Cari amici di Duc in altum, come ben sappiamo, la follia della cancel culture si nutre di miti che non hanno riscontro nella realtà. Uno dei più diffusi è che i nativi americani vivessero come in un paradiso terrestre rovinato dall’arrivo dei cattivi colonizzatori e dei missionari cristiani. Dovremmo dunque provare vergogna e riparare. Peccato che la storia sia un’altra. Una storia rispetto alla quale l’articolo che qui vi propongo apre squarci significativi.
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di Paul Krause
Il 19 ottobre è stata la festa di Sant’Isacco Jogues, missionario gesuita che lavorò e visse tra gli indiani Mohawk tra il 1630 e il 1640, prima di essere torturato e decapitato il 18 ottobre 1646. Ma pochi cattolici, specialmente in America, conoscono la storia dei martiri nordamericani. Come mai?
In un’epoca in cui ci viene chiesto di piangere sulla tragedia dei nativi americani a causa dell’insediamento europeo e della cristianizzazione, a nessuno è raccomandato di piangere per gli europei brutalmente massacrati per mano delle popolazioni indigene che sistematicamente si combattevano e uccidevano prima dell’arrivo dei coloni europei. I Maya erano sodomiti attivi e alcune delle loro opere d’arte sopravvissute celebrano la lussuria e la violenza sodomita. Gli Aztechi praticavano sacrifici umani, cannibalismo e una schiavitù molto peggiore della tratta atlantica degli schiavi. I nativi americani che costruivano tumuli nei bacini fluviali interni del Nord America si dedicavano a rituali di sacrifici umani e di bambini. Erano popolazioni non esattamente nobili e pacifiche prima dell’arrivo degli europei.
I difensori di questi orrori sostengono che le fonti cristiane (prevalentemente cattoliche) hanno esagerato la brutalità dei nativi per giustificare la conquista. Questo è tipico dell’establishment intellettuale che odia Cristo e respinge tutte le prove non conforme all’ideologia prestabilita. Se i fatti non si adattano alla teoria, occorre liquidare i fatti come falsi.
È importante che i cattolici abbiano memoria dei martiri nordamericani. Per diverse ragioni.
La prima è che la storia dei martiri cattolici colpiti dai nativi americani dissipa ogni illusione che i nativi fossero vittime pacifiche di una presunta aggressione europea. Al contrario, è stata spesso l’aggressione dei nativi verso gli europei a scatenare le guerre tra i coloni e i nativi americani. Perché piangere per i nativi americani quando tanti santi sono stati scorticati vivi e hanno avuto il cranio schiacciato dai tomahawk? Sradicare quella memoria e la tragedia dei nativi americani può essere un’arma per obiettivi politici contemporanei.
In secondo luogo, la storia dei martiri cattolici mostra che la fondazione dell’America e le sue vere radici non riposano nell’insediamento protestante del New England o nella Costituzione americana, ma nell’opera santa di Cristo attraverso la Sua Chiesa. Il seme dell’America è immerso nel sangue e nel lavoro dei ministri e martiri di Cristo e non sta in documenti politici astratti che non fanno alcun riferimento a Cristo, al Suo Vangelo o alla Sua Chiesa, qualunque beneficio possa essere derivato da quei documenti.
Al ricordo di sant’Isacco Jogues e degli altri martiri nordamericani possiamo aggiungere quello di san René Goupil, san Giovanni di Lalande, sant’Antonio Daniel, san Giovanni di Brébeuf, san Noël Chabanel, san Carlo Garnier e san Gabriel Lalemant. La fede che hanno mostrato, specialmente tra i missionari gesuiti, è ben diversa da quella dell’ordine gesuita nel Nord America oggi.
Sant’Isacco Jogues, per esempio, avrebbe detto durante la sua odissea missionaria: “Vado, ma non tornerò mai più”.
San René Goupil, assistente laico di san Isaac Jogues, fu il primo a essere torturato e ucciso, nel 1642. Egli, insieme al sacerdote missionario martire, iniziò a convertire gli Huron al cristianesimo, il che aumentò l’animosità dei Mohawk nei loro confronti (perché, contrariamente a quanto sostiene il mito delle relazioni pacifiche con i nativi americani, gli Huron e i Mohawk, acerrimi nemici, si odiavano e i Mohawk usavano la conversione degli Huron come pretesto per la guerra).
