di monsignor Carlo Maria Viganò
In occasione del Simposio di Filosofia dedicato alla memoria di monsignor Antonio Livi, che si è tenuto a Venezia lo scorso 30 maggio (qui), ho cercato di individuare gli elementi che ricorrono costantemente, lungo la Storia, nell’opera di inganno del Maligno. In quella mia disamina (qui) mi ero focalizzato sulla frode pandemica, mostrando come le ragioni addotte per giustificare misure coercitive illegittime e non meno illegittime limitazioni delle libertà naturali, fossero in realtà delle prophasis, ossia delle motivazioni apparenti volte a celare un intento doloso e un disegno criminale. La pubblicazione delle mail di Anthony Fauci (qui) e l’impossibilità di censurare le sempre più numerose voci di dissenso rispetto alla narrazione mainstream hanno confermato la mia analisi e ci lasciano sperare in una sconfitta plateale dei fautori del Great Reset.
In quell’intervento mi ero soffermato, se ricordate, sul fatto che anche il Concilio Vaticano II fu in un certo modo un Great Reset per il corpo ecclesiale, al pari di altri eventi storici pianificati e pensati per rivoluzionare il corpo sociale. Anche in quel caso, infatti, le scuse addotte per legittimare la riforma liturgica, l’ecumenismo e la parlamentarizzazione dell’autorità dei Sacri Pastori non erano fondate sulla buonafede, ma sull’inganno e sulla menzogna, in modo da farci credere che il bene certo a cui rinunciavamo – la Messa apostolica, l’unicità della Chiesa per la salvezza, l’immutabilità del Magistero e l’Autorità della Gerarchia – potesse essere giustificato da un bene superiore. La qual cosa, come sappiamo, non solo non è avvenuta (né poteva avvenire), ma si è anzi manifestata in tutta la sua dirompente valenza eversiva: le chiese sono vuote, i seminari deserti, i conventi abbandonati, l’autorità screditata e pervertita in tirannide a vantaggio dei cattivi Pastori o resa inefficace per i buoni. E sappiamo anche che lo scopo di questo reset, di questa devastante rivoluzione era sin dall’inizio iniquo e doloso, ancorché ammantato di nobili intenti per convincere fedeli e Clero all’obbedienza.
Nel 2007 Benedetto XVI riconobbe pieno diritto di cittadinanza alla veneranda liturgia tridentina, restituendole quella legittimità che con un abuso le era stata negata per cinquant’anni. Nel suo motu proprio Summorum Pontificum egli dichiarò: “Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa. […] Per tale celebrazione secondo l’uno o l’altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario” (qui).
In realtà la lettera del motu proprio e dei documenti attuativi non fu mai applicata completamente e i cœtus fidelium che oggi celebrano nel rito apostolico continuano a rivolgersi al proprio Vescovo per averne il permesso, applicando in sostanza il dettato dell’Indulto del precedente motu proprio Ecclesia Dei di Giovanni Paolo II. Il giusto onore in cui dovrebbe esser tenuta la liturgia tradizionale fu moderato dalla sua equiparazione alla liturgia della riforma postconciliare, dall’esser definita quella forma straordinaria e questa forma ordinaria, come se la Sposa dell’Agnello potesse aver due voci – una pienamente cattolica e una equivocamente ecumenica – con le quali rivolgersi ora alla Maestà divina ora all’assemblea dei fedeli. Ma è altresì indubbio che la liberalizzazione della Messa tridentina abbia fatto tanto bene, alimentando la spiritualità di milioni di persone e avvicinando alla Fede molte anime che nella sterilità del rito riformato non trovavano alcuno sprone né alla conversione né tantomeno alla crescita interiore.
