La filosofia moderna e la sua follia
di Francesco Lamendola
Il più forte e inappellabile atto d’accusa che si può formulare contro la filosofia moderna nel suo insieme è quello di aver rescisso il legame millenario, metafisico, con la teologia, e di aver seminato incredulità, materialismo e immanentismo a piene mani, tanto da aver allontanato la società da Dio e aver reso gli uomini delle povere monadi senza porte né finestre, condannate alla solitudine e all’angoscia esistenziale, perché prive di uno scopo e di un fine trascendente. Il processo si è svolto in tre tempi.
Nel primo tempo, con l’illuminismo, si è cercato di falsificare l’immagine di Dio rivestendolo degli attributi del falso dio massonico, un’operazione rivolta direttamente e intenzionalmente contro il cristianesimo, poiché era questa la religione che dava fastidio, e specificamente il cattolicesimo. Lo scopo era quello di far assumere al Dio cristiano i tratti dell’Essere Supremo, o di stemperarlo in un panteismo pseudo razionalista, come ha fatto Hegel, nel quale però si metteva bene in chiaro che la filosofia sta un gradino più in alto della religione, con ciò capovolgendo secoli e secoli di sviluppo del pensiero europeo, dall’antica Grecia a san Tommaso d’Aquino.
Nel secondo tempo, l’attacco al cristianesimo è stato portato in maniera esplicita e frontale, cercando di dimostrare l’inesistenza storica di Gesù Cristo e quindi la totale inconsistenza di tutto ciò che la Chiesa ha tramandato e insegnato a suo riguardo; e affermando inoltre che qualunque fede in Dio è una fuga e un’evasione dalle responsabilità della vita terrena e che qualsiasi religione altro non è che oppio dei popoli. Tale è stato soprattutto il (tristo) incarico che si è assunto il marxismo, il quale, non a caso, si è posto come una nuova religione di salvezza, e sia pure una religione laica, ereditando in un certo senso l’aspirazione alla verità e alla pace che il cristianesimo aveva fino allora custodito e tramandato.
Allora sono state poste le premesse per la terza fase, nella quale la cultura dominante dava ormai per scontato che parlare di Dio era una cosa inutile se non priva di senso, e quindi che pensare a una funzione del cristianesimo nella vita degli uomini era qualcosa che apparteneva a un passato chiuso per sempre. Così si sono moltiplicate le piccole filosofie del pensiero debole e della contingenza, del relativismo e del soggettivismo, dell’esistenzialismo e dello storicismo, nelle quali la visione dell’uomo e del mondo si è sempre più raggrinzita, rimpicciolita, immiserita, e l’idea della trascendenza è stata archiviata una volta per tutte nel museo degli errori del passato, da visitare una volta l’anno, come i cimiteri nel giorno dei morti, con un misto di compassione e di sdegno per lo spettacolo di tanto abbrutimento.
Non fosse altro che per questo, l’insieme della filosofia moderna, ossia di tutta la filosofia successiva a Cartesio (ma, volendo, si potrebbe risalire fino a Guglielmo di Occam) meriterebbe tutto il nostro biasimo e tutto il nostro disprezzo, perché, oltre ad aver negato un bisogno fondamentale dell’uomo, configurandosi perciò come una filosofia anti-umana, ha anche annullato il magnifico lavoro speculativo di duemila anni di storia, da Platone e Aristotele in poi, per ricondurre il pensiero entro il cerchio stregato di un’immanenza che non sa dare razionalmente conto di sé, ma che pretende, attraverso una serie di vere e proprie forzature logiche, d’ignorare il problema e di porsi, pur così monca e inadeguata, quale unico modello di riferimento per chiunque voglia considerarsi una persona ragionevole ed emancipata, capace di stare al passo con i tempi del cosiddetto progresso.
Un autore che mette perfettamente a fuoco tale processo di restringimento speculativo, anche se – a differenza di noi – non giunge alla conclusione che la filosofia moderna sia stata tutta un errore, è Giuseppe Giacomo Nastri, del quale avevamo già trattato a suo tempo; significativo ci sembra questo brano del suo libro Corruzione della filosofia. Il pensiero moderno come anti-religione (Roma, Armando Editore, 2006, pp. 364-365):
La filosofia, in principio, potrebbe accennare il cammino verso Dio; notiamo invece l’incompatibilità tra quest’obiettivo e il pensiero moderno. Nell’atmosfera culturale del giorno d’oggi si è “naturalmente” atei o per lo meno agnostici e il discorso religioso sembra ormai divenuto cosa futile, se non ridicola. Particolarmente destabilizzanti sono gli argomenti contro i dogmi della Chiesa, anzi contro ogni forma di filosofia che permetta di dare un senso alla loro formulazione. Per non lasciare alcuno spiraglio aperto alla religione cristiana, o più precisamente alla religione cattolica, la filosofia moderna, nelle sue forme relativiste, diventa addirittura la decostruzione d’ogni forma di pensiero e di logica. Se la nostra ricerca è stata corretta, nella filosofia moderna si manifesta anche un potente spirito di rivolta.
