San Giovanni Paolo II nel mirino dei servizi segreti sovietici. Uno storico polacco racconta i documenti del Kgb scoperti a Vilnius
Oggi, anniversario della nascita di Karol Wojtyła, un’intervista di Włodzimierz Rędzioch su un libro con nuovi documenti sull'”interessamento” del Kgb sovietico per Giovanni Paolo II.
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di Włodzimierz Rędzioch
È uscito in Polonia un libro dello storico e giornalista polacco Andrzej Grajewski, scritto insieme a Irena Mikłaszewicz: Il pontificato delle molte minacce. Giovanni Paolo II alla luce dei documenti dell’operazione ‘Kapella’ 1979-1990. Dietro il nome in codice “Kapella” ci sono le azioni del Kgb sovietico contro Giovanni Paolo II. Questa è la prima raccolta al mondo, purtroppo parziale, di documenti del Kgb che mostrano quanto i servizi sovietici fossero interessati a Giovanni Paolo II, percepito a Mosca come una grande minaccia per l’Urss e per l’intero blocco comunista dell’Europa centrale e orientale. Gli autori del libro sono riusciti a trovare documenti di grande valore del Primo Dipartimento del Kgb dell’allora Repubblica socialista sovietica lituana, conservati negli archivi speciali di Stato lituani a Vilnius.
Ho parlato con l’autore del libro, il dottor Grajewski.
C’è un’espressione strana nel titolo del suo libro, “l’operazione ‘Kapella’”. Che cosa vuol dire?
«Tutte le attività dei servizi segreti sono contrassegnate da nomi in codice. Il nome scelto doveva richiamare una cappella, ma in russo “cappella” si dice “czasownia”. Invece è stata utilizzata una parola che si riferisce al latino, per indicare che l’azione era rivolta verso la Chiesa cattolica».
Come è riuscito ad arrivare agli archivi del Kgb in Lituania?
«Non sono stato io a trovare i documenti negli archivi in Lituania, è stata la storica polacca di Vilnius, la dottoressa Irena Mikłaszewicz, che si occupa di storia della Chiesa, soprattutto in Lituania. È stata lei, nel corso delle sue ricerche, a trovare questi documenti in un archivio speciale a Vilnius, dove, tra le altre cose, sono conservati i documenti del Kgb. Ha pensato che bisognasse pubblicare questa documentazione inedita così rilevante in un libro e ha fatto questa proposta all’Istituto della memoria nazionale (Ipn) in Polonia. Successivamente l’Ipn si è rivolto a me, sapendo che da storico ero interessato a questo argomento. Quindi, insieme alla dottoressa Mikłaszewicz, abbiamo selezionato cinquantaquattro documenti per la pubblicazione del libro. Il resto dei documenti non riguarda la Chiesa, ma l’emigrazione lituana».
Come interagivano i servizi speciali lituani con la centrale a Mosca? Erano a loro disposizione o agivano in modo indipendente?
«Non possiamo parlare di servizi “lituani”, erano i servizi sovietici che operavano in Lituania. Il Kgb aveva una doppia struttura: l’apparato centrale situato a Mosca, da cui provenivano le istruzioni e gli ordini, e l’apparato locale sotto il controllo degli organi del partito comunista della Repubblica socialista sovietica lituana. Pertanto, l’apparato in Lituania era subordinato sia al capo del Kgb a Mosca che alle autorità comuniste di Vilnius. I servizi includevano un’intelligence chiamata “Dipartimento I”. Ed è stato il Dipartimento I in Lituania, commissionato da Mosca, che ha eseguito l’operazione “Kapella”. Le informazioni andavano in due direzioni: quelle raccolte dai servizi di Vilnius venivano inviate a Mosca e da Mosca a Vilnius venivano inviate analisi generali».
Chi è stato coinvolto nell’attività di intelligence?
