Cari amici di Duc in altum, il mese scorso Giovanni Lugaresi scriveva su questo blog un articolo (Io, vecchio cattolico, rileggendo il Paolo VI del 1969 ho provato tanta pena) nel quale manifestava tutte le sue perplessità circa il novus ordo e il modo in cui si giunse alla Messa “riformata”. A quell’articolo risponde ora Alberto Quagliotto. Entrambi sono veneti (uno d’adozione) e dunque mi sembra giusto proporre la lettera oggi, 8 settembre, nel giorno in cui si festeggia la Madonna di Monte Berico.
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Carissimo Giovanni,
ho letto con grandissima attenzione il tuo commento alle parole di san Paolo VI sulla riforma liturgica, e ne condivido molti passaggi, soprattutto nella parte in cui ti rammarichi circa gli abusi con cui il novus ordo è stato celebrato: abusi che certamente non sono tali solo nell’opinione di un reazionario nostalgico, che rimpianga i tempi andati, e che peraltro non ha mai vissuto (sono nato, infatti, nella Quaresima del 1965), ma costituiscono un fenomeno sotto gli occhi di tutti e che evidentemente non preoccupa nessuno, vista l’indulgenza usata nei loro confronti.
Ricordo tuttavia che il mio vecchio parroco celebrava con grande rigore e devozione la Messa riformata, e non provavo disagio; anzi, sentivo tutta la sacralità del rito, e mi piaceva parteciparvi, comprendendo quelle parole, che egli scandiva con grande dignità. Ricordo bene gli altari laterali ancora tutti addobbati, il sepolcro del Giovedì Santo, la spogliazione degli altari, la velatio, ma soprattutto il rigore, e l’evidente intima partecipazione spirituale, nella celebrazione della Messa (preceduta e seguita dalle preghiere silenziose davanti al tabernacolo), con i chierichetti rigorosamente in veste talare e cotta, tutti maschietti e con i capelli ben pettinati dalle madri prima di portarli in chiesa. Come dimenticare la bellissima novena di Natale, accompagnata dal profumo dell’incenso in chiesa e, al ritorno a casa, dall’odore acidulo e umidiccio del muschio del presepio?
Certamente la sciatteria, che ha scolorito il Sacro, non ha contribuito a mantenere i fedeli in Chiesa. La penosa rincorsa a stili discotecari, fuori tempo massimo (in queste cose certa parte del clero è patetica: arriva immancabilmente in ritardo e mantiene le “novità” anche quando diventano ridicolamente vintage: inutile scimmiottare il Secolo nelle cose in cui il Secolo riesce meglio!) non ha agevolato la conservazione del gregge, ormai in larga parte disperso. Si sono rincorsi i “gggiovani”, dimenticando che sarebbero diventati adulti e avrebbero chiesto non più merendine, dolciastre ed immangiabili per un palato formato, ma solido cibo per un’anima adulta.
Mi chiedo però: questo risultato, ovverosia questa dispersione di un gregge, che magari crede più facilmente alla reincarnazione piuttosto che alla risurrezione, è solo l’effetto di una grande distrazione seguita al Concilio, o non è piuttosto anche e soprattutto il frutto di una travolgente e irresistibile secolarizzazione, che riempendo le pance ha svuotato il cervello della sua parte più nobile, quella rivolta a Dio?
Una secolarizzazione suadente fatta di nichilismo, indifferentismo, pansessualismo? Una secolarizzazione che ha colpito tutto l’Occidente cristiano, che sembra caduto in una follia collettiva e universale? Basti pensare alla legislazione gender e alla immancabile legislazione sull’eutanasia (non facciamoci illusioni: ci arriveremo)?
Non credo che le aspirazioni di Paolo VI – che ora in effetti suonano, alla luce dei risultati, segnate da quel fallimento che Egli stesso poté constatare (celeberrimo il riferimento al fumo di Satana entrato nella Chiesa) – possano essere qualificate come semplicistiche o ingenue. Credo che esse furono animate da sincero amore per la Chiesa. Lo stesso stile con cui quel papa celebrava ne è testimonianza. Vi fu certo l’ottimismo tipico degli anni Sessanta, ma è altrettanto certo che le seduzioni della ricchezza, velocemente conquistate da generazioni che avevano vissuto tempi ben più magri, hanno avuto una parte a mio avviso preponderante. A ciò si aggiunga quella vera e propria agenzia diseducativa rappresentata dalla televisione, veicolo in larga parte di ignoranza e volgarità. Gli anni Sessanta e Settanta travolsero tutto, anche nella mentalità laica (la morale familiare di Peppone, con la sua solida moglie e la larga prole, non era difforme da quella di don Camillo) e non solo nella Chiesa cattolica. Furono tempi dolorosissimi di contestazioni e abbandoni, segnati da una ribellione che nessuno avrebbe potuto prevedere. Non sempre vedo nelle riflessioni adeguatamente sviluppato questo tema. Se c’è, lo vedo sviluppato al fine di veicolare il messaggio secondo il quale, se si fosse conservata sic et simpliciter la tradizione, le cose sarebbero andate meglio. Ecco, di questo punto non sono molto convinto, ritenendo che sia una posizione che non coglie appieno la storicità degli eventi mondiali e il loro peso.
Mi permetto di condividere queste riflessioni anche con Aldo Maria Valli e, sperando che non siano ritenute troppo peregrine, le offro volentieri ai lettori di Duc in altum.
Un cordiale saluto, nel giorno della festività della Madonna di Monte Berico, cara a tutte quelle genti venete che per secoli sono state testimonianza di storia e vita cattolica. Nemo venetus, nisi catholicus!
Alberto Quagliotto