Lo scorso anno, con il tipico comportamento dei Novatori, la Santa Sede ha inviato alle diocesi dell’Orbe un questionario nel quale si chiedevano informazioni sull’applicazione del motu proprio di Benedetto XVI (qui): la formulazione stessa delle domande tradiva, ancora una volta, un secondo fine; e le risposte che sono state inviate a Roma dovevano creare la base di apparente legittimità per condurre ad una limitazione del motu proprio, se non addirittura alla sua totale abrogazione. Certamente, se sul Soglio sedesse ancora l’autore del Summorum Pontificum, quel questionario avrebbe consentito al pontefice di ricordare ai vescovi che nessun sacerdote deve chiedere il permesso per celebrare la Messa in rito antico, né esser per questo rimosso dal ministero. Ma l’intenzione reale di chi ha voluto interpellare gli Ordinari non pare risiedere nella salus animarum, bensì nell’odio teologico verso un rito che esprime con chiarezza adamantina la Fede immutabile della Santa Chiesa, e che per questo è alieno all’ecclesiologia conciliare, alla sua liturgia e alla dottrina che essa presuppone e che veicola. Non vi è nulla di più opposto al cosiddetto magistero del Vaticano II della liturgia tridentina: ogni preghiera, ogni pericope – come direbbero i liturgisti – costituisce un affronto alle orecchie delicate dei Novatori, ogni cerimonia è un’offesa ai loro occhi.
Il solo tollerare che vi siano cattolici che vogliano abbeverarsi alle sacre fonti di quel rito suona per essi come una sconfitta, sopportabile solo se essa è limitata a gruppuscoli di anziani nostalgici o di eccentrici esteti. Ma se la forma straordinaria – che è tale nel senso comune del termine – diventa la normalità per migliaia di famiglie, di giovani, di persone comuni e consapevoli della propria scelta, essa diventa una pietra di scandalo e va implacabilmente avversata, limitata, abolita; poiché non ci dev’essere alcun contraltare alla liturgia riformata, nessuna alternativa allo squallore dei riti conciliari, così come dinanzi alla narrazione mainstream del globalismo non vi può essere voce di dissenso o argomentata confutazione; o dinanzi agli effetti collaterali di un vaccino sperimentale non si possono adottare cure efficaci che ne dimostrerebbero l’inutilità.
Né possiamo stupircene: chi non viene da Dio, è insofferente a tutto ciò che ricorda anche remotamente un’epoca in cui la Chiesa cattolica era governata da pastori cattolici, e non da pastori infedeli che abusano della propria autorità; un’epoca in cui la Fede era predicata nella sua integrità alle genti, e non adulterata per compiacere il mondo; un’epoca in cui chi aveva fame e sete di Verità era nutrito e dissetato da una liturgia terrena nella forma ma divina nella sostanza. E se tutto ciò che fino a ieri era santo e buono oggi è condannato e fatto oggetto di scherno; consentire che ancora oggi ne rimanga traccia è inammissibile e costituisce un intollerabile affronto. Perché la Messa tridentina tocca corde dell’anima che il rito montiniano non osa nemmeno sfiorare.
Ovviamente quanti manovrano dietro le quinte vaticane per eliminare la Messa cattolica sono coloro che nel motu proprio vedono compromessa l’opera di decenni, minacciato il possesso di tante anime che oggi tengono soggiogate, e indebolita la loro tirannide sul corpo ecclesiale. Gli stessi sacerdoti e vescovi che come me hanno riscoperto quel tesoro inestimabile di fede e spiritualità – o che per grazia di Dio non l’hanno mai abbandonato, nonostante la feroce persecuzione del postconcilio – non sono disposti a rinunciarvi, avendo trovato in esso l’anima del loro Sacerdozio e l’alimento della loro vita soprannaturale. Ed è inquietante, oltre che scandaloso, che dinanzi al bene che la Messa tridentina porta alla Chiesa vi sia chi vuole vietarla o limitarne la celebrazione, sulla base di ragioni pretestuose.
