Cari amici di Duc in altum, dopo la pubblicazione del motu proprio Traditionis custodes di Francesco, che ha provocato dolore e sconcerto in tanti fedeli, il tema della Santa Messa apostolica romana (definizione da preferire rispetto a Messa in latino, Messa tridentina o Messa antica) è al centro di numerose analisi e riflessioni. All’interno dei commenti si trovano spesso riferimenti a Paolo VI, il papa che volle la “nuova Messa” e che nel 1969 le diede inizio.
Per capire meglio quale fu l’atmosfera culturale ed ecclesiale nella quale venne presa la decisione del papa, e per illustrare il modo in cui lo stesso Paolo VI visse quella epocale trasformazione, è utile rileggere il testo dei discorsi che Montini rivolse ai fedeli in occasione di due udienze del novembre 1969, nell’immediata vigilia dell’introduzione del cambiamento.
Iniziamo dunque con l’udienza generale di mercoledì 19 novembre 1969.
Si noterà come il papa cerchi di rispondere alle obiezioni, che furono presenti fin da subito.
A.M.V.
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Accogliere con gioia ed applicare con unanime osservanza il nuovo ordinamento liturgico
Diletti Figli e Figlie!
Vogliamo richiamare la vostra attenzione sull’avvenimento che sta per compiersi nella Chiesa cattolica latina, e che avrà la sua applicazione obbligatoria nelle Diocesi italiane a partire dalla prossima prima Domenica dell’Avvento, che cade quest’anno il 30 novembre; e cioè l’introduzione nella Liturgia del nuovo rito della Messa. La Messa sarà celebrata in una forma alquanto differente da quella che, da quattro secoli ad oggi, cioè da S. Pio V, dopo il Concilio di Trento, siamo soliti a celebrare.
Il cambiamento ha qualche cosa di sorprendente, di straordinario, essendo considerata la Messa come espressione tradizionale e intangibile del nostro culto religioso, dell’autenticità della nostra fede. Vien fatto di domandarci: come mai un tale cambiamento? E in che cosa consiste questo cambiamento? Quali conseguenze esso comporta per coloro che assisteranno alla santa Messa? Le risposte a queste domande, ed a simili provocate da così singolare novità, vi saranno date e ampiamente ripetute in tutte le chiese, su tutte le pubblicazioni d’indole religiosa, in tutte le scuole, dove s’insegna la dottrina cristiana. Noi vi esortiamo a farvi attenzione, procurando di precisare tosi e di approfondire qualche po’ la stupenda e misteriosa nozione della Messa.
La mente del Concilio
Ma intanto, per questo breve ed elementare discorso, cerchiamo di togliere dalle vostre menti le prime e spontanee difficoltà sollevate da un tale mutamento, in relazione alle tre domande, che subito esso ha fatto sorgere nei nostri spiriti.
Come mai tale cambiamento? Risposta: esso è dovuto ad una volontà espressa dal Concilio ecumenico, testé celebrato. Il Concilio dice così: «L’ordinamento rituale della Messa sia riveduto in modo che apparisca più chiaramente la natura specifica delle singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più facile la pia e attiva partecipazione dei fedeli. Per questo, i riti, conservata fedelmente la loro sostanza, siano resi più semplici; si sopprimano quegli elementi che col passare dei secoli furono duplicati, o meno utilmente aggiunti; alcuni elementi invece, che col tempo andarono perduti, siano ristabiliti, secondo la tradizione dei santi Padri, nella misura che sembrerà opportuna o necessaria» (Sacr. Concilium, n. 50).
La riforma perciò, che sta per essere divulgata, corrisponde ad un mandato autorevole della Chiesa; è un atto di obbedienza; è un fatto di coerenza della Chiesa con se stessa; è un passo in avanti della sua tradizione autentica; è una dimostrazione di fedeltà e di vitalità, alla quale tutti dobbiamo prontamente aderire. Non è un arbitrio. Non è un esperimento caduco o facoltativo. Non è un’improvvisazione di qualche dilettante. È una legge pensata da cultori autorevoli della sacra Liturgia, a lungo discussa e studiata; faremo bene ad accoglierla con gioioso interesse e ad applicarla con puntuale ed unanime osservanza. Questa riforma mette fine alle incertezze, alle discussioni, agli arbitri abusivi; e ci richiama a quella uniformità di riti e di sentimenti, ch’è propria della Chiesa cattolica, erede e continuatrice di quella prima comunità cristiana, ch’era tutta «un Cuor solo e un’anima sola» (Act. 4, 32). La coralità della preghiera nella Chiesa è uno dei segni e una delle forze della sua unità e della sua cattolicità. Il cambiamento, che sta per avvenire, non deve rompere, né turbare questa coralità: deve confermarla e farla risonare con spirito nuovo, con respiro giovane.
