Lettera ad Aldo Maria Valli sulla liturgia (e i liturgisti)
di Aurelio Porfiri
Caro Aldo Maria,
molti dei nostri scambi girano intorno alla Messa e non potrebbe essere altrimenti. Come sai, è da più di trent’anni che cerco di approfondire i temi della liturgia. Sono stato nel consiglio di redazione di una rivista molto popolare, sono stato coordinatore redazionale di un’altra, sono stato tra gli organizzatori di un importante convegno sulla liturgia, ho fatto parte di associazioni di liturgisti, ho tenuto un corso universitario sulla liturgia quando ero professore in Asia, ho avuto scambi innumerevoli con teologi e liturgisti, letto migliaia e migliaia di pagine fra articoli e libri su questi temi, ho scritto tantissimo in proposito, fra cui libri prefati da liturgisti, vescovi e cardinali. Eppure, ancora adesso ad alcuni dà fastidio se mi occupo di qualcosa che mi appartiene come appartiene al primo professore di liturgia. La costituzione conciliare richiede espressamente che i musicisti debbano avere una formazione completa sulla liturgia. Se poi però te ne occupi, dai fastidio perché invadi un campo che si preferisce mantenere riservato in modo da non dover dare spiegazioni. Eppure, non posso dimenticare la massima ecclesiastica che recita quod omnes tangit, ab omnibus tractari debet, quello che riguarda tutti deve essere trattato da tutti, specie nel caso che uno si preoccupi di studiare il più possibile l’argomento. In realtà non mi preoccupo più di tanto di quelle persone, ricordando un altro episodio di alcuni anni fa, accaduto in una congregazione romana. Parlavo con un noto liturgista, sacerdote, riferendo di un altro liturgista abbastanza noto, pure sacerdote, autore già di vari volumi e impegnato in studi per acquisire titoli accademici in liturgia. Questo secondo sacerdote mostrava un atteggiamento più conservatore in liturgia e quando lo nominai citando un libro che stava scrivendo, il liturgista con cui mi stavo incontrando mi chiese con quale autorità potesse affermare ciò che affermava. Capii che molti liturgisti, in possesso ora di un potere che prima del concilio non avevano, marcano il terreno in modo da poter dare un senso a quello che fanno e mantenere una certa visibilità, un po’ come fanno i virologi di questi tempi. Spero di non essere irriverente nel dire una cosa che mi raccontava il mio maestro, il cardinale Domenico Bartolucci, il quale diceva che in passato i compiti di maestro delle cerimonie liturgiche erano di solito affidati ai seminaristi “meno brillanti” (lui potrebbe avere usato altri termini, ma credo che il senso sia chiaro) proprio perché nello svolgimento della liturgia era tutto chiaro, bastava applicare quello che era ben stabilito.
Oggi invece abbiamo una liturgia liquida, oppure fluida, usando termini mutuati dal vocabolario della nostra società moderna. Il soggettivismo, che si incarna nel protagonismo di troppi celebranti, la fa da padrone. E anche quando il celebrante pretende di mettere al centro l’assemblea, sempre nel soggettivismo ricadiamo. Si riempie con le parole un vuoto di senso soprannaturale. Si riduce il sacro a una normalità e familiarità che se va bene per altri contesti non si applica bene al culto pubblico della Chiesa. Ecco allora che ben si comprende chi si informa, chi protesta, chi si guarda intorno. Anch’io a un certo punto ho incominciato a guardarmi intorno e, da quello che dici, vedo che lo stesso vale per te. Dobbiamo ricordarci che la liturgia non è dei liturgisti, ma è qualcosa che tutti riceviamo in dono e in cui tutti siamo chiamati ad avere un certo ruolo senza nessuna smania di protagonismo.