Eppure, se ci mettiamo nei panni dei Novatori, comprendiamo quanto ciò sia perfettamente coerente con la loro distorta visione della Chiesa, che non è società perfetta gerarchicamente istituita da Dio per la salvezza delle anime, ma società umana in cui un’autorità corrotta e asservita all’élite asseconda ed anzi orienta le esigenze di vaga spiritualità della massa, rinnegando lo scopo per cui Nostro Signore l’ha voluta; e in cui i buoni Pastori sono costretti all’inazione dalle pastoie burocratiche cui sono i soli a obbedire. Questa empasse, questo vicolo cieco giuridico, fa sì che l’abuso dell’autorità possa imporsi ai sudditi proprio in virtù del fatto che questi riconoscono in essa la voce di Cristo, anche dinanzi all’evidenza della malvagità intrinseca degli ordini impartiti, delle motivazioni che li determinano e degli stessi soggetti che la esercitano. D’altra parte, anche nell’ambito civile, durante la pandemia, molti hanno obbedito a norme assurde e dannose perché erano state loro imposte da medici, virologi e politici che dovrebbero avere a cuore la salute e il benessere dei cittadini; e molti non hanno voluto credere, nemmeno dinanzi all’evidenza del disegno criminale, che costoro potessero volere positivamente la morte o la malattia di milioni di persone. È quella che gli esperti di psicologia sociale chiamano dissonanza cognitiva, la quale induce i singoli a rifugiarsi in una confortevole nicchia di irrazionalità piuttosto che riconoscersi vittime di un colossale inganno e dover quindi reagire virilmente.
Non chiediamoci quindi per quale motivo, davanti al moltiplicarsi delle comunità legate all’antica liturgia, al fiorire di vocazioni quasi esclusivamente nell’ambito del motu proprio, all’incremento della frequenza ai sacramenti e alla coerenza di vita cristiana di quanti lo seguono si voglia sciaguratamente conculcare un diritto inalienabile e ostacolare la Messa apostolica: la domanda è sbagliata e la risposta sarebbe fuorviante.
Chiediamoci piuttosto per quale motivo degli eretici notori e dei fornicatori senza morale dovrebbero tollerare che i loro errori e la loro condotta di vita deplorevole siano messi in discussione da una minoranza di fedeli e chierici senza tutele, quando hanno il potere di impedirlo. A quel punto comprendiamo bene che questa avversione non può non esplicitarsi proprio e soltanto nel porre fine al motu proprio, abusando di un’autorità usurpata e pervertita. Anche ai tempi della pseudoriforma protestante la tolleranza verso alcuni usi liturgici radicati nel popolo ebbe vita breve, perché quelle devozioni per la Vergine Maria, quegli inni in latino, quei suoni di campanello all’Elevazione – che Elevazione non era più – dovevano per forza di cose scomparire, essendo espressione di una Fede che i seguaci di Lutero avevano rinnegato. E sarebbe assurdo sperare che vi possa essere una pacifica convivenza tra Novus e Vetus Ordo, così come tra Messa cattolica e Cena luterana, vista l’incompatibilità ontologica che vi è tra loro. A ben vedere, la sconfitta del Vetus auspicata dai fautori del Novus è quantomeno coerente con i loro principi, esattamente come dovrebbe esserlo la sconfitta del Novus da parte del Vetus. Sbagliano quindi quanti credono possibile tenere insieme due forme opposte di culto cattolico, in nome di una pluralità di espressione liturgica che è figlia della mentalità conciliare né più né meno dell’ermeneutica della continuità.
