Lettera aperta degli studenti Unifi
Invito a non applicare le disposizioni del decreto legge n.111 del 6 agosto 2021, o analoghi obblighi, all’Università degli Studi di Firenze
All’attenzione della Magnifica Rettrice,
Le scriviamo in rappresentanza di un nutrito gruppo di studenti Unifi, iscritti e in procinto di iscriversi, venutosi ad organizzare come “Studenti contro il green pass” in seguito all’estensione dell’obbligo del possesso di green pass per accedere alle attività didattiche in presenza e alle strutture universitarie sensu lato. Le scriviamo perché reputiamo tale provvedimento infausto per molte ragioni e vorremmo esplicitarle in questa lettera aperta. La invitiamo ad ascoltare seriamente le nostre motivazioni e pertanto a non applicare all’Università di Firenze le disposizioni del Decreto legge n.111 del 6 agosto 2021, né obblighi similari.
Chiariamo che il nostro dissenso circa tale provvedimento vuole stare entro i termini di una società civile e anzi, a fortiori, reputiamo di scrivere questa lettera proprio per il mantenimento di essa in un ambiguo periodo storico. Applicando l’obbligatorietà di green pass o di analoghi lasciapassare, l’Università di Firenze si sta rendendo complice della prevaricazione dell’etica e del declino della civiltà. L’Università di Firenze sta contribuendo infatti a instaurare una società dell’emergenza che per sua natura è in antitesi con quella civile, poiché è regolamentata da un controllo costante e pervasivo dei cittadini, dalla discriminazione delle diversità, dalla tecnologizzazione e medicalizzazione di ogni aspetto della vita a discapito degli altri aspetti ugualmente essenziali, eppure passati gravemente e irrazionalmente in secondo piano.
Insieme alla società civile e all’etica, è l’essere umano in quanto tale che state annichilendo, la sua nascita come essere sano, la sua vita naturale e razionale. Non sarete solamente conniventi, ma diretti responsabili, di un esecrabile ribaltamento di questa natura. Anziché reputare gli esseri umani “sani fino a prova contraria”, state educando le generazioni avvenire al malsano paradigma secondo cui le donne e gli uomini nascono e vivono come “malati fino a prova contraria”. Questo è il crimine contro l’umanità di cui vi state macchiando oggi, come persone private e come istituzioni pubbliche.
Il danno alla civiltà, all’etica e all’essere umano, in ultima istanza si riverbera come danno agli individui. Durante gli anni trascorsi nelle sedi dell’istruzione pubblica ogni studente è stato educato con solerzia ai valori della tolleranza, dell’integrazione, della crescita intellettuale e umana, dello scambio delle idee e del pensiero. Applicando l’obbligo del passaporto verde per usufruire dell’istruzione universitaria e delle sue sedi – aule, mense, biblioteche, uffici – verranno meno questi valori fondanti della nostra educazione. L’Università di Firenze si renderà responsabile della loro sopraffazione. Danneggerà quegli studenti che intendono proseguire nei loro studi e nei loro obiettivi accademici, nondimeno scoraggerà coloro che con entusiasmo vorrebbero iniziare un percorso didattico ma che oggi si vedono tagliati fuori. L’Università di Firenze deciderà di estromettere in questo modo una parte dei suoi studenti, non solo dall’insegnamento pubblico, ma anche dai molteplici aspetti della partecipazione universitaria e della vita umana nel suo complesso – lavoro, crescita, socialità, benessere. Vi invitiamo a riflettere: la prevenzione di Covid 19 costituisce solo una parte del Diritto alla Salute, e non la sua totalità; facendo leva su questa parzialità si sta ledendo non solo il Diritto alla Salute nella sua interezza ma anche l’interezza del Diritto allo Studio e tutto ciò che da esso deriva a livello societario.
