Cristo Re: una festa imbarazzante per una Chiesa rivista e corretta

Cari amici di Duc in altum, abbiamo di recente celebrato la festa di Cristo Re e mi sembra il caso di tornarci con un’appropriata riflessione che ho letto qui e vi propongo in una mia sintesi. L’autore è docente di filosofia allo Iona College di New Rochelle, New York.

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di padre John A. Perricone

La festa di Cristo Re propone un cattolicesimo robusto e sanguigno che non ammette compromessi. Presenta Cristo come trionfante sul mondo, sul peccato e sulla morte. Proclama Cristo, che comanda: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni” (Matteo 28:19) e: “Allora, poiché sei tiepido e non sei né freddo né caldo, io ti vomiterò dalla mia bocca” (Apocalisse 3 :16).

È una festa che non si sposa bene con il dialogo, l’equivoco e il “rispetto del processo”. O con coloro che vorrebbero rifinire la Fede con più “sfumature”. Anche la parola “trionfo” mette in difficoltà un certo tipo di cattolico.

Molti di questi cattolici da tempo disprezzano la missione soprannaturale della Chiesa, portando avanti un’agenda politico-sociale più conforme a un modello laico. Per questi cattolici, la Chiesa è più simile a una ong, il cui compito è cercare “equità” (qualunque cosa voglia dire) per le masse. E se questo vi ricorda un altro tipo di agenda nata a metà del diciannovesimo secolo, non vi sbagliate. È comprensibile che l’accento posto sul trionfo della sovranità di Cristo determini in molti cattolici di una certa disposizione imbarazzo se non rabbia.

Ci sono altri aspetti della festa che allarmano il cattolico “rivisto e corretto”. È manifestamente chiaro che Cristo nostro Re richiede che Egli sia sovrano su ogni aspetto della nostra vita, privata e pubblica. Ma non pochi cattolici si offendono a fronte di questa netta disposizione. Nel secolo scorso è stato introdotto un Cristo più dolce e gentile. Uno che non dovrebbe essere chiamato “sovrano” ma amico, uno che non guida, ma accompagna. Per questi, Cristo è uno che cerca uomini “adattati”, non redenti.

Guardiamo il modo in cui si celebra la Santa Messa nella maggior parte delle parrocchie. Sembra più lo spettacolo di varietà parrocchiale annuale che il sacrificio incruento del Calvario.

Poi c’è la ricezione della Santa Comunione. Il modo in cui ci si accosta alla Comunione è più simile a una passeggiata con gli amici che a un incontro con il Dio santissimo.

Dove sono il “timore e tremore” di cui scrive san Paolo? Non è difficile immaginare il passaggio da questo atteggiamento all’idea che tutti sono benvenuti alla Santa Comunione. Dopotutto, chi osa negare a qualcuno l’opportunità di una simile bella passeggiata?

Questo paradigma non vede la Santa Comunione come segno di unione con la volontà del Salvatore e desiderio di maggiore abbandono alla Sua grazia. Il modello rivisto e corretto è terapeutico, non giudicante. I mantra di questa distorsione sono diventati così familiari da risultare comici: “La balaustra dell’altare (come se ce ne fosse rimasta ancora una) non è un campo di battaglia” oppure “Non vogliamo rendere politica l’Eucaristia” e avanti così. Nel frattempo, la dottrina dell’Eucaristia svanisce e le anime appassiscono.

I veri cattolici si gloriano della festa di Cristo Re. Per noi è come un tamburo che ci chiama alla battaglia, per combattere contro i nostri peccati, le nostre infedeltà, le nostre esitazioni e razionalizzazioni. È lo squillo di tromba che ci spinge a marciare contro i nemici di Cristo e della Sua Santa Chiesa.

Nella Storia della guerra del Peloponneso di Tucidide leggiamo che mentre gli ateniesi stavano decidendo una linea d’azione contro gli spartani, gli anziani della città ordinarono a tutti i cittadini di radunarsi nel grande anfiteatro dove si poteva votare. Per rivolgersi alla folla furono scelti due dei principali oratori di Atene: Asclepio e Demostene. Dopo che Asclepio ebbe pronunciato la sua orazione, tutti gliaAteniesi commentarono educatamente: “Ha detto bene”. Dopo che Demostene ebbe parlato con la sua consumata abilità oratoria, gli ateniesi balzarono in piedi e gridarono, come con un sol uomo: “Carica!”

La festa di Cristo Re non serve per sederci comodamente e dire: “Che bello”. Questa festa richiede che tutti insieme gridiamo: “Carica!”.

Fonte: crisismagazine.com

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