Il modus operandi dei Novatori emerge ancora una volta in questa operazione contro il motu proprio: prima alcuni tra i più fanatici oppositori della liturgia tradizionale lanciano come provocazione l’abrogazione del Summorum Pontificum definendo la Messa antica come “divisiva”; poi la Congregazione per la dottrina della fede chiede agli ordinari di rispondere ad un questionario (qui), le cui risposte sono praticamente preconfezionate (la carriera del vescovo dipende dal modo in cui egli asseconderà ciò che riferirà alla Santa Sede, perché del contenuto del questionario verranno a conoscenza anche alla Congregazione dei vescovi); quindi, con noncuranza, durante una riunione a porte chiuse con i membri dell’episcopato italiano, Bergoglio si dice preoccupato dei seminaristi «che sembravano buoni, ma rigidi» (qui) e della diffusione della liturgia tradizionale, sempre ribadendo che la riforma liturgica conciliare è irreversibile; ancora, egli nomina prefetto del Culto divino un acerrimo nemico del Vetus Ordo, che costituisca un alleato nell’applicazione delle eventuali restrizioni; infine, apprendiamo che i cardinali Parolin e Ouellet sono tra i primi a volere questo ridimensionamento del motu proprio (qui): questo ovviamente porta i presuli “conservatori” ad accorrere in difesa dell’attuale regime di compresenza delle due forme ordinaria e straordinaria, dando a Francesco l’opportunità di mostrarsi come prudente moderatore delle due opposte correnti e portando “solamente” ad una limitazione del Summorum Pontificum anziché alla sua totale abrogazione. Il che – come sappiamo – era esattamente ciò che egli si prefiggeva sin dall’inizio dell’operazione.
Indipendentemente dall’esito finale, il deus ex machina di questa prevedibile pièce è e rimane Bergoglio, pronto tanto a prendersi il merito di un gesto di clemente indulgenza verso i conservatori, quanto anche a scaricare le responsabilità di una applicazione restrittiva sul nuovo prefetto, monsignor Arthur Roche e sui suoi gregari. Così, in caso di una protesta corale dei fedeli e di una reazione scomposta del prefetto o di altri prelati, ancora una volta si godrà lo scontro tra progressisti e tradizionalisti, avendo poi ottimi argomenti per affermare che la convivenza delle due forme del Rito Romano comporta divisioni nella Chiesa e che è quindi più prudente tornare alla pax montiniana, ossia alla proscrizione totale della Messa di sempre.
Esorto i miei confratelli nell’episcopato, i sacerdoti e i laici a difendere strenuamente il loro diritto alla liturgia cattolica, solennemente sancito dalla bolla Quo primum di san Pio V; e a difendere con essa la Santa Chiesa e il papato, l’una e l’altro esposti al discredito e al ludibrio da parte degli stessi pastori. La questione del motu proprio non è minimamente negoziabile, perché in esso è ribadita la legittimità di un rito mai abrogato né abrogabile. Inoltre, al danno certo che queste ventilate novità porteranno alle anime e al vantaggio certo che ne deriverà al demonio e ai suoi servi, si aggiunge lo sgarbo indecoroso a Benedetto XVI, tuttora vivente, da parte di Bergoglio. Il quale dovrebbe sapere che l’autorità che il romano pontefice esercita sulla Chiesa è vicaria, e che il potere che ha gli viene da Nostro Signore Gesù Cristo, unico Capo del Corpo Mistico: abusare dell’Autorità apostolica e del potere delle Sante Chiavi per uno scopo opposto a quello per cui sono state istituite dal Signore rappresenta un’inaudita offesa alla Maestà di Dio, un disonore per la Chiesa e una colpa della quale egli dovrà rispondere a Colui di cui egli è vicario. E chi rifiuta il titolo di vicario di Cristo sappia che con esso viene meno anche la legittimazione della sua autorità.
Non è accettabile che l’autorità suprema della Chiesa si permetta di cancellare, in una inquietante operazione di cancel culture in chiave religiosa, l’eredità che ha ricevuto dai suoi padri; né è ammissibile considerare fuori dalla Chiesa quanti non sono disposti ad accettare la privazione della Messa e dei sacramenti celebrati nella forma che ha forgiato quasi duemila anni di santi. La Chiesa non è un’azienda in cui l’ufficio marketing decide di cancellare dal catalogo vecchi prodotti e di proporne di nuovi, a seconda delle richieste della clientela. È già stato doloroso imporre con la forza ai sacerdoti e ai fedeli la rivoluzione liturgica, in nome dell’obbedienza al Concilio, strappando loro l’anima stessa della vita cristiana e sostituendola con un rito che il massone Bugnini ha scopiazzato dal Book of Common Prayer di Cranmer. Quell’abuso, sanato parzialmente da Benedetto XVI con il motu proprio, non può esser in alcun modo ripetuto ora, in presenza di elementi che sono tutti ampiamente a favore della liberalizzazione dell’antica liturgia. Semmai si fosse voluto davvero aiutare in questa crisi il popolo di Dio, si sarebbe dovuta abolire la liturgia riformata, che in cinquant’anni ha causato più danni di quanti non ne abbia fatti il calvinismo.