I danni causati da tali scelte si fanno sentire tangibilmente. L’istituzione universitaria si renderà infatti responsabile di istigare alla discriminazione, minando i rapporti di convivialità, collaborazione e amicizia, sia in senso orizzontale tra studente e studente o tra professore e professore, sia in senso verticale tra professore e studente, sia in senso riflettente dell’individuo con se stesso. A parità di tasse pagate e di capacità personali, infatti, verranno creati individui di “serie A” e individui di “serie B”, sulla base di nessun diritto sostanziale, anzi innescando al suo posto una spaventosa dinamica dei privilegi. Fermatevi ancora un attimo a pensare all’assurdità delle condizioni arbitrarie di cui vi state rendendo complici: a parità di tasse pagate e di capacità personali, si stanno privilegiando quegli studenti che: 1) Hanno contratto pro tempore una malattia, 2) Pur essendo sani dimostrano quotidianamente di non essere malati, 3) Si sono sottoposti a un trattamento sanitario piuttosto che a un altro. Tutto questo è irrazionale, innaturale, grottesco, imponderabile. Non siamo noi a trovarci dalla parte della dissidenza o dell’eccezionalità, poiché stiamo semplicemente rivendicando e riaffermando il buonsenso, la ragione, la vita, la natura, la buona etica, i diritti inalienabili della civiltà e dell’essere umano.
È importante che la Magnifica Rettrice venga messa al corrente circa le testimonianze giunteci dai colleghi di tutta Italia, testimonianze che rattristano e preoccupano. Molti studenti sono braccati poiché considerati alla stregua di pericoli pubblici ed etichettati per mezzo di una serie di categorie irrazionali come “no vax”, “negazionisti” ecc., le quali rispecchiano moduli linguistici fissi e preconfezionati, che noi ripudiamo e respingiamo in blocco. Sono già in atto episodi di emarginazione con conseguenti danni sul piano psicologico e verbale. Questi episodi non potranno che aumentare, sfociando in episodi di violenza, mutando in dinamiche sociali patologiche, dal momento che anche l’Università di Firenze ha deciso di accondiscendere a tali dinamiche. Saremo costretti a ritenere che gli atti di discriminazione verso lo studente di “serie B” senza i privilegi dello studente di “serie A”, in assenza di esplicite comunicazioni che condannino simili atti, e nondimeno che si pongano contrarie alle misure stesse di obbligatorietà di certificazioni verdi, siano avallate dall’istituzione universitaria.
Le possibilità che l’Università offre ad oggi per arginare questi danni sono in realtà parte del problema. Le possibilità offerte agli studenti non muniti di green pass di intraprendere o completare la propria carriera accademica, come ad esempio la Dad, sono per noi insufficienti e anzi si tratta di misure che fanno parte del medesimo processo discriminatorio. Riterremo le nostre ragioni ascoltate unicamente quando l’Università tornerà a trattare gli studenti allo stesso modo e non si proporrà di danneggiarne una parte sulla base di misure illogiche e privilegianti. Da parte nostra riteniamo – e faremo di tutto per avvicinarli alla nostra causa – che anche per gli studenti oggi muniti di passaporto sanitario sia conveniente porsi contrariamente a queste misure. Infatti, per coloro i quali non possiedono il passaporto sanitario è palese il danno arrecato rispetto a chi ne è provvisto – ribadiamo: a parità di tasse pagate e di capacità personali. Ma è altrettanto vero che i privilegi di quegli studenti muniti di green pass sono privilegi pro tempore e a discrezione, poiché questo accade in un regime di discriminazione e di repressione della diversità. Sono infatti sempre di più coloro i quali, pur in possesso di green pass, comprendono la gravità della situazione e ci appoggiano.
