di Aldo Maria Valli
In fuga, con i suoi figli, accusato di omicidio, abusi e altre nefandezze. Solo per aver pensato e scritto che il Nuovo Ordine Mondiale e il pensiero unico imposto dall’ideologia del politicamente corretto stanno imprigionando tutti, rendendoci schiavi della più feroce delle dittature: quella che si impone sotto forma di paternalismo, tanto che i prigionieri sono indotti a ringraziare e perfino ad amare i carcerieri.
Se nel 1999, quando fu scritto, Plague Journal poteva sembrare fortemente distopico, oggi fotografa una realtà sempre più evidente. E così la traduzione italiana del romanzo di Michael D. O’Brien, Il diario della peste, opportunamente proposta dalla casa editrice Fede & Cultura, più che una tragica profezia appare come una cronaca.
Qualcuno potrebbe obiettare: ma noi non abbiamo, non ancora, aerei ed elicotteri della polizia che pattugliano i cieli alla ricerca del “diversamente pensante”. Sì, ma non so se ricordate, durante il primo lockdown da coronavirus, l’elicottero della Guardia di finanza che inseguiva (e il tutto in diretta televisiva) un uomo sorpreso a correre, in totale solitudine, sulla spiaggia deserta. Ecco, l’immagine di quel solitario cittadino, inseguito e messo sotto tiro dalle telecamere perché “reo” di essere uscito di casa per una corsetta, sotto molti aspetti si sovrappone a quella del protagonista del romanzo di O’Brien. La differenza è che nel romanzo i velivoli da ricognizione sparano, ma sappiamo che anche le pallottole mediatiche possono fare molto male.
Protagonista del diario di O’Brien è un giornalista canadese che attraverso il suo modesto giornale di provincia conduce la sua coraggiosa battaglia contro il pensiero unico, e per questo motivo diventa un reprobo, un pericoloso provocatore da screditare ed eliminare. La sua “colpa”? Molto semplice: credere nella famiglia tradizionale, dire no ad aborto ed eutanasia, sostenere che la verità esiste, che non è vero che l’unica verità è il relativismo, distinguere tra bene e male in senso oggettivo e rifiutare di dire che è bene ciò che oggettivamente male e viceversa.
Nathaniel Delaney, il giornalista controcorrente, in questa sua battaglia avrà come alleata una famiglia di poveri profughi vietnamiti, che gli daranno rifugio nella loro improbabile casa-imbarcazione sulle rive di un lago ghiacciato. Famiglia cattolica, come cattolico è Delaney. Il che prefigura quella Chiesa delle catacombe di cui ogni tanto parliamo, immaginando quale potrebbe essere il destino di noi tutti cattolici non intenzionati a cedere alla dittatura globalista.
Quando i macchinari del giornale, The Eco, vengono distrutti in un attentato, e contro il direttore parte la campagna denigratoria, a Nathaniel (che gli amici vietnamiti chiamano Natano) non resta che la fuga tra le nevi della sua regione. Con lui, i due figli Tyler e Zöe e un figlio adolescente che la famiglia Thu, con estrema generosità, mette a disposizione dei fuggitivi.
Il romanzo di O’Brien fornisce una serie infinita di spunti di riflessione su quanto stiamo vivendo oggi. Commovente la fede della povera e religiosissima famiglia vietnamita, decisivo il ruolo dei nonni, presenze benefiche che assicurano il legame con la tradizione. Duro e disperato il confronto tra Nathaniel e il padre, uomo che si è totalmente arreso all’ideologia dominante e non solo non riesce a vederne i pericoli ma ritiene che tale ideologia abbia dato vita al miglior mondo possibile.
Il Canada raccontato da O’Brien è un paese di anime morte, la cui identità interiore è stata sovvertita. “Laggiù ti uccidono, ma qui ti uccidono il cuore. Siete già morti, siete un popolo morto” dice un profugo dall’ex Unione Sovietica. Parole che descrivono non solo la realtà immaginaria disegnata nel libro ma, ormai, anche la nostra realtà. E il fatto che siamo morti come si può verificare? Dall’assenza, dice O’Brien attraverso Nathaniel, di quattro elementi: arte, letteratura, preghiera e amore.
Non è un caso che l’aiuto, per i fuggitivi, oltre che dalla famiglia di cattolici vietnamiti arriverà da un nonno di sangue indiano e da un misterioso prete cattolico che ancora si veste da prete. Recidere le radici è ciò che la dittatura vuole fare perché soltanto così può imporre la propria realtà ideologica e sostituirla alla realtà effettuale, soltanto così può chiamare bene ciò che è male e male ciò che è bene.
Resi sordi e ciechi da una propaganda incessante spacciata come libera informazione, gli abitanti di questo Canada ricco ma privo di anima sono istruiti, perfino colti, ma sono stati spogliati della loro umanità. E chi osa dirlo è messo alla gogna, perché la dittatura soffice, che fa della tolleranza la sua bandiera, non può tollerare chi, con l’innocenza del bambino proclama apertis verbis che il re è nudo e anche cattivo.
Mentre si legge il romanzo viene in mente La democrazia in America di Tocqueville, con la descrizione di un apparato statale che tiene i cittadini in una condizione di perenne infanzia, così da evitare loro la fatica di pensare. Viene in mente anche il Discorso sulla servitù volontaria di Étienne de La Boétie, specie là dove il pensatore francese scrive: “È il popolo che si assoggetta, che si taglia la gola e potendo scegliere fra l’essere servo e l’essere libero, lascia la libertà e prende il giogo; che acconsente al suo male, o piuttosto lo persegue”. E non si può non pensare a Brave New World di Aldous Huxley, quel Mondo nuovo nel quale lo Stato totalitario non ha bisogno della forza dei manganelli, perché ha formato una popolazione di schiavi che amano la loro schiavitù.
Papà premuroso e amorevole, Nathaniel (che è stato lasciato dalla moglie, donna incapace di aprire gli occhi e di sopportare il peso di una vita da non allineati, perché “totalmente imbevuta di ogni percezione distorta che il nostro secolo sia stato in grado di produrre”) racconta ai suoi bambini fiabe sui draghi, spiegando che i draghi sono il male e non bisogna credere a chi dice che, in nome dell’inclusività, anche i draghi hanno i loro diritti. Il male esiste. Il male va riconosciuto e combattuto con coraggio. Perché esiste la verità.
Non diremo come finisce il romanzo. Diremo solo che Nathaniel, durante la fuga, porta nello zaino la croce celtica appartenuta al nonno di origini irlandesi. E chiudiamo con le parole che il misterioso prete cattolico rivolge al fuggitivo: “Non aver paura. Non sarai solo”.