo dolorosamente constatare: il potere è spesso esercitato per punire i buoni e premiare i malvagi; le sanzioni canoniche servono quasi sempre per scomunicare chi rimane fedele al Vangelo; i Dicasteri e gli organi della Santa Sede assecondano l’errore e impediscono la propagazione della Verità. Lo stesso Bergoglio, che dovrebbe rappresentare in terra la più alta Autorità, usa del potere delle Sante Chiavi per assecondare l’agenda globalista e promuovere dottrine eterodosse, ben consapevole di quel Prima Sedes a nemine judicatur che gli permette di agire indisturbato.
Questa situazione è ovviamente anomala, perché nell’ordine stabilito da Dio a chi rappresenta l’autorità è dovuta obbedienza. Ma in questo mirabile kosmos Satana insinua il chaos, manomettendo l’elemento fragile e peccabile: l’uomo. Ella lo evidenzia bene nella Sua lettera, caro Sacerdote: «Ora, la cosa più diabolica che il nostro nemico è riuscito a compiere, è quella di usare proprio chi si presenta al mondo investito dell’autorità conferita da Gesù Cristo alla Sua Chiesa, per fare il male, e con questo: da un lato coinvolgere nel male alcuni dei buoni, dall’altro scandalizzare i buoni che se ne rendono conto», e contestualizza poi questa situazione nel caso attuale: «L’autorità di Gesù è stata usata abusivamente per giustificare e caldeggiare una terribile operazione, che viene presentata sotto il nome falso di vaccinazione».
Concordo con Lei circa le valutazioni di oggettiva immoralità del cosiddetto vaccino contro il Covid-19, in ragione dell’uso di materiale derivante da feti abortiti. Concordo parimenti sulla assoluta inadeguatezza – scientifica, oltreché filosofica e dottrinale – del documento promulgato dalla Cdf, il cui prefetto si limita ad eseguire supinamente più che discutibili ordini impartiti dall’alto: l’obbedienza dei reprobi è emblematica, in questi frangenti, perché sa ignorare con disinvoltura l’autorità di Dio e della Chiesa, in nome di un asservimento cortigiano all’autoritarismo del superiore immediato.
Vorrei nondimeno precisare che il documento della Santa Sede è particolarmente insidioso non solo per l’aver esso analizzato solo un aspetto remoto, per così dire, della composizione del farmaco (a prescindere dalla liceità morale di un azione che non perde di gravità col passare del tempo); ma per aver deliberatamente ignorato che per “rinfrescare” il materiale fetale originale occorre periodicamente aggiungervi nuovi feti, ricavati da aborti al terzo mese provocati ad hoc, e che i tessuti devono essere prelevati da creature ancora vive, a cuore palpitante. Data l’importanza della materia e la denuncia della comunità scientifica cattolica, l’omissione di un elemento integrante per la produzione del vaccino in un pronunciamento ufficiale conferma, nell’ipotesi più generosa, una scandalosa incompetenza e, in quella più realistica, la deliberata volontà di spacciare per moralmente accettabili dei vaccini prodotti con aborti provocati. Questa sorta di sacrificio umano, nella sua forma più abbietta e cruenta, viene quindi considerato trascurabile da un Dicastero della Santa Sede in nome della nuova religione sanitaria, della quale Bergoglio è strenuo sostenitore.