«Alcuni ufficiali del Kgb lavoravano sotto copertura nelle ambasciate, nelle istituzioni sovietiche, altri nella stampa e nelle agenzie turistiche, negli uffici commerciali. Poi c’erano i cosiddetti “illegali” di cui non sappiamo nulla. Circa il 50% del personale del corpo diplomatico sovietico lavorava per l’intelligence. Inoltre, c’erano agenti reclutati tra il clero cattolico in Lituania, che aveva contatti con il Vaticano, e l’emigrazione lituana, penetrata da agenti sovietici».
Quali erano gli obiettivi dell’operazione “Kapella”?
«L’obiettivo era duplice: da un lato, ottenere informazioni dal Vaticano, ad esempio sui piani del papa, e analizzare tutto ciò che riguardava l’Unione Sovietica nelle attività del Vaticano. Ma c’era anche l’altro obiettivo: la diffusione presso l’opinione pubblica mondiale e il Vaticano delle informazioni adeguatamente preparate a Mosca per influenzare la percezione del Vaticano stesso».
Potrebbe fornire qualche esempio di tali azioni?
«Ad esempio, un prelato lituano viene in Vaticano con un documento sulla situazione della Chiesa in Lituania, ma questo documento è preparato a Mosca dal Kgb. Un altro esempio: su una nota rivista dell’emigrazione lituana è pubblicato un articolo preparato a Mosca, in cui il papa viene criticato per non aver corretto i confini diocesani tra Polonia e Lituania (dopo la Seconda guerra mondiale i confini tra i due Stati furono spostati) e accusato di nazionalismo».
Da quando i servizi segreti dell’Unione Sovietica si sono interessati a Giovanni Paolo II?
Fin dall’inizio del suo pontificato. Nel novembre 1978 abbiamo già la prima valutazione completa di Giovanni Paolo II: ho trovato questa analisi negli archivi della Stasi (i servizi segreti della Germania comunista). I servizi comunisti tedeschi l’avevano preparata sulla base di materiali forniti anche dai servizi segreti polacchi e ungheresi, che avevano una posizione molto forte in Vaticano. Nella loro analisi, i servizi segreti sottolineano un aspetto della personalità del papa, ovvero che conosceva perfettamente le realtà dei Paesi del blocco comunista, e quindi non sarebbe stato facile “prenderlo in giro”, come veniva fatto con i diplomatici vaticani. Ecco perché avvertivano i loro superiori politici che questo era un papa “pericoloso”. Anche se il primo allarme dopo l’elezione di Giovanni Paolo II è stato lanciato dai servizi in Ucraina.
Perché proprio in Ucraina?
«I servizi segreti hanno notato quello che è successo all’inizio del pontificato, quando i cardinali hanno reso omaggio a Giovanni Paolo II: il papa si è alzato davanti a due persone e le ha baciate per primo. Erano i cardinali Wyszyński, il primate di Polonia, e Slipyj, il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina in esilio a Roma. I servizi hanno interpretato questo gesto come un segnale che avrebbe favorito la lotta per la restaurazione della Chiesa greco-cattolica in Ucraina. Perciò, sono state inviate immediatamente informazioni allarmanti da Kiev a Mosca. Dal punto di vista dell’Unione Sovietica, il caso dell’Ucraina è stato il più delicato».
Perché?
«Perché in altre repubbliche, in Lituania o Lettonia, la Chiesa era completamente sotto controllo. Dagli anni Sessanta in poi venivano ordinati vescovi solo preti sui quali Mosca non aveva obiezioni. In Ucraina, invece, nonostante la Chiesa greco-cattolica fosse stata dichiarata illegale e sciolta da Stalin nel 1946, continuava a esistere una struttura clandestina con una forte adesione popolare: per questo il cattolicesimo era percepito come un potenziale pericolo, perché il regime pensava che gli ucraini avrebbero chiesto prima una Chiesa libera e, dopo, uno Stato indipendente. Era un grande pericolo per la coesione dell’Unione Sovietica, e quindi iniziarono varie attività».
Che tipo di azioni sono state intraprese nei confronti di Giovanni Paolo II? Cosa viene fuori dai documenti trovati a Vilnius?
