Cari amici di Duc in altum, vi propongo una mia sintesi di un articolo – Le battaglie e il vittorioso martirio del beato Miguel Pro – che nella versione integrale in inglese si può leggere qui e ci riporta nel Messico degli anni Venti del secolo scorso, sottoposto a un feroce regime ateo e anticattolico.
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di Mary Hansen
Padre Miguel Pro avrebbe potuto dire “no”. Il suo superiore gesuita gli ordinò di tornare in Messico per motivi di salute. Dopo tre infruttuose operazioni allo stomaco, il superiore pensò che un ritorno in patria lo avrebbe aiutato a riprendersi. È probabile che il superiore non fosse a conoscenza della pericolosa situazione del Messico in quel momento, in particolare per un prete cattolico. Padre Pro, invece, sapeva esattamente che cosa avrebbe dovuto affrontare. Era in Europa da undici anni perché per lui era considerato troppo pericoloso continuare la formazione in un seminario messicano, nella sua patria assediata. Completò quindi la formazione teologica in Spagna e Belgio e fu ordinato sacerdote nel 1925. Ritornò in Messico nel 1926.
Miguel nacque il 13 gennaio 1891 nella città mineraria di Guadalupe, nello Stato di Zacatecas, dove suo padre era ingegnere minerario. Era il terzo di sette figli. Il vivace, musicale e sempre spiritoso Miguel (“Avrebbe potuto fare fortuna sul palco”, disse un conoscente) entrò a far parte dei gesuiti come novizio all’età di vent’anni. “Toglimi tutto, Signore! Dammi solo anime!” giurò in quel momento.
Dove stava tornando padre Miguel? In Messico era il periodo conosciuto come La persecuzione brutale, sotto la guida del dittatore ferocemente anticattolico Plutarco Calles, che divenne presidente del paese nel 1924. Secondo Saints and Sinners in the Cristero War, Calles “aveva la reputazione di giustiziare sacerdoti senza processo: novanta furono uccisi durante i suoi quattro anni come presidente. Era ateo e lo considerò un distintivo d’onore per tutta la vita”. Monsignor James T. Murphy afferma che Calles “attaccò la Chiesa con un fanatismo che spesso scioccò i diplomatici stranieri”.
L’ambasciatore americano James Sheffield, in una nota per il Dipartimento di Stato americano, scrisse: “Questo presidente è diventato così violento sulla questione religiosa che ha perso il controllo di se stesso. Quando il tema viene affrontato in sua presenza, la sua faccia diventa rossa e colpisce il tavolo con un pugno, per esprimere il suo odio e la sua profonda ostilità verso la pratica della religione”. Questo era il Messico in cui padre Pro stava tornando nel 1926.
Prima di lasciare l’Europa il religioso chiese il permesso di visitare Lourdes. Gli fu concesso, e lui, “che aveva verso la Madonna la devozione dei santi”, dichiarò: “Fu il giorno più felice della mia vita”, e mentre si trovava lì compose questa preghiera: “Possa io passare i miei giorni vicino a te, o Vergine addolorata, ed esserti vicino, stare vicino a te, rafforzare la mia anima con le tue lacrime”. Offrì l’immolazione di se stesso per la Chiesa in Messico e disse. “Il viaggio a Lourdes mi ha dato coraggio”. Ne avrebbe avuto bisogno con straordinaria abbondanza.
Lasciò l’Europa nel luglio del 1926, “per la Vergine e le terre selvagge bruciate dal sole del mio paese”. Stava entrando in Messico nel momento in cui la Costituzione radicale del 1917 infieriva sulla Chiesa cattolica. Secondo Robert Royal, nel suo Martyrs of the Twentieth Century, il Messico divenne la prima “repubblica rivoluzionaria esplicitamente socialista e antireligiosa nel mondo”. Insieme alla Russia sovietica, alla Spagna repubblicana e alla Cuba di Castro, “diventò uno dei paesi comunisti il cui scopo esplicito era lo sradicamento della religione cristiana”.
La Costituzione aveva privato la Chiesa cattolica di tutti i suoi beni. L’articolo 24 della Costituzione stabiliva che tutto il culto religioso fosse regolato dallo Stato. Le chiese furono chiuse e nessun prete fu autorizzato a servire i fedeli. L’articolo 3 secolarizzò completamente l’istruzione. L’insegnamento della religione fu vietato in tutte le scuole. Francis F. Kelley, vescovo di Oklahoma e Tulsa, che ha affrontato l’argomento nel suo libro Blood Drenched Altars, ha rivelato il giuramento che gli insegnanti nello stato dello Yucatan erano costretti a firmare: “Mi dichiaro solennemente ateo, nemico inconciliabile della religione cattolica romana e mi impegnerò per distruggerla”. Non tutti gli insegnanti però lo rispettarono. Nella città di Aguascalientes gli insegnanti si dimisero in massa e nello stato di Michoacan “sessanta insegnanti si dimisero piuttosto che fare lezione come prescritto”.