Mi trovo d’accordo con Lei sull’omissione delle valutazioni inerenti la manipolazione genetica indotta da alcuni vaccini che agiscono a livello cellulare, con scopi che le case farmaceutiche non osano confessare, ma che la comunità scientifica ha ampiamente denunciato e di cui non si conoscono ancora le conseguenze a lungo termine. Ma la Cdf evita scrupolosamente di esprimersi anche sulla moralità della sperimentazione sull’uomo, ammessa dagli stessi produttori dei vaccini, i quali si riservano di fornire i dati su questa sperimentazione di massa solo tra qualche anno, quando sarà possibile comprendere se il farmaco è efficace e a prezzo di quali effetti secondari permanenti. Così come la Cdf tace sulla moralità di speculare vergognosamente su un prodotto che viene presentato come unico presidio contro un virus influenzale che ancora non è stato isolato ma solo sequenziato. In assenza dell’isolamento virale, non è scientificamente possibile produrre l’antigene del vaccino, per cui l’intera operazione del Covid si mostra – chi non sia accecato da pregiudizio o da malafede – in tutta la sua criminale falsità e intrinseca immoralità. Una falsità confermata non solo dall’enfasi quasi religiosa con la quale è presentato il ruolo salvifico del cosiddetto vaccino, ma anche dall’ostinato rifiuto delle autorità sanitarie mondiali a riconoscere la validità, l’efficacia e il costo contenuto delle cure esistenti, dal plasma iperimmune all’idrossiclorochina e all’ivermectina, dall’assunzione di vitamina C e D per aumentare le difese immunitarie alla cura tempestiva dei primi sintomi. Non dimentichiamo che, se vi sono persone anziane o debilitate nella salute che sono morti con il Covid, ciò avviene perché l’Oms ha prescritto ai medici di base di non curare i sintomi, indicando per i soggetti con complicanze una cura ospedaliera assolutamente inadeguata e dannosa. Anche su questi aspetti la Santa Sede tace, complice evidente di una congiura contro Dio e contro l’uomo.
Torniamo ora all’autorità. Ella scrive: «Pertanto chi si trova di fronte a persone investite dall’Autorità di Gesù che agiscono evidentemente all’opposto del Suo mandato, si trova nella condizione di domandarsi se possa o meno obbedire alla loro Autorità, quando in situazioni terribili come questa, chi esercita l’autorità in nome di Gesù va palesemente contro i Suoi Mandati». La risposta ci viene dalla dottrina cattolica, che all’autorità dei Prelati e a quella suprema del Papa pone chiarissimi limiti di azione. In questo caso mi pare sia evidente che non è competenza della Santa Sede esprimere valutazioni che, per il modo in cui sono esposte e analizzate e per le palesi omissioni in cui incorrono, non possono rientrare minimamente nell’alveo determinato dal Magistero. Il problema, a ben vedere, è logico e filosofico, ancor prima che teologico o morale, perché i termini della quæstio sono incompleti ed erronei, e quindi erronea e incompleta ne sarà la risposta.
Ciò non toglie nulla alla gravità del comportamento della Cdf, ma allo stesso tempo è proprio nell’uscire dai limiti propri all’autorità ecclesiastica che si conferma il principio generale della dottrina, e con esso anche l’infallibilità che il Signore garantisce al Suo Vicario quando egli intende insegnare una verità relativa alla Fede o alla Morale come Supremo Pastore della Chiesa. Se non vi è una verità da insegnare; se questa verità non ha a che vedere con la Fede e la Morale; se chi promulga questo insegnamento non intende farlo con l’Autorità apostolica; se l’intenzione di trasmettere questa dottrina ai fedeli come verità da tenersi e credersi non è esplicita, l’assistenza del Paraclito non è garantita, e l’autorità che la promulga può essere – e in certi casi deve essere – ignorata. Ai fedeli è quindi possibile resistere all’esercizio illegittimo di un’autorità legittima, all’esercizio di un’autorità illegittima o all’esercizio illegittimo di un’autorità illegittima.