Non ci stancheremo mai di ribadire che da parte nostra ci poniamo a favore della civiltà, della natura, della vita, degli esseri umani e della loro sanità. Da parte nostra ci poniamo contrari ad ogni discriminazione verso gli studenti per qualsivoglia motivo, che sia di provenienza o etnia, di genere, religione, convinzioni politiche, stato economico e sociale. Lo stesso dicasi per le terapie farmacologiche o mediche ai quali gli studenti decidono o meno di sottoporsi. I danni che arrecherete in questo modo si riveleranno ben più ingenti ed emergeranno sotto molti più aspetti rispetto alle presunte e incerte tutele che si vorrebbero attuare circa un solo aspetto. Alla luce dei danni civili, etici, umani, naturali, sociali, intellettuali, professionali, culturali, psicologici, crediamo fermamente che per l’Università di Firenze questa sia piuttosto un’opportunità per sottrarsi a tale scempio e affermarsi di nuovo come faro di civiltà in Italia e in Europa.
Quanto sosteniamo è suffragato anche dal punto di vista scientifico, medico e, non in ultimo, giuridico.
Il nostro sistema scolastico e educativo non può limitarsi a riferire agli studenti dei contenuti da imparare tali e quali, incoraggiando così una modalità di apprendimento e ricezione di tali nozioni puramente acritica. Tutto ciò è contrario all’insegnamento stesso e ai princìpi universitari. La verità o falsità di ciò che lo studente apprende non può essere sancita esclusivamente da un principio di autorità di modo che le nozioni vengano apprese come date una volta per tutte, inconfutabili e indubitabili. Non può insomma, da parte dell’istituzione universitaria, venire meno l’insegnamento dei reali procedimenti scientifici, dei metodi di scoperta e di controllo degli enunciati, dell’importanza del dibattito e del dubbio, della polifonia delle opinioni razionalmente argomentate. Questi elementi di fatto costituiscono la linfa vitale e la condicio sine qua non delle scienze. Privata di tali elementi, l’impresa scientifica non può che divenire un’attività monolitica e dogmatica, sebbene ciò sia reputato antiscientifico. Se l’Università di Firenze non abrogherà l’obbligo di green pass o analoghe disposizioni diventerà un luogo dove vige il privilegio, dove si somministra un insegnamento autoritario ai suoi epigoni, dove attecchisce una superstiziosa non-scientificità. L’Università di Firenze favorirà nei confronti dei suoi studenti la perniciosa tendenza ad affidarsi in modo cieco e acritico alle parole di chiunque venga presentato come “esperto”, o sedicente tale, tanto dai mezzi di comunicazione di massa quanto dalle scelte governative. Eppure abbiamo visto come valga anche in questo caso la dicotomia arbitraria tra “esperti di serie A” e “esperti di serie B”, indipendentemente dai meriti conseguiti. È infatti evidente che il mondo scientifico, dai medici di famiglia agli scienziati più proficui, non sia concorde e coeso sull’effettiva questione Covid 19. Ne sono una testimonianza tangibile sia le molteplici cure che sono emerse da un anno e mezzo, sia i protocolli tempestivi nelle cure domiciliari che impediscono alle terapie intensive di riempirsi. Sono tuttora oggetto di un vivo contradditorio persino la corroborata infettività dei soggetti già inoculati, la potenzialità concreta degli effetti a insorgenza tardiva dei sieri genici, l’efficacia degli stessi tamponi, le attenzioni fondamentali per la specificità di salute dei diversi individui. Stiamo assistendo a tutti gli effetti a un dibattito scientifico in corso, eppure tale contradditorio viene taciuto e nascosto con ogni mezzo, tanto dai massmedia quanto dalle istituzioni. Le poche volte che se ne accenna lo si fa nei termini di una sistematica squalifica e diffamazione pubblica, ovviamente ai danni di una sola parte dei contendenti. Viene quotidianamente fomentata la dogmaticità di questa pseudo-scienza che tuttavia sta regolando le nostre vite da un anno e mezzo non senza violenta repressività. Le dinamiche della pseudo-scienza, chiamata erroneamente con l’appellativo di “scienza”, sarebbero infatti paragonabili a un’entità divina poiché preminenti e sceverabili da tutte le altre attività umane, come la politica, l’economia globale e i suoi grandi capitali, le ideologie, le vicende umane e personali dei suoi attori. Parrebbe persino sceverabile dalla logica, dalla razionalità, dalla natura e dalla realtà dei fatti. È inammissibile per un’istituzione come l’Università di Firenze far finta che non esistano tali controversie e nondimeno censurare il dibattito della conoscenza. L’Università dovrebbe essere il luogo dell’istruzione aperta e del confronto intellettuale per antonomasia, non quello dell’oscurantismo, della discriminazione, dell’isteria e del dogmatismo. Se non revocherete l’obbligatorietà del green pass dismetterete i panni del sapere per vestire il suo feticcio, ma vi accorgerete presto di essere rimasti nudi. Alla luce di quanto detto, noi al contrario abbiamo il coraggio di asserire che stiamo assistendo a dinamiche autoritarie imposte dall’alto, che poco hanno a che vedere con il vero processo scientifico e medico o con lo sviluppo del sapere in generale, e pertanto si tratta di misure politiche, economiche e ideologiche.