Non sappiamo se le paventate restrizioni che la Santa Sede intende apportare al motu proprio toccheranno i sacerdoti diocesani o se interesseranno anche gli Istituti, i cui membri celebrano esclusivamente il rito antico. Temo tuttavia, come peraltro ho avuto modo di dire già in passato, che sarà proprio su questi ultimi che si scatenerà l’azione demolitrice dei Novatori; i quali possono forse tollerare gli aspetti cerimoniali della liturgia tridentina, ma non accettano assolutamente l’adesione all’impianto dottrinale ed ecclesiologico che essa implica, e che contrasta nettamente con le deviazioni conciliari che essi vogliono imporre senza deroga. Ecco perché c’è da temere che verrà chiesta a questi Istituti una qualche forma di sottomissione alla liturgia conciliare, ad esempio rendendo obbligatoria la celebrazione almeno saltuaria del Novus Ordo, come devono fare già ora i sacerdoti diocesani. In questo modo, chi si avvale del motu proprio si vedrà costretto non solo ad una accettazione implicita della liturgia riformata, ma anche ad una pubblica accettazione del nuovo rito e della sua mens dottrinale. E chi celebrerà le due forme del rito si troverà ipso facto screditato anzitutto nella sua coerenza, facendo passare le sue scelte liturgiche come un fatto meramente estetico, direi quasi coreografico e privandolo di qualsiasi giudizio critico nei confronti della Messa montiniana e della mens che le dà forma: perché si troverà costretto a celebrarla, quella Messa. Un’operazione maliziosa e astuta, questa, in cui un’autorità che abusa del suo potere delegittima chi le si oppone, da un lato concedendo il rito antico, ma dall’altro facendo di esso una questione meramente estetica ed obbligando ad un insidioso biritualismo e ad una ancor più insidiosa adesione a due impostazioni dottrinali opposte e contrastanti. Ma come si può chiedere a un sacerdote di celebrare ora un rito venerabile e santo in cui egli ritrova perfetta coerenza tra dottrina, cerimonia e vita, e ora un rito falsato che ammicca agli eretici e tace vilmente quello che l’altro proclama con fierezza?
Preghiamo, dunque: preghiamo perché la Divina Maestà, cui rendiamo culto perfetto celebrando il venerando rito apostolico, si degni di illuminare i sacri pastori affinché desistano dal loro proposito, ed anzi incrementino la Messa tridentina per il bene della Santa Chiesa e per la gloria della Santissima Trinità. Invochiamo i santi patroni della Messa – san Gregorio Magno, san Pio V e san Pio X in primis – e tutti i santi che nel corso dei secoli hanno celebrato il Santo Sacrificio nella forma che ci è stata tramandata perché la custodissimo fedelmente. Possa la loro intercessione presso il trono di Dio impetrarci la conservazione della Messa di sempre, grazie alla quale santificarci, rafforzarci nelle virtù e resistere agli attacchi del Maligno. E se mai i peccati degli uomini di Chiesa dovessero meritarci una punizione tanto severa come profetato da Daniele, prepariamoci a discendere nelle catacombe, offrendo questa prova per la conversione dei pastori.
+ Carlo Maria Viganò, arcivescovo
9 giugno 2021
Feria IV infra Hebdomadam II post Octavam Pentecostes
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