Quando i due missionari entrarono nei villaggi Mohawk, furono immediatamente catturati e torturati e san René Goupil fu massacrato da diversi colpi alla testa con un tomahawk. San Isaac Jogues fu in seguito riscattato dai commercianti olandesi, ma non si lasciò scoraggiare dalla brutalità indigena e continuò i suoi sforzi missionari. Che fede eroica! Quando si spinse sulla frontiera selvaggia, nel 1646, per continuare i suoi sforzi missionari, fu ancora una volta torturato. Fu poi ucciso insieme a san Jean de Lalande e i loro corpi furono profanati e gettati nel fiume Mohawk.
I nativi americani che si erano convertiti al cattolicesimo in seguito catturarono gli assassini dei missionari francesi. Condannato a morte, uno degli assassini, proprio come il buon ladrone, si convertì, fu battezzato e prese il nome di Isaac Jogues prima che anche lui andasse a presentarsi davanti al Trono del Giudizio di Cristo.
La cultura è legata alla memoria, e quella dei santi, uno dei tratti distintivi della cultura cattolica, conserva la cristianità. La perdita del ricordo dei santi porta allo sradicamento della cultura e alla povertà della memoria.
Perché questi santi eroici e martiri non sono ricordati o ampiamente conosciuti tra i fedeli nordamericani? La risposta è che c’è una guerra al cristianesimo sotto forma di abbandono e dimenticanza. Questo è il sottile killer della cultura cristiana: l’abbandono della memoria e della coscienza che tramanda le storie di generazione in generazione.
Inoltre, i cattolici che venerano i nativi americani che hanno ucciso ministri così coraggiosi di Cristo e del suo Vangelo sono le pedine inconsapevoli del nuovo vandalismo culturale. Il tentativo di imporre ai fedeli cattolici la memoria delle presunte atrocità cattoliche contro i nativi, ignorando l’uccisione di nativi europei e dei missionari cattolici, opera un’inversione nel cuore dei cattolici. Piuttosto che celebrare i santi martiri che morirono per Cristo, i cattolici sono sottilmente costretti a piangere coloro che hanno condotto una guerra contro Cristo e la Sua Chiesa.
Ma la guerra contro il cristianesimo e la memoria cristiana non si esaurisce nell’idolatria del mito del nobile selvaggio. Alcuni, come sempre, arrivano al punto di politicizzare la questione, e ora affermano che il declino dei nativi americani ha causato il “cambiamento climatico”. Questa propaganda ideologica mira a distruggere qualsiasi venerazione cristiana della cristianizzazione del Nuovo Mondo perché il cristianesimo, che è direttamente legato all’insediamento nordamericano, “ha causato il cambiamento climatico”. Se proprio dobbiamo ricordare la cristianizzazione nel Nuovo Mondo, lo dobbiamo fare ritenendola un male.
Le storie dei santi martiri che si sono impegnati nella vera “missione nel deserto” rimangono un’ispirazione per tutti i cattolici timorati di Dio in questo continente. Esse costituiscono anche una finestra sulle realtà della società dei nativi americani in contrasto con i miti che diffondiamo su di loro. Infine, la storia dei santi martiri nel deserto nordamericano ci rivela le vere radici della civiltà e della cultura americana: il cristianesimo, la Chiesa cattolica e il cuore missionario.
I santi martiri attraversarono coraggiosamente i confini e impararono nuove lingue e sedettero, fianco a fianco, con persone diverse da loro, persone con anime ferite che avevano bisogno del trattamento che solo Cristo può offrire. I martiri nordamericani sono i veri eroi della fede. Hanno intrapreso una vera missione nel deserto per cercare di servire e salvare le anime che hanno un disperato bisogno di Dio. I loro sforzi per convertire amorevolmente i nativi americani alla Chiesa di Cristo non dovrebbero essere dimenticati. Continuano a mostrarci la vera, e unica, strada da percorrere in una cultura sterile oggi come nel diciassettesimo secolo e bisognosa dei semi della vita e dell’amore.
Fonte: crisismagazine.com
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