Lettera ad Aurelio Porfiri sulla devozione liturgica

Caro Aurelio,

la tua definizione di “liturgia liquida” o “fluida” mi sembra quanto mai azzeccata, e mi porta a riflettere su come abbiamo fatto a ridurci così.

“La Chiesa, popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, è una comunità di culto” afferma (n. 81) il Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, documento emanato (e ampiamente ignorato) nel 2002 dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.

Prova a chiedere a un qualsiasi cattolico, oggi, che cos’è la Chiesa. Non ne troverai uno che dica che essa è una comunità di culto.

La parola culto viene da cultus, dal verbo còlere, coltivare. Venerando e adorando Dio noi coltiviamo la fede. Oggi invece l’idea di culto attiene al protagonismo umano e allo spettacolo. È azione scenica che serve a esaltare l’uomo, non a rendere gloria a Dio. Di conseguenza la fede non è coltivata.

San John Henry Newman diceva che una cosa distingue i veri credenti dai falsi: la devozione liturgica. Ora invece siamo quasi indotti a pensare che la liturgia non sia poi così importante, perché sarebbe forma, non sostanza, e in fondo, così si dice, quel che conta è ciò che si ha nel cuore e ciò che spontaneamente sgorga dal cuore, senza la necessità di regole e discipline.

Il cardinale Newman divideva i cristiani in due categorie: i cristiani ecclesiali e i cristiani non ecclesiali. I primi hanno rispetto per le cose sacre, i secondi no. Direi che a partire dal “rinnovamento” conciliare la Chiesa, paradossalmente, ha fatto di tutto per favorire i secondi a scapito dei primi.

Ripudiare il dovere della devozione, diceva ancora Newman, sembra essere il denominatore comune di intere comunità chiamate cristiane. Chissà che cosa avrebbe detto il grande convertito di fronte alla situazione odierna!

Per lungo tempo ai cattolici è stato insegnato che rendere culto a Dio in modo degno, secondo la Tradizione, era qualcosa di cui vergognarsi, il lascito di un passato del tutto morto e sepolto, qualcosa da superare in nome del dialogo con il mondo, della simpatia verso l’uomo, dell’accoglienza eccetera. Ora vediamo a che cosa ci ha portati questa ideologia.

La subcultura veicolata dai mass media, televisione in primis, ha dato certamente un contributo. Per molti sacerdoti è diventato quasi un dovere scimmiottare il conduttore televisivo, con il suo protagonismo. E i fedeli sono stati ridotti al rango del pubblico: non più comunità cultuale e orante che prende parte alla Santa Messa, ma gruppo che assiste alla messa in scena.

Così come la televisione, per raggiungere il pubblico più ampio, ha abbassato progressivamente la qualità della propria proposta, allo stesso modo la Chiesa ha creduto di dover abbassare il livello della qualità liturgica e della predicazione. I miti dell’inclusione, della comprensione e della fruibilità hanno fatto da guida lungo questa china. Di qui la liturgia trasformata in azione per l’autoaffermazione umana, con Dio nel ruolo (quando va bene) di invitato.

Dinnanzi all’irriverenza che, già a suoi tempi, vedeva progredire, Newman si chiedeva come fosse possibile che si potesse anche solo immaginare di dichiararsi credenti e, allo stesso tempo, non curarsi del necessario rispetto da esprimere nel culto. Com’è possibile che, dinnanzi alla maestà divina, l’uomo ritenga di potersi prendere delle libertà?

Domanda che al giorno d’oggi sembra provenire non solo da un’altra fede, ma da un altro mondo, da un altro pianeta, visto che proprio il prendersi le libertà (la famigerata spontaneità) è considerato un valore.

Quando vedo che le persone entrano in chiesa come se entrassero al bar provo una pena infinita. Perché noi cattolici ci siamo ridotti così? Sempre Newman sosteneva che perfino le religioni pagane hanno più rispetto e attenzione per il culto. Dire di credere in Dio e non comportarsi con devozione, non mostrare anche esternamente il dovuto timor di Dio, celebrare in modo confidenziale e disinvolto, senza solennità, è un fenomeno totalmente contraddittorio. Eppure, i cattolici l’hanno fatto proprio. Perché? Senza contare che gli stessi sedicenti cattolici che trascurano la devozione liturgica sono invece attentissimi al rispetto delle forme cultuali altrui.

Come tu sai, io sono ambrosiano. Ebbene, quando nel 2008 uscì il nuovo Lezionario per la Chiesa ambrosiana, l’impareggiabile cardinale Giacomo Biffi, milanese arguto e ironico, dichiarò che l’opera sarebbe rimasta “viva a lungo nella memoria allibita della nostra Chiesa”. Memoria allibita: espressione folgorante. Ma oggi, di fronte a Traditionis custodes e al disprezzo manifestato dalla massima autorità cattolica per i fedeli che vogliono restare attaccati alla Tradizione e alla riverenza liturgica, non si riesce nemmeno più a essere allibiti. Ogni limite è stato superato. Tanto che viene da chiedersi: ma questa può essere veramente l’autorità?

Qui entriamo in un campo minato, eppure sono domande che uno si pone.

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