Non mi trovo pertanto d’accordo con Lei quando Ella afferma: «Se l’infedeltà tocca tale autorità, solo Dio può intervenire. Anche perché anche nei confronti di autorità di grado inferiore diventa poi difficile ricorrere sperando di avere giustizia». Il Signore può intervenire positivamente nel corso degli eventi, manifestando in modo prodigioso la Sua volontà o anche solo abbreviando i giorni dei malvagi. Ma l’infedeltà di chi è costituito in autorità, pur non essendo essa giudicabile dai sudditi, non per questo è meno colpevole, né può pretendere obbedienza a ordini illegittimi o immorali. Una cosa, infatti, è l’effetto che essa ha sui soggetti, un’altra il giudizio circa il suo modo di agire e un’altra ancora la punizione che essa può meritare. Così, se non sta ai sudditi mettere a morte il Papa per eresia (nonostante la pena di morte sia considerata da san Tommaso d’Aquino commisurata al crimine di chi corrompe la Fede), possiamo nondimeno riconoscere un Papa come eretico, e in quanto tale rifiutarci, caso per caso, di prestargli l’obbedienza cui altrimenti avrebbe diritto. Non lo giudichiamo, perché non ne abbiamo l’autorità; ma lo riconosciamo per quello che è, aspettando che la Provvidenza susciti chi possa pronunciarsi definitivamente e autorevolmente.
Ecco perché, quando Ella afferma che «non sono i sottoposti a quei malvagi che hanno l’autorità per ribellarsi e rovesciarli dal loro posto», occorre distinguere anzitutto che tipo di autorità sia in questione, e in secondo luogo quale sia l’ordine impartito e quale il danno che l’eventuale obbedienza comporterebbe. San Tommaso considera la resistenza al tiranno e il regicidio come moralmente leciti, in certi casi; così com’è lecita e doverosa la disobbedienza all’autorità dei Prelati che abusano del proprio potere contro il fine intrinseco del potere stesso.
Nella Sua lettera, Ella identifica nella ribellione all’autorità il marchio dell’ideologia comunista. Ma la Rivoluzione, di cui il Comunismo è un’espressione, intende rovesciare i sovrani non in quanto eventualmente corrotti o tirannici, ma in quanto gerarchicamente inseriti in un kosmos che è essenzialmente cattolico, e quindi antitetico al marxismo.
Se non fosse possibile opporsi a un tiranno, avrebbero peccato i Cristeros, che si ribellarono con le armi al dittatore massone che in Messico perseguitava i suoi cittadini abusando della propria autorità. Avrebbero peccato i Vandeani, i Sanfedisti, gli Insorgenti: vittime di un potere rivoluzionario, pervertito e pervertitore, dinanzi al quale la ribellione non solo è lecita, ma anche doverosa. Furono vittime del potere anche i Cattolici che, nel corso della Storia, si trovarono a doversi ribellare ai loro Prelati, ad esempio i fedeli che in Inghilterra dovettero resistere ai loro Vescovi diventati eretici con lo scisma anglicano, o quanti in Germania si videro costretti a rifiutare obbedienza ai Presuli che avevano abbracciato l’eresia luterana. L’autorità di questi Pastori diventati lupi era infatti nulla, poiché orientata alla distruzione della Fede anziché alla sua difesa, contro il Papato anziché in comunione con esso. Giustamente Ella aggiunge: «Allora i poveri fedeli, di fronte ai loro pastori che si macchiano di tali crimini, e in modo così svergognato, rimangono sbigottiti. Come posso io seguire in nome di Gesù qualcuno che invece opera ciò che Gesù non vuole?»
