Lettera / “Caro seminarista in crisi, non dimenticare la Provvidenza!”
di don Silvestro Mazzer
Gentile Aldo Maria Valli, alla lettera del seminarista in crisi di fede, da lei riportata recentemente nel suo blog, Peter Kwasniewsi ha risposto efficacemente, con l’appello ai nostri santi, alla bellezza della millenaria Civiltà cristiana, alla grande tradizione di pensiero (Padri, teologi) e soprattutto alla Tadizione di fede della Chiesa.
Da parte mia, aggiungo qualche pensiero che prendo da un articolo apparso sulla Nouvelle Revue Théologique (anno 1933, p. 131): Raisons personelle de croire. Lettre à un professeur d’Université, articolo in cui l’autore, padre Maurice Claeys Bouuaert, S.J., si pone un’obiezione e vi risponde.
Obiezione del non credente: «Che cosa vediamo di solito? Un’immensa moltitudine di credenti che non differiscono dai non credenti che per la frequentazione della chiesa e il compimento di riti di cui nessuno vede l’efficacia; la loro condotta smentisce visibilmente ciò che la fede insegna, ossia che i riti operano di per se stessi una vita nuova. V’è anche un gran numero di preti, religiosi, anche vescovi, la cui vita appare confortevole: se essi offrono i loro sacrifici a Dio, essi hanno le loro compensazioni».
Risposta: «L’obiezione, lo riconosco, non manca di verosimiglianza. Quando tali cattolici sono numerosi, quando arrivano a formare la grande, l’immensa maggioranza, com’è il caso in tale o talaltra regione, uno è tentato di chiedersi dov’è la potenza del cattolicesimo, a che cosa serve, se non ha fatto fallimento, e di concludere che esso non è un’opera dell’Onnipotenza divina. E tuttavia, questa conclusione sarebbe illegittima, perché la religione è un principio di vita che trasforma gli uomini soltanto nella misura in cui questi cooperano con esso, con tutta la loro forza. Una vita cristiana ordinaria, fosse anche tiepida, non manifesta affatto il fallimento dei principi cristiani, ma la riparazione incessante delle debolezze e delle cadute nella fedeltà a quei principi. E non è forse vero che là dove c’è questa fedeltà, o si sforza d’essere totale, si rivela una grandezza morale incomparabilmente superiore alla più scrupolosa onestà di questo mondo? Si tratta di una limpidezza d’animo, una benevolenza attiva e umile, un votarsi illimitato al bene, che mostra nel cattolico integrale una chiamata che viene dall’alto, che porta sempre più in alto. Ora simili esempi si nascondono nella trama ordinaria e quotidiana della vita cattolica. I cristiani che li danno sono forse uno su cento, o su mille, ma essi esistono, e per quanto poco uno cerchi di servire e amare Dio con tutte le sue forze, arriva presto a scoprirli».
Raccomanderei, inoltre, al seminarista un argomento assai frequente nell’apologetica dei tempi passati, ma oggi purtroppo dimenticato, forse perché la ragione naturale (metafisica) del Vaticano I, di san Pio X, della Fides et ratio, è stata ben zittita, umiliata, accusata di estrinsecismo, astrattismo, astoricismo, e infine condannata al perpetuo oblio. È l’argomento della Provvidenza. Ne cito alcuni esempi.
Girolamo Savonarola, O.P. (1442 – 1498), Il trionfo della croce: «O veramente che noi non neghiamo la divina iustizia e providenzia; o che noi diciamo ogni cosa essere a caso, o procedere dalla disposizione fatale, e negare totalmente essere Dio. Le quali cose essendo assurde, è necessario confessare la fede di Cristo essere vera».
Iohannes de Lugo, S.J. (1583 – 1660): «Infine, un fortissimo motivo e argomento viene desunto dalla Provvidenza di Dio, che non può permettere (non sineret) che quegli uomini, che con maggior impegno cercano l’onore divino e la rettitudine della virtù, loro, proprio loro, siano i più ingannati circa la vera religione, e siano più miserabili di tutti gli altri uomini, che almeno in questa vita godono dei piaceri, e che questo accada loro proprio per aver abbracciato quella religione che è resa credibile da così tanti argomenti e motivi – e di tanto valore –, dai quali nessuna altra setta in nessuna parte del mondo fu confermata. Per cui giustamente Riccardo di San Vittore, al tempo stesso con audacia e pietà, così parla a Dio: “Signore, se è falso ciò che crediamo, da te siamo stati ingannati; queste cose infatti ci sono state confermate da tali segni, che solo da te poterono essere compiut”i».
