di Aurelio Porfiri
Ho detto in numerose occasioni come un’influenza decisiva nella mia formazione l’abbia avuta il libro Ipotesi su Gesù, di Vittorio Messori (che le edizioni Ares hanno recentemente riproposto).
Questo libro uscì nell’autunno del 1976, cioè quarantacinque anni fa, un anniversario che ritengo vada celebrato. Almeno io l’ho celebrato a modo mio, rileggendo tutto il testo nell’edizione originale della SEI che ancora possiedo, a distanza di trentacinque anni dal mio primo impatto con questo testo.
Sulla copia in mio possesso è scritto che si tratta della trentaduesima edizione (!): un successo editoriale senza precedenti, con più di un milione di copie vendute in Italia e oltre trenta traduzioni in giro per il mondo.
Ristampato, come dicevo, nel 2019 dall’Ares, il libro è ancora disponibile per i lettori italiani in una nuova veste e suggerisco di approfittarne.
Oggi io non sono oggi quello che ero trentacinque anni fa, quindi ho riletto il libro di Vittorio Messori con occhi nuovi. D’altra parte, neppure l’autore è quello di quarantacinque anni fa, un fresco convertito pieno di entusiasmi e di voglia di condividere qualcosa su quel Gesù che misteriosamente aveva scoperto, lui che proveniva da una formazione che più laicista non si poteva. Questo può spiegare quell’accanimento derivato dall’amato Blaise Pascal (a cui il libro è dedicato) contro il Dio dei filosofi nel secondo capitolo, che in effetti l’autore ha poi riconsiderato e fatto definitivamente cadere nella nuova edizione, in cui parla di “estremismi”: “Estremismi che, allora, convinsero anche me: mi ci volle del tempo prima di scoprire come tutto il cristianesimo, nella sua versione cattolica (che è la mia come, del resto, quella del geniale Blaise) si regge sull’et-et, sul ‘questo ma anche quello’, spesso sull’unione dei contrari, trasfigurati in sintesi. Come mi disse Jean Guitton (uno dei maestri cui devo molto, anche soprattutto per questo libro): ‘Sono cattolico perché voglio tutto, non voglio rinunciare a nulla’. Dunque, occorrono insieme filosofi e teologi, sapienti e credenti. Non a caso, nei programmi didattici per i seminaristi cattolici, lo studio della filosofia precede obbligatoriamente quello della teologia”.
La rilettura del libro di Messori mi ha riportato alla mia scoperta che il cristianesimo non è solo una faccenda di discorsi pii e devoti, ma ha una sua profonda ragionevolezza. E tutto ciò lo devo proprio a Messori, e in particolare a questo suo primo libro che mi aprì a una dimensione della fede che si era persa nella confusione postconciliare. Si può essere cattolici e non rinunciare a ragionare.
C’è quell’inizio folgorante, che mi è sempre rimasto in mente, anche in questi decenni in cui ho tenuto il libro ben riposto ma non sempre l’ho sfogliato: “Di Gesù non si parla tra persone educate. Con il sesso, il denaro, la morte, Gesù è tra gli argomenti che mettono a disagio in una conversazione civile. Troppi i secoli di devozionalismo. Troppe le immagini di sentimentali nazareni con i capelli biondi e gli occhi azzurri: il Signore delle signore. Troppe quelle prime comunioni presentate come ‘Gesù che viene nel tuo cuoricino’. Non a torto tra persone di gusto quel nome suona dolciastro. È irrimediabilmente tabù”. Un bell’inizio.
Ricordo che seguii Messori nelle pagine del libro riconoscendo che – addirittura! – la pretesa cristiana ha una sua ragionevolezza. E un libro così non lo poteva scrivere che una persona proveniente dal laicismo più ferreo, il che gli farà dire: “Do tutta la mia solidarietà e la mia simpatia ai cosiddetti ‘increduli’ quando non vogliono i cristiani creduli; che è il contrario di credenti. Senza gli ‘increduli’, sul problema di Gesù si sarebbe ancora all’apologetica barocca”.
Pur io venendo a simpatizzare con l’apologetica barocca, devo però riconoscere la solidità di questa osservazione. Più avanti Messori dice: “Mi è parso sin qui di scoprire che, malgrado tutto, su Gesù i conti tornano. Che l’ultimo passo della ragione può essere il riconoscere che vi è una dimensione che supera la ragione stessa. Che può essere ragionevole scommettere sull’ipotesi su cui si regge la fede”. Parole sante!
Quella lettura mi spinse poi a leggere tutto (o quasi) ciò che Vittorio Messori andava scrivendo, ricavandone sempre un sano nutrimento per la mia crescita spirituale. Ma devo riconoscere che Ipotesi su Gesù è stato un inizio folgorante, che mi ha mostrato che non si correva dietro a delle favole ma a una fede che ha forti elementi di ragionevolezza. E questa esigenza, visto il successo del libro, non era solo la mia ma di milioni di altre persone in giro per il mondo che si sono riconosciute in questo libro, che hanno trovato una risposta a tanti dubbi e domande che rimangono spesso inevase da parte di una certa Chiesa di oggi che rifugge dall’apologetica per rifugiarsi nella sociologia, nell’ecologia, nella psicologia o nell’antropologia.