Il modo in cui la stampa mainstream (ma meglio sarebbe chiamarla stampa dogmatica) si è occupata delle manifestazioni contro il green pass risponde a uno schema fisso. Per farsene un’idea, è utile rileggere quanto scrive François Bousquet nel suo Courage! Manuel de guérilla culturelle, ottimamente tradotto in italiano dalle edizioni Passaggio al bosco (Coraggio! Manuale di guerriglia culturale, 2020, 230 pagine, 16 euro).
Quattro, scrive l’autore francese, sono le mosse del pensiero unico, e della stampa subalterna, nei confronti di chi non sta al gioco e non ha intenzione di allinearsi: la prima è l’invisibilizzazione (parlare il meno possibile dei soggetti in questione e non mostrane le immagini, specie se le immagini dimostrano che le manifestazioni raccolgono veramente tanta gente); la seconda è l’inferiorizzazione (dipingere tali persone come ignoranti zoticoni, vittime delle fake news); la terza è la demonizzazione (tali soggetti sono così pericolosi che vanno solo combattuti, nei loro confronti non c’è margine di trattativa); la quarta è la patologizzazione (che va condotta a colpi di metafore epidemiologiche e psichiatriche: il vero virus sono loro, dovrebbero andare tutti in analisi, eccetera).
A volte però succede che qualche sassolino si introduca nell’ingranaggio. È il caso del commento (A proposito del decreto sul green pass) che Massimo Cacciari e Giorgio Agamben hanno scritto per il sito dell’Istituto italiano per gli studi filosofici e nel quale sostengono che il green pass è un’autentica discriminazione, che così facendo si introduce una inaccettabile divisione tra cittadini di serie A e di serie B e che questo fatto gravissimo è destinato ad avere conseguenze drammatiche per la vita democratica.
Ora, applicare lo schema di Bousquet a Cacciari e Agamben non è facile. Un po’ arduo sostenere che si tratti di due allocchi ignoranti, pericolosi e malati di mente. E ancora meno facile passare le loro riflessioni sotto silenzio. Allora li si attacca frontalmente. E allora succede che sull’Huffington Post si legga una reazione di questo tipo: “Si può essere Massimo Cacciari e Giorgio Agamben, due tra i più importanti filosofi italiani, e prendere una cantonata? Oh, certo che sì può, soprattutto quando si perde la dimensione dell’umano e, pur di intervenire su tutto, si scomodano paragoni insostenibili”.
Dimensione dell’umano?
E poi ecco l’insinuazione. Colui che ha scritto quelle cose non è veramente Cacciari. Infatti, “chi ha vergato quelle parole con Agamben non è Cacciari. È l’intellettuale che intende stupire con effetti speciali, l’altro Cacciari, sdoppiato, che ha a cuore la minoranza della minoranza, il timore che la discriminazione possa dividere i cittadini di serie A da quelli di serie B, senza comprendere che il campionato vero, il campionato della vita, è sospeso, in attesa di sapere se una variante o l’altra lo farà riprendere o estinguere per sempre”.
Il campionato della vita!
E ancora: “Non mi spaventa il no-vax. Mi spaventa il vaccinato che si preoccupa della democrazia, il vaccinato che disquisisce sulla libertà in pericolo se ti chiedono di esibire un certificato per entrare in un ristorante o a teatro”.
Vabbè, inutile stare a commentare. Meglio riflettere ancora, con Bousquet, su questa “società inclusiva” che funziona a una sola condizione: escludere chi non ci sta. Un bel paradosso. Che è comunque la nostra condizione odierna. E di fronte alla quale occorre resistere con la virtù del coraggio. Certo, a volte prende lo sconforto, non tanto perché l’avversario possieda grandi mezzi, ma per la sua pochezza, per la sua inconsistenza, per cui è perfino difficile imbastire una vera disputa. Tuttavia, mai tacere. E studiare. Rileggiamo, per esempio, Solženicyn. Smascheriamo la menzogna. “Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario”. Parola di un certo George Orwell.
A.M.V.