Martinus de Esparza-Arteda, S.J. (1606 – 1689): «Dopo aver considerate, ponderate, esaminato in profondità queste cose con animo attento, sincero e pacato, bisogna volgere gli occhi alla divina Provvidenza: appare evidentissimamente che ripugna alla rettitudine, e somma equità, con cui la Provvidenza regge i mortali, il permettere che sia resa credibile, con tanti e tali segni di dottrina vera e divina, una dottrina che non sia né divina, né vera, e che permetta che con argomenti a tal punto insuperabili siano sedotti uomini che amano il vero, e che siano distolti dal loro ultimo fine, con notevole e incolpevole danno dei beni sia temporali che eterni, per cui avrebbero poi il diritto di esclamare con Riccardo di San Vittore: “Signore, se è errato ciò che crediamo, è da Te che siamo stati ingannati; da tali segni, infatti, questa dottrina è stata confermata, che solo da Te poterono essere compiuti”».
Miguel de Elizalde, S.J (1616 – 1678): «O c’è in Dio la Provvidenza, e allora per ciò stesso se ne deduce con evidenza che quella [religione cattolica] è vera. O non c’è la Provvidenza, e allora essa è così superiore solo per il destino, o per caso. O Dio nel mondo non c’è, o quella è manifestamente vera».
Léonce de Grandmaison, S.J. (1868 – 1927): «Il ricorso alla Provvidenza di Dio completerà ordinariamente l’opera di render certa un’interpretazione fortemente suggerita dalla grandezza del fatto e dalla sua qualità religiosa. Il famoso detto di Riccardo di San Vittore s’applica qui a pieno diritto».
Quanto poi al gran bailamme teologico in auge oggidì, non ci faccia gran caso il nostro seminarista: col tempo, il polverone si depositerà e l’aria si purificherà. Io amo molto la Messa in italiano (sperando che un giorno, in una qualche sperduta chiesa di questo mondo, io possa vederla celebrata con molta umiltà, molta fede, molto sentimento, non moltiplicando prediche e parole private, ma con le purissime parole della liturgia). Tuttavia, anche se sono grato di questo al Concilio Vaticano II e a san Paolo VI, non capisco perché si faccia tanta fatica a capire che c’è anche un altro modo di “sentire” la religione. C’è, sì, bellissimo, il modo della Famiglia di Dio, della comunità (Messa in italiano); ma c’è anche il modo della fede in ginocchio, del prostrarsi adorante, del Mistero vissuto in silenzio (Messa in latino). Chi l’ha detto che tutti devono uniformarsi a un solo modo? Il nostro seminarista saprà bene, dai suoi studi filosofici, che vi sono due modi di sentire la verità: Platone e Aristotele, Agostino e Tommaso, o (a rovescio) Cartesio e Pascal, Husserl e Scheler, Jacques (Maritain) e Raissa… E saprà bene, dai suoi studi teologici, che il Paradiso è per Tommaso, anzitutto, vedere Dio Verità, mentre per Bonaventura è, anzitutto, amare Dio Amore. La fede cristiana è, per così dire, duplice: essa crede in Dio-Logos-Verità e al tempo stesso crede in Dio-Agape-Amore. Il sole va da Oriente a Occidente, ma ogni giorno risorge a Oriente. Il medesimo altare può essere sia ara per il sacrificio che tavola per la cena sacramentale; sia coram Deo sia coram populo. I pericoli stanno sia qui che là: da un lato rigidismi, settarismi, anatemi, chiusure arrabbiate, dall’altro lato sabbie mobili di comunità liquide, tutte baci e abbracci, ma a loro volta ferocemente escludenti. Ma il Buon Dio c’è, e ci salva e ci salverà. Del resto, altro è il Concilio, e tutt’altro sono gli sbandieratori del Concilio. La Chiesa non è di chi grida di più, o di chi la pensa in un modo o nell’altro; è di Gesù. Ed ha un’anima, lo Spirito Santo, che «vi insegnerà ogni cosa».
Un caro saluto al seminarista, e un grazie deferente a lei, caro Valli
don Silvestro Mazzer
Colleferro (Roma)