Cari amici di Duc in altum, dal sito caminante-wanderer.blogspot.com una riflessione sulla figura papale e la sua trasformazione. La traduzione, di Valentina Lazzari, è stata rivista dall’autore.
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L’era post-Bergoglio, che sembrerebbe essere più vicina di quanto pensassimo, dovrà dedicarsi alla ricostruzione di vari elementi della Chiesa che, per ragioni più o meno valide, sono andati distrutti negli ultimi secoli. E uno di questi è la sua istituzionalità, cioè la concezione della Chiesa come istituzione in cui i personaggi che occupano posizioni di governo sono circostanziali e secondari. Quello che si osserva è che da diversi pontificati la Chiesa ha adottato un carattere più vicino a quello di un movimento piuttosto che a quello di una istituzione. E questo è successo, a mio avviso, a partire dal pontificato di Pio IX e dalla sua esaltazione del papato romano a livelli mai raggiunti in precedenza, trasformando così il Papa in un caudillo. Vale la pena ricordare qui due aneddoti riguardanti questo pontefice. Nel pomeriggio del 18 giugno 1870, mentre si svolgeva il Concilio Vaticano I, ebbe luogo un’accesa discussione tra questo pontefice e il cardinale Guidi per le riserve che il dotto cardinale domenicano aveva sulla convenienza di proclamare il dogma dell’infallibilità, adducendo che non era una verità chiaramente conservata nella Tradizione. Pio IX gli rispose tra le urla: “… io, io sono la Tradizione, io, io, io sono la Chiesa” [in italiano nell’originale] (cf. K. Schatz, Vaticanum I, vol. III, Paderborn, 1992, p. 312-322). E in un’altra occasione, durante l’incontro tra il pontefice e il patriarca melchita Gregorio II Youssef-Sayour, fermo oppositore della definizione del dogma dell’infallibilità, il vescovo orientale fu gettato a terra da una guardia svizzera e Pio IX, mentre gli calpestava la testa, disse: “Gregorio testone” (Ken Parry, David Melling, The Blackwell Dictionary of Eastern Christianity, Malden 1999, p. 313). Al di là della convenienza o meno della proclamazione di quel dogma, la verità è che Pio IX era diventato un caudillo che faceva il bello e cattivo tempo nella Chiesa secondo la sua volontà onnicomprensiva e trattava il resto dei vescovi, successori degli apostoli come lui, quali semplici dipendenti.
Ma la Chiesa, che è un’istituzione fondata da Cristo, non possiede né ha bisogno di caudillos; necessita di gerarchi che la governino come custodi e interpreti della Rivelazione espressa nelle Scritture e nella Tradizione. Non ha bisogno di leader carismatici e autoritari. Questa è la caratteristica distintiva dei movimenti, ed è sufficiente ricordare cos’è successo nei secoli passati: il nazismo ha avuto bisogno di Hitler, il fascismo di Mussolini e il peronismo di Perón. E ancora, i Neocatecumenali di Kiko, Bose di Enzo Bianchi e i Focolarini di Chiara Lubich.
La caratteristica di un “movimento” è, giustappunto, muoversi verso qualcosa. In altre parole, esiste un’agenda programmatica, configurata da un progetto con una propria dynamis, e uno stile, quello del caudillo, cioè il leader del movimento. In poche parole: il Papa comincia a configurarsi come caudillo, e il cattolicesimo come religione del Papa. Questo è il cattolicesimo che può essere definito come papismo, ma papismo del caudillo che diventa tale per carisma e carattere personale, non per istituzione e che costringe i fedeli a adottare i propri obiettivi programmatici personali, sia dottrinali sia liturgici.
Allo stesso modo, la base di legittimità del Papa muta per la necessità interna di aderire a quel carattere, divenendo populismo e richiedendo l’adozione di atteggiamenti lesivi della tradizione. Un Papa politicamente scorretto, che perde l’appoggio popolare e non è più sufficientemente acclamato dalle masse, comincia ad essere in pericolo, perché il caudillo è legittimato dal popolo.