Eppure, poco oltre leggo queste Sue parole: «Chi nega la loro Autorità, in realtà nega la Autorità di chi li ha costituiti. E chi vuole negare la Autorità di chi li ha costituiti deve anche negare la loro autorità. Chi invece resta sottomesso alla autorità dei ministri costituiti in autorità da Gesù, pur non rendendosi complice dei loro errori, obbedisce alla Autorità di Gesù, che li ha costituiti». Questa proposizione è chiaramente erronea, poiché legando indissolubilmente l’autorità prima e originaria di Dio all’autorità derivata e vicaria della persona, ne inferisce una sorta di vincolo indefettibile, vincolo che invece viene meno proprio nel momento in cui colui che esercita l’autorità in nome di Dio di fatto la perverte, ne stravolge il fine sovvertendolo. Direi anzi che è proprio perché si deve avere in massimo onore l’autorità di Dio che essa non può essere disattesa con l’obbedire a chi è per sua natura sottoposto alla medesima divina autorità. Per questo San Pietro (At 5, 29) ci esorta ad obbedire a Dio piuttosto che agli uomini: l’autorità terrena, sia essa temporale o spirituale, è sempre sottoposta all’autorità di Dio. Non è possibile pensare che – per una ragione che pare quasi dettata da un burocrate – il Signore abbia voluto lasciare la Sua Chiesa in balìa di tiranni, quasi preferendo la loro legittimazione proceduralmente legale allo scopo per il quale Egli li ha posti a pascere il Suo gregge.
Certo, la soluzione della disobbedienza pare più facilmente applicabile ai Prelati che non al Papa, dal momento che quelli possono essere giudicati e deposti dal Papa, mentre questi non può esser deposto da alcuno in terra. Ma se è umanamente incredibile e doloroso dover riconoscere che un Papa possa essere malvagio, questo non consente di negare l’evidenza e non impone di consegnarsi passivamente all’abuso del potere che egli esercita in nome di Dio ma contro di Lui. E se nessuno vorrà assalire i Sacri Palazzi per scacciarne l’indegno ospite, si possono altresì esercitare forme legittime e proporzionate di vera e propria opposizione, ivi comprese le pressioni a che si dimetta e abbandoni l’ufficio. È proprio per difendere il Papato e la sacra Autorità che esso riceve dal Sommo ed Eterno Sacerdote che occorre allontanarne chi lo umilia, lo demolisce e ne abusa. Oserei dire, per completezza, che anche la rinunzia arbitraria all’esercizio dell’autorità sacra del Romano Pontefice rappresenta un gravissimo vulnus al Papato, e di questo dobbiamo considerare responsabile più Benedetto XVI che Bergoglio.
Ella accenna poi a ciò che il Prelato tirannico dovrebbe pensare della propria autorità: «un ministro di Dio […] dovrebbe anzitutto negare la propria autorità di apostolo, ovvero inviato di Gesù. Dovrebbe riconoscere di non voler seguire Gesù, e andarsene. In tal modo il problema sarebbe risolto». Ma Ella, caro Sacerdote, pretende che l’iniquo agisca come una persona onesta e timorata di Dio, mentre proprio perché malvagio costui abuserà senza alcuna coerenza e senza alcuno scrupolo di un potere che egli sa benissimo di avere dolosamente conquistato per demolirlo. Poiché è nell’essenza stessa della tirannide, in quanto perversione dell’autorità giusta e buona, non solo il suo esercitarsi in modo perverso, ma anche il voler gettare discredito e repulsione sull’autorità di cui essa è grottesca contraffazione. Gli orrori compiuti da Bergoglio in questi anni non solo rappresentano un indecoroso abuso dell’autorità papale, ma hanno come immediata conseguenza lo scandalo dei buoni nei suoi confronti, perché rende invisa e odiosa, con la parodia del Papato, anche il Papato in sé stesso, pregiudicando irrimediabilmente l’immagine e il prestigio di cui godeva sinora la Chiesa, pur già afflitta da decenni di ideologia modernista.