Le illegittimità non sono minori se analizziamo l’obbligatorietà del green pass o di analoghi obblighi dal punto di vista giuridico. Volgendoci adesso a adoperare il linguaggio giuridico, in via generale è opportuno ricordare come gran parte dei provvedimenti adottati da inizio pandemia consistano in Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (cosiddetti DPCM), i quali sono formalmente classificati – nella gerarchia delle fonti del diritto – come atti amministrativi riconducibili ai decreti ministeriali: ne consegue che, per la maggior parte dei provvedimenti adottati per contrastare la pandemia, la relativa natura di fonti secondarie non possa derogare né alla Costituzione, né ai Trattati internazionali, né al diritto dell’Unione Europea, né agli altri atti aventi forza di legge. In verità, lo stesso Tribunale di Pisa, con sentenza 419 del 17 marzo 2021 dichiara che “(…) Manca un qualsivoglia presupposto legislativo su cui fondare la delibera del Consiglio dei ministri del 31.1.2020, con consequenziale illegittimità della stessa per essere stata emessa in violazione dell’art. 78 Cost, non rientrando tra i poteri del Consiglio dei ministri quello di dichiarare lo stato di emergenza sanitaria. (…) A fronte della illegittimità della delibera del Cdm del 31.01.2020, devono reputarsi illegittimi tutti i successivi provvedimenti emessi per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid.19”. L’importante sentenza del Tribunale di Pisa richiama correttamente quanto sancito dalla Costituzione e dettato dai Padri costituenti stessi, che, in sede di Assemblea costituente, vollero evitare di attribuire al Governo poteri emergenziali di cui i regimi totalitari si erano allora serviti.
Fin dall’inizio dell’emergenza pandemica, le istituzioni universitarie e scolastiche hanno subìto danni irreparabili e incontrovertibili a seguito delle direttive impartite dall’Esecutivo tramite suddetti atti amministrativi (Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri). Conformandosi a tali direttive, l’Università e la Scuola sono già de facto venute meno al Patto educativo e formativo che costituisce la base del loro rapporto con i cittadini. Abbiamo tutti, inizialmente, tollerato che ciò avvenisse, confidando nella buona fede dei governanti e nella transitorietà della situazione. Nel momento in cui le attività sono tornate a svolgersi gradualmente in presenza, nelle università e nelle scuole non sono stati rilevati focolai che potessero portare a un cambiamento significativo nella curva epidemiologica in Italia. Eppure, il Governo ritiene che non sia sufficiente e sostiene che le misure del green pass o dell’obbligo indiretto alla vaccinazione siano l’unica strada per “ritornare alla normalità”: comunque lo si voglia definire, sia esso un ricatto indiretto o un obbligo diretto, è inammissibile subordinare l’ingresso nei luoghi della Repubblica – dai teatri alle università – all’obbligo di esibire una certificazione illecita, sia essa il green pass o altro provvedimento normativo similare.
