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No, Dio non “si è fatto peccato”

Alcune parole pronunciate da papa Francesco durante l’Angelus di domenica 14 febbraio hanno sollevato perplessità. Il passaggio è quello in cui il papa ha sostenuto che Dio “si è fatto peccato”.

Ecco le parole esatte: “A ciascuno di noi può capitare di sperimentare ferite, fallimenti, sofferenze, egoismi che ci chiudono a Dio e agli altri, perché il peccato ci chiude in noi stessi, per vergogna, per umiliazioni, ma Dio vuole aprire il cuore. Dinanzi a tutto questo, Gesù ci annuncia che Dio non è un’idea o una dottrina astratta, ma Dio è Colui che si “contamina” con la nostra umanità ferita e non ha paura di venire a contatto con le nostre piaghe. ‘Ma padre, cosa sta dicendo? Che Dio si contamina?’. Non lo dico io, lo ha detto San Paolo: si è fatto peccato (cfr 2Cor 5,21). Lui che non è peccatore, che non può peccare, si è fatto peccato. Guarda come si è contaminato Dio per avvicinarsi a noi, per avere compassione e per far capire la sua tenerezza”.

I critici osservano che un conto è dire che Gesù “ha preso su di sé i nostri peccati”, per vincerne sulla Croce il Male che ne è la radice, un altro conto è dire che Dio “si è fatto peccato”.

Dunque, il papa ha sbagliato?

Vediamo che cosa dice il passo di 2Cor 5,2 nelle diverse traduzioni italiane.

“Colui che non ha conosciuto peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (Nuova Riveduta).

“Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (Cei).

“Poiché egli ha fatto essere peccato per noi colui che non ha conosciuto peccato, affinché noi potessimo diventare giustizia di Dio in lui” (Nuova Diodati).

“Dio ha riversato su Cristo i nostri peccati, su di lui che non ha mai peccato, affinché, per mezzo suo, diventassimo giusti” (Bibbia della gioia).

“Colui che non ha conosciuto peccato, Egli l’ha fatto esser peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (Riveduta).

“Perciocché egli ha fatto esser peccato per noi colui che non ha conosciuto peccato; acciocché noi fossimo fatti giustizia di Dio in lui” (Diodati).

Queste le parole della Bibbia. Quali conclusioni trarne?

In proposito, ho chiesto un parere a don Alberto Strumia, ed ecco il suo contributo.

*

In Cristo non c’è peccato. Non c’è, ovviamente, in quanto il Verbo è persona divina, ma non c’è neppure in quanto uomo, essendo Gesù privo di peccato originale e quindi anche di ogni altro peccato attuale. Per cui l’interpretazione corretta è che “Dio lo trattò da peccato in nostro favore”, secondo la dottrina di sempre. E non certamente che lo fece peccato nel senso che lo fece diventare peccatore esattamente come uno di noi!

Per completare il discorso, si può riflettere sull’impostazione della teologia medievale in merito alla redenzione operata da Cristo.

Dal momento che si tratta di una questione di giustizia La teologia dogmatica tradizionale (cfr. san Tommaso d’Aquino) lo ha spiegato in termini giuridici avendo come modello lo stesso diritto romano. Ecco i passaggi.

1) Il peccato originale è la rottura della giustizia tra l’uomo e Dio (defectus originalis iustitiae), a opera dell’uomo, tentato da Satana (cfr. san Tommaso, Summa teologica, I-II, q. 82, a. 3co)

2) Dio che è l’offeso ha una dignità infinita e quindi l’offesa fatta dall’uomo a Dio ha una portata infinita.

3) Per riparare a un’offesa di portata infinita occorre che colui che ripara abbia una capacità riparatrice infinita.

4) Solo Dio può avere una tale capacità infinita essendo infinitamente potente (onnipotenza divina). Dunque, colui che ripara il peccato deve essere Dio stesso.

5) Ma l’offensore è l’uomo e quindi colui che ha il dovere di riparare il torto inferto a Dio deve essere anche vero uomo.

6) Quindi solo un Dio-Uomo può compiere la riparazione dell’offesa e quindi solo il Verbo fatto uomo, cioè Gesù Cristo, poteva essere il riparatore (redentore), capace di restituire agli uomini l’accesso alla giustizia verso Dio che era stata perduta con il peccato (la Grazia).

7) Di conseguenza Gesù uomo doveva essere caricato del peccato dell’umanità, assumendosi la responsabilità della colpa degli altri uomini, al loro posto (sostituzione vicaria) e subendo la condanna pur essendo innocente. Qualcosa di simile, fatte le debite proporzioni, per intenderci, fece padre Kolbe prendendo il posto di un altro condannato (che tra l’altro, in questo caso, non aveva colpa neppure lui se non quella che gli veniva abusivamente attribuita per il fatto di essere ebreo).

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Con contributi di Enrico Maria Radaelli, padre Serafino Maria Lanzetta, padre Giovanni Cavalcoli, Fabio Scaffardi, Alessandro Martinetti, Roberto de Mattei, cardinale Joseph Zen Ze-kiun, Eric Sammons, monsignor Carlo Maria Viganò, monsignor Guido Pozzo, Giovanni Formicola, don Alberto Strumia, monsignor Athanasius Schneider, Aldo Maria Valli.

Aldo Maria Valli:
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