Lettera ad Aldo Maria Valli sull’”et-et”
di Aurelio Porfiri
Caro Aldo Maria,
rimango sempre edificato quando leggo le tue lettere piene di passione e di ardore per la buona battaglia, lettere con cui in larga misura mi sento in sintonia. Tu richiami a una esigenza di radicalità nel proprio cattolicesimo, una radicalità vissuta malgrado i nostri peccati e le nostre cadute.
Io vorrei che questa radicalità fosse però sempre innestata nella strategia dell’et-et, che è quella cattolica. Questo concetto mi è venuto dai lunghi anni di letture di Vittorio Messori, che recentemente mi ha fatto il dono prezioso della sua amicizia. Secondo l’et-et, il cattolico non è quello che non sceglie, ma quello che vuole tutto. C’è sempre la scelta fra bene e male, e qui soltanto vale l’aut-aut, ma per il resto noi siamo quelli che hanno un Dio uno e trino, Gesù uomo e Dio, sua Madre Vergine e Madre, la Chiesa santa e peccatrice e via dicendo. La nostra fede è veramente inclusiva di tutto ciò che è buono, innestandolo su quanto di prezioso già conservava.
Tu accennavi al tradizionalismo. A me sembra che ci siano due correnti di tradizionalismo, una che è attenta alla tradizione della Chiesa fino più o meno al 1962 e che vive con qualche mal di pancia quel che segue (con tutte le ragioni, a mio avviso) e l’altra che fa partire la tradizione della Chiesa dal 1962 (come sai, inizio del Vaticano II) e che taglia tutto quello che precede questo anno. Insomma, c’è un tradizionalismo di destra e uno di sinistra. Benedetto XVI, con il Summorum pontificum del 2007 ha tentato di conciliare liturgicamente queste due correnti, e a livello di fedeli mi sembrava che tutto procedesse bene. Io non ho mai sentito un fedele che pende parte alle Messe del Novus Ordo lamentarsi perché qualcuno vuole seguire la Messa Vetus Ordo, allo stesso modo per cui non ci si lamenta se uno segue il rito ambrosiano o quello alessandrino. Eppure, il recente motu proprio Traditionis custodes ci ha insegnato che le due cose non possono stare insieme, che coloro che trovano sollievo spirituale nel Vetus Ordo devono prima o poi rientrare nei ranghi e percorrere volenti o nolenti il tratto di strada che figurativamente da destra li conduca a sinistra.
Ora, alcuni hanno criticato l’operazione di Benedetto XVI e hanno affermato che in un certo senso il presente pontefice ha portato chiarezza. Questo perché, quando dai in mano il Messale del 1962 le persone non scoprono solo un rito venerando, ma tutto quello che spiritualmente, teologicamente, dogmaticamente vi è implicato. E questo al tradizionalismo di sinistra non va bene. Anche perché, e tu lo sai, se il modernismo aveva il Sodalitium pianum di monsignor Umberto Benigni a combatterlo, qui abbiamo il Sodalitium vaticanum che non è tanto più tenero e che, per fare piazza pulita di chi non si allinea, si serve di tanti utili idioti che hanno la speranza di conquistarsi un posto al sole. Intendiamoci, ci sono esaltati da una parte e dall’altra, come ci sono buone persone da una parte e dall’altra. Come vedi l’et-et può essere molto utile. Purtroppo, alcuni vanno avanti con l’aut-aut, alla maniera dei protestanti. Come ti dissi, tutto ciò che è buono fa parte del tesoro della Chiesa. Ma secondo la presente leadership il Vetus e il Novus Ordo non stanno bene insieme. Allora qui sorgono interrogativi profondi. Può non essere buona una forma liturgica che ha formato stuoli di santi e martiri? Eppure, qui l’et-et, per la nostra gerarchia, non può funzionare.
Molti diranno che la Chiesa moderna applica questa strategia molto più che in precedenza, ma ricordiamo che la stessa strategia concilia ciò che è buono, non indistintamente. Si può conciliare modernità con modernismo, comunità con comunismo, misericordia con misericordismo? No, in questo caso è la perversione dell’et-et. Parlando di un libro di Messori, lo scrittore Cesare Cavalleri su Avvenire tra l’altro dice: “Sfilano dunque davanti agli occhi dei lettori i principali problemi del cristianesimo attuale, dalla riforma liturgica alla difesa e promozione della vita, dal necessario pluralismo dei cattolici in politica (‘minoritari ma non marginali’), ai rapporti tra scienza e fede, tra fede e filosofia. Su quest’ultimo punto Messori rilancia l’autocritica tracciata nella postfazione a un’ennesima ristampa di Ipotesi su Gesù: abbagliato dall’amatissimo Pascal che nel celeberrimo Mémorial afferma di aver incontrato ‘il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. Non dei filosofi e dei sapienti’, anche Messori era stato tentato da un aut-aut tra fede e ragione, mentre la riflessione successiva l’aveva convinto che il cristianesimo è la religione dell’et-et: gli opposti sono compossibili, come si conviene alla religione del ‘perfetto Dio’ e ‘perfetto uomo’. E l’et-et è lo strumento metodologico preferito da Messori (forse fin troppo ricorrente nel libro), il quale giustamente condivide il motto di Jean Guitton, altro maestro riconosciuto: ‘Sono cattolico perché voglio tutto’”.
Eppure, come ti ho detto, malgrado la misericordia diffusa sembra che l’aut-aut la faccia oggi da padrone. Rispondendo a Luisella Scrosati nel 2017 su La Nuova Bussola Quotidiana e parlando del suo libro La verità è sintetica, don Mauro Gagliardi tra l’altro affermava: “La tradizione teologica ha creato la formula latina et-et, per indicare una legge fondamentale che innerva la fede cattolica e questo sia nei suoi dogmi che nei precetti morali che nelle norme disciplinari. Io ho cercato di mettere in luce l’et-et insito nella Dogmatica cattolica, preoccupandomi anche di spiegare – nel primo capitolo – come ‘funziona’ tale principio. Ciò è particolarmente significativo anche a livello contestuale, ricorrendo quest’anno il quinto centenario dall’inizio del Movimento luterano, che invece ha sviluppato una dottrina basata sull’aut-aut, sull’esclusione di un membro del discorso teologico-dottrinale in favore di un altro e, quindi, su una impostazione ‘dialettica’ e non ‘sintetica’”. Sembra tutto molto chiaro, eppure viviamo una realtà diversa.
Cito spesso un passaggio di Romano Amerio tratto da Iota unum: “E qui conviene formulare la legge stessa della conservazione storica della Chiesa, legge che è insieme il criterio supremo della sua apologetica. La Chiesa è fondata sul Verbo incarnato, cioè su una verità divina rivelata. Certo le sono date anche le energie sufficienti a pareggiare la propria vita a quella verità: che la virtù sia possibile in ogni momento è un dogma di fede. La Chiesa però non va perduta nel caso che non pareggiasse la verità, ma nel caso che perdesse la verità. La Chiesa peregrinante è da sé stessa, per così dire, condannata alla defezione pratica e alla penitenza: oggi la si dice in atto di continua conversione. Ma essa si perde non quando le umane infermità la mettono in contraddizione (questa contraddizione è inerente allo stato peregrinale), ma solo quando la corruzione pratica si alza tanto da intaccare il dogma e da formulare in proposizioni teoretiche le depravazioni che si trovano nella vita”. Ecco, questo passaggio del grande pensatore dovrebbe essere letto e riletto per comprendere le complessità e tragicità del difficile momento che stiamo vivendo.