Cari amici di Duc in altum, per fotografare lo stato in cui versa la Chiesa cattolica, e tracciare qualche possibile previsione per il futuro, può essere utile guardare all’Argentina, dove Bergoglio ha inciso in modo più evidente e continuo. Pubblico pertanto la prima di tre Lettere dall’Argentina tratte dal sito Wanderer.
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Esattamente due anni fa, in un incontro con un gruppo di buoni amici, ci chiedemmo come vediamo il futuro della Chiesa. La mia opinione a quel tempo fu che lo stato di decomposizione della fede, promosso da papa Francesco e assecondato dalla stragrande maggioranza dei vescovi, causerà l’allontanamento di molti sacerdoti dalle loro parrocchie e dal lavoro pastorale; le loro prerogative saranno sospese poiché essi saranno stati riluttanti ad attenersi alla nuova presunta dottrina cattolica. Ciò favorirà la comparsa di “parrocchie” o “comunità” organizzate da laici cattolici attorno a questi sacerdoti fedeli, e distaccate dal vescovo, e saranno quelle che manterranno viva la fede. La Chiesa ufficiale manterrà la proprietaria degli immobili, lo sfarzo e la visibilità, mentre una Chiesa catacombale, semi-nascosta e clandestina, sosterrà la fede degli apostoli.
Quando qualcuno, nel gruppo, obiettò giustamente che la Chiesa è sempre costruita attorno a una gerarchia, e che non sarebbe corretto che la Chiesa cattolica si basasse esclusivamente su sacerdoti e fedeli, senza vescovi, mi sembrò che l’obiezione fosse sensata.
Tuttavia, trascorsi solo due anni da quella conversazione, oggi credo invece che io fossi nel giusto. Lo credo alla luce delle circostanze in cui viviamo, e colui che è arrivato a esprimere la mia idea molto meglio di me è l’arcivescovo Carlo Maria Viganò nella sua conferenza del 26 ottobre 2020.
Una gerarchia infida e scismatica si sovrappone alla Chiesa sotterranea, che è il resto fedele o pusillus grex.
La piccola Chiesa che immaginavo, quasi invisibile, sofferente e persino perseguitata, è quella in cui si conserva la vera fede ed è l’Immacolata Sposa dell’Agnello. L’altra, la Chiesa dei vescovi e dei templi, La Chiesa “tutti frutti” (appellativo con il quale negli ambienti conservatori è sarcasticamente definita l’enciclica Fratelli tutti, ndt) è quella che Meinvielle chiamava la Chiesa della pubblicità e che, secondo Viganò, si è sovrapposta alla Chiesa vera. Quantomeno, questa penso sia la strada sulla quale ci stiamo incamminando in Argentina.
È possibile che in altri paesi la situazione sia diversa. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno un laicato tradizionalista e conservatore molto più forte, più organizzato e potente di quello dei paesi ispanici. Anche in Europa il movimento tradizionalista è relativamente forte e numeroso. Quelli che se la passano peggio sono gli ispanici e, tra loro, gli argentini.
La Chiesa nel nostro paese è perduta, almeno per i prossimi decenni. Bergoglio si è dedicato alla sua distruzione con un piano sistematico. E ci è riuscito. Durante il suo pontificato ha colonizzato l’episcopato argentino con nuovi vescovi, in un numero insolito e ingiustificato – ad esempio nominando vescovi ausiliari in piccole diocesi – e tutti con le stesse caratteristiche: senza formazione (in genere solo quella di base, del seminario o, nel peggiore dei casi, con una laurea in “teologia pastorale” conseguita all’Uca (Universidad Catolica Argentina, ndt), progressisti di scarsa qualità, prettamente pastorilisti, ossequiosi e sottomessi a Bergoglio, assolutamente ignoranti in materia di tradizione liturgica e teologica della Chiesa e, in generale, volgari e rozzi. Il paradigma è monsignor Chino Mañarro, del quale abbiamo già parlato altrove. Allo stesso tempo, Bergoglio si è dedicato a neutralizzare nel peggiore dei modi, e senza risparmiare umiliazioni, i vescovi che per un motivo o per l’altro egli aveva nel mirino, come Zecca, Sarlinga e Martínez. Ha atteso con ansia il pensionamento di altri come Aguer o Marino, e approfittato dello spirito vile e strisciante di altri, come nel caso del vescovo Taussig, che diventerà uno dei pochi vescovi argentini che potrà godere della damnatio memoriae da parte di tutta la sua diocesi.