In altre parole, da più di un secolo l’essere cattolico si identifica con l’appartenenza alla «religione del Papa». Cioè, la religione si identifica con la figura di una persona, che è sempre circostanziale, e la persona si trasforma in caudillo.
Tutto ciò è una pericolosa perversione del fatto religioso e una dannosa involuzione che ci sottrae ai domini di una religione evangelica e ci avvicina molto a una religione tribale. Ovvero, ci allontana da una religione in cui i suoi membri seguono e si impegnano esistenzialmente in un messaggio che, in modo radicale, guida i suoi fedeli verso la vita trascendente che si apre dopo la morte corporea. L’adesione al messaggio evangelico è sostituita dall’adesione incondizionata alla persona che, in modo vicario, stabilisce la necessaria ed essenziale referenzialità che ogni religione deve avere.
Non metto in discussione la necessità di una Chiesa visibile che, in quanto tale, ha bisogno di un culto e di una struttura umana di governo e di accompagnamento pastorale dei fedeli. E questa struttura, gerarchica per natura, deve logicamente appoggiarsi alla figura di chi si costituisce vicario del Fondatore, cioè il Papa. Il problema si pone quando si trasferisce al Papa l’adesione esistenziale e, in definitiva, la fede, spostando o offuscando il Vangelo. Cioè, la fede del cristiano finisce per essere la fede del Papa o, peggio ancora, la fede nel Papa. Vale a dire la fede in una persona che, pur possedendo la legittimità giuridica necessaria e la promessa di indefettibilità in materia di fede concesse dal Signore, non cessa di essere un essere umano con tutti i limiti del caso.
La fede e la religione cristiana hanno un solo capo, che è Cristo. Non hanno un caudillo, sia esso il Papa, il vescovo o il fondatore di una congregazione.
Certamente è molto più facile avere un caudillo, perché lo si può vedere, sentire e toccare, e suscita un entusiasmo trionfalistico coinvolgente come si osserva, ad esempio, nelle Giornate mondiali della gioventù o nelle passate udienze del mercoledì in piazza San Pietro: centinaia di migliaia di persone che acclamano un caudillo, che sia Francesco, Benedetto o Pio, è lo stesso. Non vedo molta differenza con i massicci raduni a Norimberga o a piazza Venezia negli anni Trenta, o con l’affollata Plaza de Mayo degli anni Quaranta o Cinquanta [Plaza de Mayo è il punto centrale per il turismo di Buenos Aires. Molti degli eventi più memorabili dell’Argentina hanno avuto luogo in questa piazza, ndt].
Quali sono i problemi che ne derivano? Innumerevoli. Uno di questi, molto reale, è che i cristiani finiscano per vivere la loro fede non al ritmo del Vangelo ma al ritmo del Papa, e questa è una perversione. Un altro è che, confondendo la religione con il papato, la stessa dinamica di confusione richiederà affiliazioni e fedeltà più o meno rigorose a strutture in genere altamente personalizzate come modo indispensabile di appartenenza alla Chiesa e al Vangelo.
Il problema continua a essere lo stesso: sostituire la religione di Cristo con la religione del Papa. Per questa ragione è urgente che nell’era post-Bergoglio la Chiesa riprenda la sua istituzionalità; che il Papa torni nuovamente a convincersi di essere un personaggio circostanziale la cui figura deve diminuire e quasi scomparire affinché risalti la figura di Cristo. Abbiamo bisogno di un Papa santo, saggio e prudente. Non abbiamo più bisogno di Papi caudillos.
Fonte: caminante-wanderer.blogspot.com
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Il volume prende in esame questioni disparate (dal Concilio Vaticano II al pontificato di Francesco, dalla vita spirituale in regime di lockdown alle vicende vaticane, dal great reset alle questioni bioetiche) ma con un filo conduttore: l’amore per la Chiesa e la Tradizione, unito a una denuncia chiara sia delle derive moderniste sia delle nuove forme di dispotismo che limitano o negano le libertà fondamentali.
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