«I servizi speciali raccolgono principalmente informazioni e intraprendono azioni specifiche, come i tentativi di impedire al papa di andare alla celebrazione del seicentesimo° anniversario del battesimo della Lituania o beatificare in Polonia Karolina Kózkowna, una giovane polacca uccisa durante la Prima guerra mondiale da un soldato russo durante un tentato stupro. Durante il pontificato di Giovanni Paolo II si sono state svolte anche attività di disinformazione, mettendo in circolazione nell’opinione pubblica mondiale false informazioni, che assecondavano gli interessi sovietici».
Il Kgb sovietico si è occupato anche della situazione in Polonia, tenendo conto del ruolo della Chiesa in Polonia e dell’influenza della Polonia sulle nazioni vicine?
«Sì. Mentre nei primi cinque anni l’operazione “Kapella” si concentra sui rapporti Vaticano-Unione Sovietica, dal 1987 ha iniziato a interessare la stessa Polonia. I servizi analizzano con molta attenzione il secondo e soprattutto il terzo pellegrinaggio del Papa in Polonia. È interessante notare come, nell’analisi del terzo pellegrinaggio, che comprendeva la significativa visita di Giovanni Paolo II a Danzica, la culla del sindacato Solidarnosc, l’analista dei servizi affermi che in un simile stato di cose la condivisione del potere con l’opposizione era ormai una questione di tempo. I servizi osservano da vicino anche le attività del primate della Polonia, il cardinale Glemp, e le sue attività in Oriente (ad esempio, un viaggio in Bielorussia nel 1988), nella convinzione che tutte le sue iniziative fossero state ordinate dal Papa».
Quest’anno ricorre il quarantesimo anniversario dell’attentato a Giovanni Paolo II. È noto che Ali Agca era solo un assassino al servizio di mandanti che fino a oggi rimangono sconosciuti. Da molti anni lei sta analizzando gli archivi dei servizi segreti polacchi e ha avuto l’opportunità di vedere anche gli archivi dei servizi segreti di altri Paesi dell’ex blocco comunista. Ci sono “tracce” che dimostrino il coinvolgimento di Mosca nell’attacco al papa?
«Ci sono ampie prove che l’Unione Sovietica avesse paura di questo pontificato e volesse accorciarlo. Quindi ci sono documenti che parlano delle motivazioni sottese all’attentato e non solamente degli aspetti tecnici correlati alla sua realizzazione. Ho visto documenti a Vilnius e Kiev, ma se ci sono documenti che parlano specificamente dell’attentato, questi devono essere a Mosca. Tuttavia, vorrei menzionare un documento di valore unico, che è il diario delle attività ufficiali di Leonid Breznev, che veniva preparato dalla sua segreteria, recentemente pubblicato a Mosca. Contiene informazioni su ciò che faceva, su chi incontrava e con chi parlava per telefono ogni giorno. Nel corso dei suoi lunghi diciotto anni di mandato quale capo dell’Unione Sovietica, c’è un solo giorno in cui Breznev sembra non aver fatto nulla».
Quale giorno?
«Il 13 maggio 1981. Quel giorno, al mattino Breznev riceve una delegazione dal Mozambico e poi fino alle 18.00 “lavora sulle carte”, come se stesse in attesa di notizie. Nel diario non c’è nessun’altro giorno come quello. È interessante notare che il giorno successivo Breznev incontra il capo del Kgb, Andropov, e il ministro degli Affari esteri, Gromyko. Ho anche scoperto che nel corso degli anni i contatti più intensi di Andropov con Breznev sono stati nel periodo aprile – maggio 1981. Non sappiamo di cosa stessero discutendo, ma ho notato questo fatto particolare. Volevo ricordare che ad aprile in Svizzera Ali Agca incontrò Celik, Celenek e Celebi e fissò la data dell’attentato nel mese di maggio: a partire dal mese di aprile i preparativi entrarono nella fase più intensa. È solo una pura coincidenza? Naturalmente, questa non è una prova concreta, ma sono fatti che fanno riflettere».
Fonte: alleanzacattolica.org
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