di Aurelio Porfiri
Caro Aldo Maria,
la tua lettera sul trasloco mi è particolarmente piaciuta, perché mi ha fatto pensare ai miei traslochi e specialmente a uno della mia adolescenza, quando lasciai la casa dove ero nato. Ricordo ancora adesso, quasi quarant’anni dopo, il mio pianto sfrenato tra le mura vuote della casa che per prima mi vide interrogarmi e riflettere sul perché fossi al mondo e se fosse vero quello che mi sembrava di capire in chiesa, a Santa Maria in Trastevere, quando il mio parroco di allora, don Teocle Bianchi, ci parlava con immagini drammatiche del giudizio finale e io vestito da chierichetto mi facevo piccolo piccolo. Pensavo a tutto questo quando tu mi parlavi del tuo trasloco, un momento che credo certamente importante nella vita di ognuno. Ora ti metti di nuovo in cammino, ma nel tuo caso per tornare alle origini, ai luoghi della tua giovinezza.
Andrai in quella Lombardia da cui proveniva anche don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione. Un suo libro è intitolato Il cammino al vero è un’esperienza. Ho riflettuto su questo titolo, e sull’enfasi che è stata messa sul fatto che la nostra religione consisterebbe in un incontro, l’incontro con la persona di Gesù. Ma stiamo attenti a non dimenticare che Gesù Cristo non era una persona come noi, bensì Dio e uomo. Quindi io avrei visto meglio come titolo Il cammino è un’esperienza verso il vero. Già, perché Gesù non pretende di essere nostro amico o di indovinarci con le previsioni del tempo, ma di essere la pura ed essenziale verità. Non è poco, è una pretesa assoluta, e su questa dovrebbe sempre concentrarsi tutta l’azione della Chiesa.
Invece essa si impegna molto, forse troppo, sul piano orizzontale. La Chiesa, ho scoperto, non è solo un mistero soprannaturale, ma anche un mistero naturale. Nel senso che pure nei suoi meccanismi meramente terreni c’è sempre qualcosa che non riesci a capire se non ti trovi tra gli ingranaggi e se non accetti di farti stritolare per non perdere il vantaggio acquisito, come se fosse un call-center.
Riflettevo sul cardinale Giovanni Bona, un santo cistercense vissuto più di quattro secoli fa, il cui processo di beatificazione stava per iniziare nel 1909 ancora aspetta! Eppure ultimamente c’è questa smania di beatificare e canonizzare tutti i papi dopo il Concilio: sembra che nella piazza vuota di san Pietro si sia sentito rimbombare il grido “santi subito!”. Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e ora pure Giovanni Paolo I. Per carità, non discuto le virtù di queste persone, ma ho l’impressione che non si stiano canonizzando dei papi, ma un’epoca. Possibile che Benedetto XV, Pio XI e Pio XII siano da considerare discutibili come candidati alla santità mentre dal Concilio in poi ci sarebbe stata un’esplosione soprannaturale che ha praticamente investito tutti? Ripeto, non discuto i meriti di questi papi, ma mi permetto di dubitare dei demeriti degli altri.
Se si santifica un’epoca, quella del Concilio, si cerca poi di abbondare con altri protagonisti di questo tempo e chissà che non ci scappi allora qualche vaticanista. Dunque ho pensato: io sono così amico di Aldo Maria, e magari tra molti anni, quando Dio lo chiamerà a sé, faranno santo pure lui! E già mi vedevo su TV2000 a presentare il mio libro Ho pubblicato un santo. Insomma, tu eri il vaticanista di Rai Uno, hai fatto pure degli speciali sul Concilio… Poi mi sono ridestato e ho pensato: no, se le cose rimangono così, santo non lo fanno, anzi. E mi sono allora visto fuggire con la coda tra le gambe da TV2000 dopo il rifiuto di presentare il mio libro Il mio amico Aldo Maria, il giornalista che si svegliò.
Non che me la prenderò troppo a male: meglio un santo di meno ma un uomo vero e integro in più.