Immutata sostanza
Altra domanda: in che cosa consiste il cambiamento? Lo vedrete; consiste in tante nuove prescrizioni rituali, le quali esigeranno, da principio specialmente, qualche attenzione e qualche premura. La devozione personale ed il senso comunitario renderanno facile e gradevole l’osservanza di queste nuove prescrizioni. Ma sia ben chiaro: nulla è mutato nella sostanza della nostra Messa tradizionale. Qualcuno può forse lasciarsi impressionare da qualche cerimonia particolare, o da qualche rubrica annessa, come se ciò fosse o nascondesse un’alterazione, o una menomazione di verità per sempre acquisite e autorevolmente sancite della fede cattolica, quasi che l’equazione fra la legge della preghiera, «lex orandi» , e la legge della fede, «lex credendi», ne risultasse compromessa.
Ma non è così. Assolutamente. Innanzi tutto perché il rito e la rubrica relativa non sono di per sé una definizione dogmatica, e sono suscettibili di una qualificazione teologica di valore diverso a seconda del contesto liturgico a cui si riferiscono; sono gesti e termini riferiti ad un’azione religiosa vissuta e vivente d’un mistero ineffabile di presenza divina, non sempre realizzata in forma univoca, azione che solo la critica teologica può analizzare ed esprimere in formule dottrinali logicamente soddisfacenti. E poi perché la Messa del nuovo ordinamento è e rimane, se mai con evidenza accresciuta in certi suoi aspetti, quella di sempre. L’unità fra la Cena del Signore, il Sacrificio della croce, la rinnovazione rappresentativa dell’una e dell’altro nella Messa è inviolabilmente affermata e celebrata nel nuovo ordinamento, come nel precedente. La Messa è e rimane la memoria dell’ultima Cena di Cristo, nella quale il Signore, tramutando il pane ed il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue, istituì il Sacrificio del nuovo Testamento, e volle che, mediante la virtù del suo Sacerdozio, conferita agli Apostoli, fosse rinnovato nella sua identità, solo offerto in modo diverso, in modo cioè incruento e sacramentale, in perenne memoria di Lui, fino al suo ultimo ritorno (cfr. De La Taille, Mysterium Fidei, Elucid. IX).
Maggiore partecipazione
E se nel nuovo rito troverete collocata in migliore chiarezza la relazione fra la Liturgia della Parola e la Liturgia propriamente eucaristica, quasi questa risposta realizzatrice di quella (cfr. Bouyer), o se osserverete quanto sia reclamata alla celebrazione del sacrificio eucaristico l’assistenza dell’assemblea dei fedeli, i quali alla Messa sono e si sentono pienamente «Chiesa», ovvero vedrete illustrate altre meravigliose proprietà della nostra Messa, non crediate che ciò intenda alterarne la genuina e tradizionale essenza; sappiate piuttosto apprezzare come la Chiesa, mediante questo nuovo e diffuso linguaggio, desidera dare maggiore efficacia al suo messaggio liturgico, e voglia in maniera più diretta e pastorale avvicinarlo a ciascuno dei suoi figli ed a tutto l’insieme del Popolo di Dio.
E rispondiamo così alla terza domanda che ci siamo proposti: quali conseguenze produrrà l’innovazione, di cui stiamo ragionando? Le conseguenze previste, o meglio desiderate, sono quelle della più intelligente, più pratica, più goduta, più santificante partecipazione dei fedeli al mistero liturgico, cioè alla ascoltazione della Parola di Dio, viva e risonante nei secoli e nella storia delle nostre singole anime, e alla realtà mistica del sacrificio sacramentale e propiziatorio di Cristo.
Non diciamo dunque «nuova Messa», ma piuttosto «nuova epoca» della vita della Chiesa. Con la Nostra Apostolica Benedizione
Fonte: vatican.va
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