Certo, per giungere dove si è giunti, sono occorsi i toni saggi, pacati, soffusi, se non melliflui, d’una moralità che conserva ancora molto di ciò che è umanamente proponibile nella religione cristiana. Infatti, tenendo conto del terreno culturale europeo, profondamente segnato dal cristianesimo, sono stati adottati i modi più adatti per giungere a misconoscere i doni di Dio. La rivolta è un fatto del cuore ma passa attraverso l’intelligenza che nega l’essere, la sua bontà fondamentale e la stessa logica. S’è infatti visto come certe etiche dell’autonomia, ponendo l’accento sulla noia, la routine, la sofferenza, la disperazione e tutto ciò che di deprimente o di spaventoso fa inevitabilmente parte del destino umano, giungano insidiosamente a svuotare del loro senso i buoni sentimenti e ad esasperare i meno buoni. Anche chi ha la viva coscienza del male nel mondo, non può concepirlo come tale se non in quanto esso coarta e colpisce ciò che è bello e buono… sennò che male sarebbe? Un pensiero deviato aggrava la devastazione e colpisce la vita ad un secondo grado, per così dire facendo della sofferenza un argomento per negare all’esistenza ogni senso, valore e verità; anzi per negare addirittura l’esistenza, in un tripudio nichilista di rinvii, di riduzioni e di disperazione. L‘azione più efficace contro la religione non sta dunque nelle persecuzioni o vessazioni, ma nel colpire la credibilità degli stessi dogmi della fede. Gli argomenti utilizzati non sono tuttavia dei più solidi. Ed è proprio il nichilismo, cui approda questa filosofia anticristiana, l’argomento più convincente per respingerla, con il ribadire la naturale positività dell’essere sino al suo fondamento, Dio che, in quanto Trinità, è Amore. La testimonianza che il buon Dio ci chiede oggi è proprio quella della fedeltà del piccolo numero, in un contesto intellettuale e informativo di grandissima confusione.
È chiaro e noto a tutti che la teologia, tanto nella Chiesa greca che latina, ha ampiamente utilizzato gli apporti del pensiero antico battezzandolo, se così si può dire: si veda il caso del platonismo e dell’aristotelismo, quali che ne siano per altro verso i limiti rispettivi. La teologia ortodossa ha saputo mantenere i due poli della grazia e della ragione, mentre la cultura che ha le sue radici nella Riforma ha abbandonato ogni metafisica, ogni argomento naturale in materia di religione e di morale per assumere un tono mistico e profetico. Non soltanto non è più dato all’uomo di dimostrare l’esistenza di Dio e di discutere in favore della religione, ma la stessa etica non può più basarsi sulla conoscenza della natura, dell’uomo o di Dio. Per questo non è possibile recuperare la filosofia moderna in teologia, come invece è avvenuto per l’antica…
La cultura moderna è riuscita a far passare l’idea che fede e ragione sono inconciliabili, ma la realtà è esattamente l’opposto, e cioè che la vera e sana ragione naturale conduce logicamente al riconoscere un principio creatore del mondo, buono e onnisciente, perché il fatto che le cose esistano è cosa migliore che le cose non esistano!
Due sono gli aspetti di questa analisi che attirano particolarmente la nostra attenzione.