Il Decreto legge n° 111 del 6 agosto 2021 sancisce la negazione del diritto allo studio per una parte degli studenti italiani, in virtù delle scelte che costoro hanno deciso di compiere in merito alla propria salute ed ai relativi trattamenti sanitari. Il Governo sostiene di agire per tutelare la salute pubblica e per prevenire il contagio, in forza di quanto stabilito dall’articolo 16 della Costituzione. Tuttavia, occorre domandarsi se le misure in esame costituiscano davvero un modo per fermare l’emergenza pandemica o se l’unico obbiettivo sia proseguire indiscriminatamente la campagna vaccinale, a prescindere che costituisca o meno un bene per la collettività e per i suoi cittadini: anche il Parlamento si è occupato della questione con l’Atto di sindacato ispettivo n° 1-00388 del 16 giugno 2021 del Senato della Repubblica italiana, nel quale si conferma che “I vaccini sono attualmente sperimentali con dati limitati sulla sicurezza (…)”. Eppure, sia in fase sperimentale sia nel caso di sperimentazione terminata, come abbiamo già avuto modo di esporre testé, il dibattito medico-scientifico non si esaurirebbe e non troverebbe un accordo univoco e certo su una questione così controversa. Le Istituzioni, dunque, non possono che fornire ai cittadini risposte poco chiare, precise, corrette o adeguate a soddisfare veramente la tutela di quei valori e di quei princìpi su cui il nostro ordinamento giuridico libero, democratico e rispettoso dei diritti umani fondamentali fonda le sue radici. Far passare come certo e indubitabile per tutta la popolazione ciò che è e continuerà ad essere oggetto di dibattito e smentite – e imporre su queste basi un qualsivoglia obbligo diretto o indiretto che sia – non rispetta alcuna logica o principio di proporzionalità.
L’articolo 16 Cost. afferma in verità che “ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge”. Ci chiediamo dunque come sia possibile parlare di “motivi di sanità o di sicurezza” in una situazione medico-scientifica del genere dove albergano dubbi e controversie. Le già citate misure di tutela della salute pubblica in realtà non possono che essere dettate in forza di ragioni contradditorie, arbitrarie e per questo prive di un fondante accordo scientifico. In presenza di una fattispecie come quella prospettata, la discriminazione di natura politica ed ideologica si configura in modo netto e preciso. Ciò è inammissibile, come lo stesso disposto costituzionale ci conferma. La discriminazione non è tollerata anche secondo il dettato dell’art. 3 della Carta costituzionale, che sancisce il principio di uguaglianza formale nonché di uguaglianza sostanziale. In base all’art. 3 Cost. “(…) È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Le Istituzioni del nostro Paese hanno sempre il dovere di agire attivamente affinché le discriminazioni non vengano perpetrate all’interno di qualsiasi fattispecie di ogni genere. Osservando la questione da un punto di vista più generale, è opportuno evidenziare che secondo l’art. 13 Cost. “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”. Qualora sussistesse una legge che intendesse limitare tale libertà personale, sarebbe comunque necessario l’intervento dell’autorità giudiziaria, il quale, tuttavia, deve indirizzarsi ai singoli individui ad hominem e non ad una pluralità indistinta, secondo il principio di proporzionalità. Ed ancora, in base all’art. 17 Cost. “(…) Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. Poiché le Università sono da considerarsi luoghi aperti al pubblico, e non luoghi pubblici, così come ricavabile dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione a Sezioni unite (sentenza Corte di Cassazione 31/3/1951), tutti gli studenti universitari regolarmente iscritti all’Ateneo hanno la piena facoltà di potersi riunire nei luoghi preposti allo svolgimento delle attività didattico-universitarie, quali aule