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“Io, vecchio cattolico, rileggendo il Paolo VI del 1969 ho provato tanta pena”

Cari amici di Duc in altum, dopo la pubblicazione del discorso rivolto ai fedeli da Paolo VI il 19 novembre 1969, a pochi giorni dalla prima celebrazione della “nuova Messa”, ho ricevuto il contributo che qui vi propongo.

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di Giovanni Lugaresi

Fa male al cuore leggere, o rileggere, il testo di Paolo VI del 1969, pubblicato su Duc in altum, a proposito del novus ordo della Messa.

Intanto per un primo importantissimo motivo. In tutto quel discorso sulla “nuova Messa” non viene mai sottolineato come al centro della liturgia ci sia, ci debba essere, Nostro Signore, presente nel Santissimo Sacramento dell’altare in corpo, sangue, anima e divinità.

E infatti, la storia di questi cinquantadue anni (tanti ci separano da quel discorso pontificio) ha dimostrato tutto il contrario. Abbiamo una Messa che è narrazione, racconto, e non, in primis, e fondamentalmente, rinnovazione del sacrificio (incruento) della croce con il sacerdote “in persona Christi”.

Infatti, chi lo dice più? Al massimo, è “la cena del Signore”.

Al centro della liturgia si è posta la persona del celebrante, spesso con le sue stravaganze, le sue invenzioni, le sue fantasie, i suoi sacrilegi (basta leggere le cronache puntuali di quel che accade in Italia e all’estero). Tali e tante le stravaganze e le invenzioni da richiamare alla memoria il convertito Papini, che in una discussione con un prete a un certo punto esclamò: ma lei ci crede in Dio?

Ancora: al centro della liturgia, per taluni progressisti-modernisti, ci deve essere (c’è, di fatto) “il popolo di Dio”. E poi, andando oltre, il sacerdote che presiede l’assemblea. Già, quasi si trattasse di un condominio o del consiglio di una società per azioni!

Quello che allora sorprese taluni, e continua a sorprendere oggi, è che della decisa riforma liturgica proprio “il popolo di Dio” non avesse sentito alcun bisogno.

Certo, si fece notare che la partecipazione alla “Messa in latino” non era consapevole, che non la si capiva (come se il “mistero”, in qualsiasi lingua espresso, potesse essere spiegato!). Il popolo era, il popolo doveva… Sempre il popolo al centro, non più Dio, non più il sacrificio redentivo di Cristo sul Calvario.

I risultati si sono visti: un progressivo abbandono della “nuova Messa” da parte dei fedeli, lo spopolamento di chiese e parrocchie. Eppure in quelle chiese, in quelle parrocchie ci sono animazione, letture, uomini e donne che salgono al microfono, doni portati all’altare (ridotto a “tavola calda”, come Giovannino Guareschi definì le nuove mense) a un Offertorio la cui formula nuova, come osservato da più parti, richiama la Coldiretti, al posto di quell’eloquentissimo “Suscipe, Sancte Pater, omnipotens, aeterne Deus, hanc immaculatam hostiam, quam ego, indignus famulus tuus, offero tibi, Deo meo, vivo et vero, pro innumerabilibus peccatis, et offensionibus, et negligentiis meis, et pro omnibus circumstantibus, sed et pro omnibus fidelibus christianis, vivis atque defunctis; ut mihi et illis proficiat ad salutem in vitam aeternam. Amen”.

Dicevano, continuano a dire: ma la gente capiva? Per questo, la necessità di un cambiamento…

Certo: chi aveva studiato il latino capiva; ma anche gli altri, a forza di sentire quelle formule, imparava, per don dire del mio caso personale, allargabile peraltro a una schiera ampia di fedeli.

1925: esce un messalino con le parti fisse della Messa, all’insegna di quel PAS (Preghiera Azione Sacrificio) dei Giovani di Azione Cattolica. Il testo è in latino, a fronte c’è quello in italiano.

Mio padre, di famiglia socialista e mangiapreti, trasferitosi a Ravenna da Castiglione di Cervia per lavoro, frequentava il Ricreatorio arcivescovile e, entrato nell’Azione Cattolica, con quel libro andava a Messa.

Verso i diciassette anni scoprii il messalino in un cassetto, e da allora mi fu compagno alla Messa domenicale e dei giorni festivi.

Il latino l’ho studiato soltanto alle scuole medie, perché non ho compiuto gli studi classici, eppure… Eppure quel latino della Chiesa, grazie al testo a fronte, lo capii e avvertii il senso del sacro, di un rito che ci trascende, al centro del quale c’è quindi Dio, non il prete, non il popolo, ma Dio: l’unico al quale dobbiamo adorazione, e non agli idola, di ieri e di oggi.

Del resto, nelle preghiere mattutine e della sera, ai miei tempi, così si incominciava: “Ti adoro, mio Dio, ti amo con tutto il cuore, ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano…”.

Perché, se già nel 1925 esistevano messalini con due testi, latino e italiano, non si è proceduto su quella strada? Sì che anche gli ignoranti del latino potessero seguire la celebrazione del sacerdote capendo, e senza bisogno di animatori, lettori, cantori (isolati, peraltro, perché il popolo oggi in chiesa canta poco o punto), eccetera.

Ora, chi scrive è un vecchio cattolico, e vecchio pure di età, ma a questo vecchio nessuno ha mai spiegato perché la riforma della liturgia cattolica romana, allora, fu affidata a un sacerdote in odore di compasso e grembiulino. Ma mi fermo, per non eccedere.

Qualcuno invece ha spiegato (Matteo 7: 16-20) che l’albero si vede dai frutti. E se l’albero si vede dai frutti, questi del novus ordo lo vediamo tutti, se vogliamo vedere, che non sono buoni frutti, tutt’altro!

Per concludere, quel discorso di Paolo Vi, letto, o riletto oggi, mi ha fatto molta pena, perché evoca un fallimento.

E poi, visto che ci siamo…

Sì, aveva ragione papa Montini nel denunciare che il fumo di Satana era entrato nella Chiesa; che nella Chiesa aveva preso piede un “pensiero non cattolico”, ma le fessure attraverso le quali quel fumo era penetrato nel tempio da chi erano state, se non provocate, certamente permesse? E chi aveva favorito quel pensiero non cattolico propagatosi nella Chiesa postconciliare? Qualcuno darà una risposta? Qualcuno farà un esame di coscienza?

Un vecchio cattolico, digiuno di studi classici, ma che il latino della Messa lo capisce e non pretende che gli vengano spiegati il senso del sacro e il mistero racchiuso nel vetus ordo, aspetta, non dimenticando durante la sua giornata di ripetere di quando in quando l’invocazione “Sancte Michael Arcangele, defende nos in proelio, contra nequitiam et insidias diaboli esto praesidium…”, con quel che segue.

 

Aldo Maria Valli:
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