Il primo riguarda il carattere studiato, concertato, diremmo pianificato dell’attacco condotto dalla filosofia moderna contro il cristianesimo e più particolarmente contro il cattolicesimo (essendo la Riforma protestante la prima manifestazione della rivolta moderna e anticattolica contro la Chiesa e la cultura religiosa europea). Dalla seguente affermazione: Certo, per giungere dove si è giunti, sono occorsi i toni saggi, pacati, soffusi, se non melliflui, d’una moralità che conserva ancora molto di ciò che è umanamente proponibile nella religione cristiana. Infatti, tenendo conto del terreno culturale europeo, profondamente segnato dal cristianesimo, sono stati adottati i modi più adatti per giungere a misconoscere i doni di Dio, si deduce che una simile strategia non ha avuto carattere spontaneo, non si è trattato quindi di una rivolta naturale ed istintiva, ma di un piano sapientemente concepito e applicato, sfruttando proprio ciò che ancora poteva fare presa sulle masse e confondendo le idee in maniera tale da scalzare piano, piano la visione cristiana del mondo servendosi proprio di essa, o di parti significative di essa, ma rivolgendo l’obiettivo nella direzione opposta, cioè della sua radicale destrutturazione. Un’operazione per linee interne, insomma, che ricorda quella attuata da Giovanni XXIII e soprattutto da Paolo VI con il Concilio Vaticano II e con la cosiddetta riforma liturgica: vale a dire una manovra nella quale si sono slavate le forme esteriori, almeno fino ad un certo punto, della visone tradizionale, per sostituirle gradualmente, artatamente e silenziosamente con forme estranee del tutto incompatibili con essa, ma facendo bene attenzione a che i diretti interessati, ossia i fedeli e il clero stesso, non si rendessero affatto conto di quel che stava accadendo, e anzi cullandoli nella beata convinzione che quella in atto fosse solo una necessaria opera di restaurazione e di rilancio del credo cattolico, mentre ne era la deliberata adulterazione. È evidente che chi è stato capace di concepire ed attuare una simile strategia doveva avere una perfetta conoscenza della cultura cattolica e quindi è più che verisimile che già al tempo dell’illuminismo la massoneria avesse infiltrato i quadri dell’alto clero e dei teologi al fine di tendere in maniera cauta e dissimulata al proprio obiettivo, lo smantellamento graduale dei dogmi della fede. Insinuare, ad esempio, e poi apertamente affermare, che la sofferenza umana non ha senso e che ciò, da sé solo, è argomento sufficiente ad inficiare tutta la visione cattolica del mondo, tutta la Rivelazione e tutta la Redenzione, anche se è una manovra abbastanza rozza sul piano speculativo, come giustamente il Nastri fa osservare, nondimeno colpisce dritto nel segno, perché nessuno come l‘uomo moderno è sensibile a questo tema, e l’idea che Dio permetta o che sia indifferente alla sofferenza umana è tale da inficiare in partenza qualsiasi possibilità di ritorno o di conservazione dell’antico spirito religioso. Si vedano Leopardi, Schopenhauer, Montale, Gadda, ma anche Eduard von Hartmann e poi Heidegger, Sartre, Camus, Céline eccetera. E dire questo non significa fare del complottismo, come oggi troppo spesso si ripete quando non si sa come cercare di nascondere la brutta realtà del secolare disegno massonico ai danni della spiritualità cristiana dell’Europa e del mondo, ma porre la questione in termini plausibili sul piano storico e logico, se non addirittura persuasivi, come lo possono essere trattandosi di un disegno studiato e realizzato in tempi lunghissimi, più di qualsiasi altro della storia umana. Del resto, la filosofia cammina sulle gambe dei filosofi, persone concrete, che possono anche decidere di collegarsi fra loro in una potente società segreta al fine deliberato di demolire la cultura esistente per sostituirla con una visione del tutto nuova del mondo, più confacente agli obiettivi che si prefiggono di realizzare. Non bisogna fare della storia del pensiero qualcosa di astratto e totalmente separato dalla realtà corrente; al contrario, il pensiero è sempre pensiero di uomini, e il fatto che alcuni uomini abbiano la forza d’imporre le loro idee ad una maggioranza che non le comprende, non le condivide, ma finisce per subirle, ha a che fare con la natura dell’orgoglio umano, e trova i suoi precedenti teologici nel Peccato originale e nelle successive occasioni di rivolta contro Dio, come al tempo del Diluvio Universale, della Torre di Babele, o della distruzione di Sodoma e Gomorra. Sì, caro monsignor Nunzio Galantino: perché Sodoma e Gomorra furono distrutte da Dio per la gravità dei loro peccati, e se lei non ci crede, vada a rileggersi la Bibbia, e non dica cosa contrarie al vero ai giovani che l’ascoltano.
Il secondo aspetto riguarda l’intrinseca irrazionalità e contraddittorietà del pensiero moderno che, nell’atto stesso di negare o ignorare Dio, causa prima e fine ultimo di tutte le cose, si trova inevitabilmente a poggiare sul nulla. Quello che va sottolineato è che mentre la cultura moderna è riuscita a far passare l’idea che fede e ragione sono inconciliabili, e se si crede non si usa adeguatamente la ragione, la realtà è esattamente l’opposto, e cioè che la vera e sana ragione naturale conduce logicamente al riconoscere un principio creatore del mondo, buono e onnisciente, perché il fatto che le cose esistano è cosa migliore che le cose non esistano. Provate a discutere con un ateo “moderno” sull’origine del mondo: vi risponderà subito con delle frasi fatte e prive di senso logico, ad esempio che nulla vieta di pensare come la materia sia sempre esistita e sempre esiterà, indipendentemente da qualsiasi principio spirituale. Ma tale assunto è in se stesso indifendibile, perché l’ente non crea mai se stesso; solo l’essere può creare gli enti e conferire loro diversi gradi di esistenza. Dunque, negare Dio è come negare l’essere, cioè il senso logico del reale. Il che è folle…
Fonte: accademianuovaitalia.it