Ella scrive: «Pertanto, a nessuno è lecito obbedire a ordini ingiusti o malvagi, illegittimi, o fare qualunque male col pretesto dell’obbedienza. Ma nemmeno ad alcuno è permesso negare l’autorità del Papa perché costui la esercita in modo malvagio, andando fuori dalla Chiesa costituita da Gesù sulla roccia dell’Apostolo Pietro». Qui l’espressione «negare l’autorità» andrebbe distinta tra il negare che Bergoglio abbia un’autorità in quanto Papa e viceversa negare che Bergoglio, in questo specifico ordine che impartisce al fedele, abbia il diritto di essere obbedito quando l’ordine è in conflitto con l’autorità del Papa. Nessuno obbedirebbe a Bergoglio se costui parlasse a titolo personale o fosse un impiegato del catasto, ma il fatto che da Papa insegni dottrine eterodosse o dia scandalo ai semplici con affermazioni provocatorie, rende di estrema gravità la sua colpa, perché chi lo ascolta crede di ascoltare la voce del Buon Pastore. La responsabilità morale di chi comanda è incommensurabilmente maggiore di quella che ha il suddito che deve decidere se obbedirgli o meno. Di questo il Signore chiederà conto inflessibilmente, per le conseguenze che il bene o il male compiuto dal superiore comporta sui sottoposti, anche in termini di buono o cattivo esempio.
A ben vedere, è proprio per difendere la Comunione gerarchica con il Romano Pontefice che occorre disobbedirgli, denunciare i suoi errori e chiedergli di dimettersi. E pregare Iddio che lo chiami a Sé il prima possibile, se da questo può derivarne un bene per la Chiesa.
L’inganno, il colossale inganno del quale ho scritto in più occasioni, consiste nel costringere i buoni – chiamiamoli così per brevità – a rimanere imprigionati in norme e leggi che viceversa i cattivi usano in fraudem legis. È come se costoro avessero compreso la nostra debolezza: l’essere cioè noi, pur con tutti i nostri difetti, religiosamente e socialmente orientati al rispetto della legge, all’obbedienza all’autorità, all’onorare la parola data, all’agire con onore e lealtà. Con questa nostra debolezza virtuosa, essi si garantiscono da noi obbedienza, sottomissione, al massimo rispettosa resistenza e prudente disobbedienza. Sanno che noi – poveri stolti, pensano – vediamo in loro l’autorità di Cristo e a questa facciamo in modo di obbedire anche se sappiamo che quell’azione, ancorché moralmente irrilevante, va in una direzione ben precisa… Così ci hanno imposto la Messa riformata; così ci hanno abituato a sentir cantare le sure del Corano dall’ambone delle nostre cattedrali, e a vederle trasformate in trattorie o dormitori; così ci vogliono presentare come normale l’ammissione delle donne al servizio dell’altare… Ogni passo compiuto dall’Autorità, dal Concilio in poi, è stato possibile proprio perché obbedivamo ai Sacri Pastori, e pur sembrandoci certe loro decisioni devianti, non potevamo credere che stessero ingannandoci; e forse essi stessi, a loro volta, non si rendevano conto che gli ordini impartiti avessero uno scopo iniquo. Oggi, seguendo il fil rouge che unisce l’abolizione degli Ordini Minori all’invenzione delle accolite e delle diaconesse, comprendiamo che chi riformò la Settimana Santa sotto Pio XII aveva già sotto gli occhi il Novus Ordo e le sue atroci declinazioni odierne. L’abbraccio di Paolo VI con il Patriarca Atenagora suscitò in noi speranze di vera ecumène, perché non avevamo capito – come invece avevano denunciato alcuni – che quel gesto doveva preparare il pantheon di Assisi, l’osceno idolo della pachamama e, a breve, il sabba di Astana.