studio, biblioteche e spazi nei quali si svolgono le lezioni, senza essere costretti a dover esibire alcun green pass. Più in particolare, si pensi all’art. 33 Cost., in virtù del quale “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”; e, ancora più direttamente, l’art. 34 Cost. sostiene che “la scuola è aperta a tutti”, senza prevedere in alcun caso – neppure a titolo straordinario o emergenziale – che l’ingresso agli istituti scolastici possa essere subordinato al possesso di un presunto “certificato verde”. L’art 32.2 della Carta costituzionale recita: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Lo stesso Consiglio d’Europa si è chiaramente espresso in merito con la risoluzione n°2361 del 27 gennaio 2021, dove, al paragrafo 7 si afferma in esplicito che “è necessario assicurarsi che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno dev’essere sottoposto a pressioni di carattere politico, sociale o di qualunque altro tipo in merito, se non lo desiderano. È inoltre necessario assicurarsi che nessuno venga discriminato per non essersi vaccinato, che sia per rischi legati alla propria salute o per aver fatto la scelta di non vaccinarsi”. Il Consiglio d’Europa non emana atti direttamente vincolanti per gli Stati, ma le sue risoluzioni costituiscono baluardo democratico in Europa e punto di riferimento per il diritto internazionale. A tal proposito, invece, esistono numerose fonti europee ed internazionali che devono necessariamente essere rispettate dallo Stato italiano: onde i Decreti legge nonché i DPCM sono soggetti al rispetto della gerarchia delle fonti del diritto di rango superiore, quali il diritto europeo ed il diritto internazionale, in virtù di quanto stabilito dagli artt. 10, 11 e 117 della Costituzione. Il nostro ordinamento giuridico, come quello di tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, deve sottostare al principio del primato del diritto europeo, secondo il quale, di fronte alla stessa materia trattata in modo difforme sia dalla norma europea che dalla norma interna, dovrà sempre esservi prevalenza della norma europea su quella di diritto interno. Il paragrafo 36 del Regolamento europeo n° 953/ 14 giugno 2021 precisa chiaramente che “è necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate (…) perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti Covid-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate, o hanno scelto di non essere vaccinate” (come precisato con correzione della traduzione del suddetto paragrafo 36 in data 5 luglio 2021, pubblicata in Gazzetta ufficiale dell’Unione europea). Inoltre, il Regolamento prosegue precisando che “[…] il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati”. Nonostante il predetto paragrafo si riferisca alla regolamentazione degli spostamenti tra gli Stati dell’Ue, facciamo notare che sarebbe irrazionale se il medesimo non valesse in via analogica per i movimenti all’interno dei territori nazionali.
In relazione all’interpretazione del principio del primato del diritto europeo, la stessa Corte di Giustizia dell’Unione europea si è chiaramente espressa attraverso la sentenza C-378/17 del 4 dicembre 2018, in cui afferma, al paragrafo 50, che “[…] Dal principio del primato del diritto dell’Unione (…) risulta che gli organismi incaricati di applicare, nell’ambito delle rispettive competenze, il diritto dell’Unione, hanno l’obbligo di assumere tutte le misure necessarie al fine di garantire la piena efficacia di tale diritto, disapplicando all’occorrenza qualsiasi disposizione o giurisprudenza nazionali che siano contrarie a tale diritto”. Il disposto della Corte di Giustizia dell’Unione europea chiarisce, quindi, quale sia il ruolo delle istituzioni nazionali e della Pubblica Amministrazione a fronte di norme interne in contrasto con il diritto europeo: queste devono disapplicare quanto in contrasto con la normativa europea.