Giustamente, quanto accaduto negli ultimi mesi con la nomina del vescovo Barba a San Luis, la prevedibile liquidazione del piccolo seminario conservatore di quella diocesi e lo sterminio, su ordine del Vaticano, del seminario San Rafael da parte di monsignor Taussig, indicano chiaramente che Bergoglio nel suo paese vuole fare terra bruciata. La situazione della Chiesa argentina è irrecuperabile, e lo sarà per i prossimi tre decenni, non importa quanto bravo sarà il papa successore di Francesco.
Tuttavia, in Argentina ci sono molti buoni sacerdoti, pii e cattolici, dotati di vero zelo per la salvezza delle anime. Anche se non frequento ambienti clericali, ne conosco diversi. Sono già perseguitati dai loro vescovi, ma il loro numero aumenterà con il passare del tempo.
Le misure draconiane imposte dal governo argentino a causa della famosa pandemia, e accettate docilmente dai vescovi, hanno portato alla luce molti buoni preti che hanno resistito, per esempio, all’ingiunzione di dare la Comunione in mano o a vietare la celebrazione della Messa per i loro fedeli. E poiché, come il Signore ci dice nel Vangelo, “le pecore conoscono la voce del loro pastore”, quelle pecore danno rifugio ai loro pastori battuti dai baculi episcopali.
I dati della maggior parte delle diocesi argentine sono agghiaccianti: anche se i servizi religiosi sono già autorizzati con una capacità limitata, la verità è che nessuno va a Messa. La quota di trenta persone viene raggiunta di rado, e i preti non sanno più cosa inventarsi per dare ai fedeli i numeri dei loro conti bancari e implorare l’elemosina. E il motivo per cui le persone hanno smesso di andare a Messa non è la paura della peste. È che hanno preso sul serio ciò che i vescovi hanno infaticabilmente predicato: non c’è obbligo di rispettare il precetto, celebrate pure la Settimana Santa a casa, fate la Comunione spiritualmente poiché è la stessa cosa della Comunione sacramentalmente e, se volete comunque riceverla, che sia sulla mano. Le persone si sono abituate ad “andare a Messa” in televisione, all’ora che si addice loro, e stando comodamente sedute sul divano.
Quelli che non hanno accettato questo stato di abbandono hanno cercato sacerdoti che celebrassero in segreto nelle case, in famiglia, che dessero la Comunione in bocca e che continuassero ad amministrare i sacramenti. Altri ancora hanno popolato le cappelle della Fraternità sacerdotale san Pio X.
Credo che questo sia solo l’inizio di un movimento che avrà un’accelerazione nei prossimi mesi: crescita delle comunità tradizionaliste, maggiore pressione e persecuzione, da parte dei vescovi, dei sacerdoti considerati critici della nuova chiesa franceschista e, di conseguenza, emergere di comunità di fedeli attorno a questi sacerdoti perseguitati che, al di fuori di ogni giurisdizione episcopale, si preoccupano di amministrare i sacramenti e di mantenere viva la fiamma della fede.
Facendo un esercizio di immaginazione, si potrebbe pensare che il sostegno episcopale che manca a questa Chiesa sotterranea potrà essere dato da un gruppo molto ristretto di vescovi che oseranno fare un passo simile. Il vescovo Viganò l’ha già fatto, e forse il vescovo Schneider potrebbe farlo presto. E chi può dirlo: magari tanti altri vescovi umiliati e deposti da Bergoglio potrebbero unirsi.
È giusto dirlo: sto descrivendo un percorso parallelo a quello di monsignor Marcel Lefebvre nei primi anni Settanta. Ed è necessario riconoscere, come fa monsignor Viganò, che egli aveva ragione. Lefebvre vide con decenni in anticipo che cosa sarebbe successo ed ebbe il coraggio di dirlo e di agire di conseguenza. Lui, i sacerdoti e i fedeli che lo hanno seguito sono stati sistematicamente esposti alla gogna pubblica più e più volte, in ogni modo possibile, e sono stati persino scomunicati. Adesso possiamo vedere che avevano ragione.
Fonte: Wanderer
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Cari amici di Duc in altum, sono lieto di annunciare l’uscita del libro L’altro Vaticano II. Voci da un Concilio che non vuole finire (Chorabooks 2021), nel quale è proposto un modo alternativo e controcorrente di guardare al Concilio Vaticano II, tema imprescindibile se si vuole affrontare la questione della crisi della Chiesa e della fede stessa.
Con contributi di Enrico Maria Radaelli, padre Serafino Maria Lanzetta, padre Giovanni Cavalcoli, Fabio Scaffardi, Alessandro Martinetti, Roberto de Mattei, cardinale Joseph Zen Ze-kiun, Eric Sammons, monsignor Carlo Maria Viganò, monsignor Guido Pozzo, Giovanni Formicola, don Alberto Strumia, monsignor Athanasius Schneider, Aldo Maria Valli.