Nessuno di noi vuole comprendere che questa empasse si rompe semplicemente non assecondandola: dobbiamo rifiutare di confrontarci a duello con un avversario che detta le regole a cui solo noi dobbiamo sottostare, lasciando se stesso libero di infrangerle. Ignorarlo. La nostra obbedienza non ha nulla a che vedere né col servilismo pavido, né con l’insubordinazione; al contrario, essa ci consente di sospendere qualsiasi giudizio su chi sia o non sia Papa, continuando a comportarci come buoni Cattolici anche se il Papa ci deride, ci disprezza o ci scomunica. Perché il paradosso non risiede nella disobbedienza dei buoni all’autorità del Papa, ma nell’assurdità di dover disobbedire a una persona che è allo stesso tempo Papa ed eresiarca, Atanasio e Ario, luce de jure e tenebra de facto. Il paradosso è che per rimanere in Comunione con la Sede Apostolica dobbiamo separarci da colui che dovrebbe rappresentarla, e vederci burocraticamente scomunicati da chi è in stato oggettivo di scisma con se stesso. Il precetto evangelico di «Non giudicare» non deve intendersi nel senso di astenersi dalla formulazione di un giudizio morale, ma dalla condanna della persona, altrimenti saremmo incapaci di porre atti morali. Certo non sta al singolo separare il grano dalla zizzania, ma nessuno deve chiamare zizzania il grano, né grano la zizzania. E chi è insignito dell’Ordine Sacro, tanto più se nella pienezza del Sacerdozio, ha non solo il diritto, ma il dovere di additare i seminatori di zizzania, i lupi rapaci e i falsi profeti. Poiché anche in quel caso vi è, assieme alla partecipazione al Sacerdozio di Cristo, anche la partecipazione alla Sua regale Autorità.
Quello di cui non ci accorgiamo, tanto in ambito politico e sociale quanto in ambito ecclesiastico, è che la nostra accettazione iniziale di un presunto diritto del nostro avversario a compiere il male, basata su un erroneo concetto di libertà (morale, dottrinale, religiosa), ora si sta mutando in una forzata tolleranza del bene mentre il peccato e il vizio sono diventati la norma. Quello che ieri era ammesso come nostro gesto di indulgenza oggi pretende piena legittimità, e ci confina ai margini della società come minoranza in via di estinzione. A breve, coerentemente con l’ideologia anticristica che sovrintende a questo inesorabile mutamento di valori e principi, verrà proibita la virtù e condannato chi la pratica, in nome di un’intolleranza verso il Bene additato come divisivo, integralista, fanatico. La nostra tolleranza verso chi, oggi, si fa promotore delle istanze del Nuovo Ordine Mondiale e della sua assimilazione nel corpo ecclesiale condurrà infallibilmente all’instaurazione del regno dell’Anticristo, in cui i cattolici fedeli saranno perseguitati come nemici pubblici, esattamente come in epoche cristiane erano considerati nemici pubblici gli eretici. Insomma, il nemico ha copiato, capovolgendolo e pervertendolo, il sistema di protezione della società realizzato dalla Chiesa nelle nazioni cattoliche.
Credo, caro reverendo, che le Sue osservazioni sulla crisi dell’autorità saranno presto da integrare, almeno a giudicare dalla velocità con cui Bergoglio e la sua corte assestano i loro colpi alla Chiesa. Da parte mia, prego che il Signore faccia venire alla luce la verità sinora nascosta, consentendoci di riconoscere il Vicario di Cristo in terra non tanto per la veste che indossa, quanto per le parole che escono dalla sua bocca e per l’esempio delle sue opere.
Riceva la mia Benedizione, mentre con fiducia mi affido alla Sua preghiera.
+ Carlo Maria, Arcivescovo
31 gennaio 2021
Dominica in Septuagesima
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Cari amici di Duc in altum, sono lieto di annunciare l’uscita del libro L’altro Vaticano II. Voci da un Concilio che non vuole finire (Chorabooks 2021), nel quale è proposto un modo alternativo e controcorrente di guardare al Concilio Vaticano II, tema imprescindibile se si vuole affrontare la questione della crisi della Chiesa e della fede stessa.
Con contributi di Enrico Maria Radaelli, padre Serafino Maria Lanzetta, padre Giovanni Cavalcoli, Fabio Scaffardi, Alessandro Martinetti, Roberto de Mattei, cardinale Joseph Zen Ze-kiun, Eric Sammons, monsignor Carlo Maria Viganò, monsignor Guido Pozzo, Giovanni Formicola, don Alberto Strumia, monsignor Athanasius Schneider, Aldo Maria Valli.