In relazione al diritto internazionale, invece, richiamiamo alla Sua attenzione gli artt. 2.1 e 7 della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo (Onu), nonché l’art. 26 della sopracitata Dichiarazione – in base al quale “l’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali” –. La discriminazione è, inoltre, vietata da altre fondamentali disposizioni del diritto internazionale, tra cui l’art. 21 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (il cui valore giuridico, a seguito del Trattato di Lisbona, è equiparato a quello dei Trattati istitutivi dell’Unione europea) e l’art. 14 Cedu (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, pienamente integrata a sua volta all’interno del diritto europeo stesso). E malgrado all’art 15 Cedu si parli di “deroga in caso di emergenza”, è importante sottolineare quanto il medesimo articolo precisi che la deroga è ammissibile “a condizione che tali misure non siano in conflitto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale”. L’attuazione del green pass corrompe quei princìpi fondamentali che contraddistinguono uno Stato di diritto, i quali non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale (sent. cost. n° 1146/1988). In considerazione di quanto affermato, siamo esterrefatti nel constatare l’illegittimità del Decreto legge 111/2021: certi sono la sua incostituzionalità, il suo palese contrasto con le disposizioni del diritto internazionale e la sua violazione delle norme europee di rango gerarchicamente superiore. E chi mettesse in atto tali disposizioni commetterebbe il reato di violenza privata, come dettato dall’art. 610 del Codice penale, secondo il quale “chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni”, nonché il reato di interruzione di pubblico servizio, come dettato dall’art 340 del Codice penale, secondo il quale “chiunque (…) cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, è punito con la reclusione fino a un anno (…)”, e infine il reato di abuso d’ufficio, art. 323 del Codice penale, secondo il quale “(…) il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge (…) arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni”.
Lo stesso presidente emerito di Sezione presso la Corte di Cassazione Paolo Sceusa, in riferimento alla violazione del Patto sociale fra Stato e cittadini, ha coraggiosamente affermato: “Mi interessa da giurista schierarmi fieramente contro chi sta violando il patto di lealtà tra potere e cittadini. Ho ravvisato questa gravissima violazione del patto nella pubblicazione del testo in italiano del considerando numero 36 del regolamento numero 953 del 2021 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2021, quello che disciplina il Green pass europeo: nella versione italiana è stata volontariamente saltata una parte del testo originale. Quella delle parole ‘o hanno scelto di non vaccinarsi’. La norma è quella che mira a non introdurre discriminazioni anche indirette nei confronti di chi ha scelto di non vaccinarsi. Questa omissione, dopo le proteste di alcuni accorti giuristi, è stata corretta – e quelle parole omesse sono state finalmente svelate alla stregua di un normale ‘errore materiale’ –. (…) Tutto questo mi appare come una inaudita e gravissima rottura del patto di lealtà al quale facevo riferimento. E allora faccio un appello che è una allerta: chi è arrivato scientemente ad alterare il testo, potrebbe arrivare anche a fare qualsiasi altra cosa. Qui si tratta dei diritti di tutti e di ciascuno. Uniamoci a difesa di quei diritti contro chiunque vuole attentare al loro libero e inalienabile esercizio. Ne cives ad arma ruant.” Accettare la violazione dell’insieme dei diritti richiamati è per noi irricevibile, inammissibile. La nostra posizione è ferma davanti a tali scelleratezze. Non possiamo accettare un’imposizione che ci spinge con continui ricatti verso un obbligo de facto, né un eventuale e conseguente obbligo de iure, i quali tradiscono la natura del patto sociale fra lo Stato ed i suoi cittadini. Dal punto di vista giuridico, che corrobora quanto detto nelle pagine precedenti, invitiamo la Magnifica Rettrice a difendere al nostro fianco i valori della Costituzione, nostra suprema fonte normativa, nonché del Diritto naturale da cui essa – insieme al Diritto internazionale – ha avuto origine. La invitiamo in tal modo a farsi protettrice tanto del diritto allo studio quanto del principio di eguaglianza, nonché del diritto al lavoro e delle libertà fondamentali che ogni Ente dello Stato è tenuto a tutelare per potersi dire tale. Quello di abolire l’obbligatorietà del green pass o di lasciapassare analoghi è dunque non solo un invito, ma un richiamare al suo principale dovere l’Università. Invitiamo l’Università di Firenze tutta ad affermarsi nuovamente come luogo e faro di civiltà.
Nell’attesa di una pronta presa di posizione in relazione alle urgenze che abbiamo qui inteso acclarare, porgiamo i nostri distinti saluti
Firenze, 2 settembre 2021
In rappresentanza degli “Studenti contro il Green Pass” dell’Università di Firenze, ma sarebbe più corretto dire, semplicemente, in rappresentanza di molti studenti dell’Università di Firenze