Kelley fa riferimento al caso del ministro dell’Istruzione, un caro amico del presidente Calles, la cui “particolare mania educativa era l’educazione sessuale e inviò opuscoli indecenti agli insegnanti” (vi suona familiare?)
A pochi giorni dall’arrivo di padre Pro in Messico, i vescovi del Paese furono costretti a prendere provvedimenti senza precedenti: il 31 luglio 1926 ordinarono la rimozione del Santissimo Sacramento da tutte le chiese piuttosto che sottoporre la Chiesa cattolica al controllo del governo. Con l’approvazione della Santa Sede, tutti i sacramenti furono sospesi in tutte le chiese della repubblica. I vescovi dissero con angosciata eloquenza: “La vita della Chiesa è quella del suo Fondatore. La Chiesa del Messico è oggi abbandonata ai suoi peggiori nemici; è derisa, flagellata, ridotta in uno stato simile alla morte”. Come è stato scritto, “per il Messico era iniziato il grande Venerdì Santo”.
Migliaia e migliaia di persone accorsero alla confessione prima che le chiese fossero chiuse. Padre Pro, appena arrivato, confessava per ore nella sua chiesa parrocchiale dei gesuiti, la Sacra Famiglia, a Città del Messico, a tal punto da svenire due volte. Disse la sua ultima Messa pubblica alla Sacra Famiglia il 31 luglio 1926. Da quel giorno la Chiesa in Messico diventò “sotterranea”.
Organizzò “stazioni di Comunione” durante le quali distribuiva quotidianamente fino a trecento Comunioni. Il suo mezzo di trasporto? La bicicletta di suo fratello. “L’ultimo primo venerdì – annotò – ho distribuito 1.200 Comunioni”. Tutto a rischio della sua vita. Fu costretto a travestirsi, a volte da studente (il suo aspetto giovanile era una risorsa in questo senso), altre volte da meccanico, da minatore e perfino da dandy azzimato, con un lungo bocchino e un vestito appariscente. Sempre consapevole dei diecimila agenti che in città erano impiegati dal governo di Calles come spie. Essere scoperti poteva significare tortura, imprigionamento o morte immediata. Sempre attento ai poveri, padre Pro riuscì comunque ad aiutarne quasi mille.
Padre Pro non smise mai di confessare, nemmeno in carcere: “Ho ascoltato confessioni anche in prigione e qui passo così la maggior parte del mio tempo perché le celle sono piene di cattolici” si legge nel libro di padre Wilfred Parsons Mexican Martyrdom.
Tenne anche ritiri spirituali, battezzò innumerevoli bambini e benedisse matrimoni. Le sue visite ai malati divennero leggendarie. Conosceva i rischi e diceva: “I cattolici si sono messi sulla difensiva contro Calles e le rappresaglie saranno terribili, soprattutto a Città del Messico. I primi a soffrire saranno coloro che hanno messo le dita nella questione della religione. E io ci ho messo le mie fino al gomito!”
Parlava anche dei pericoli: “Da ogni parte riceviamo notizie di attentati e rappresaglie; le vittime sono tante; il numero dei martiri cresce ogni giorno. Oh, se solo potessi estrarre un numero vincente!”.
Sapeva bene di cosa stava parlando: solo nella prima settimana di maggio del 1926, a Città del Messico ci fu l’esecuzione di massa di diciassette sacerdoti.
In tutto questo regno del terrore, come ricorda George Norman in The Jester of God, la basilica di Nostra Signora di Guadalupe rimase sempre aperta e il 31 ottobre del 1926, nella festa di Cristo re, ci fu un pellegrinaggio. Neppure il governo Calles aveva osato chiuderla!
Il pellegrinaggio iniziò alle quattro del mattino e si concluse alle sette e mezza di sera. Un flusso ininterrotto di persone – quasi il novanta per cento degli abitanti della città – passò davanti all’immagine benedetta della Madonna di Guadalupe. E tutti lungo la strada gridavano: “Viva Cristo Rey! Viva la Virgen de Guadalupe!”.
La notte del 15 novembre 1927 padre Miguel e i suoi due fratelli, Humberto e Roberto, furono arrestati. L’ultima notte della sua vita dormì sul pavimento perché aveva dato il suo “materasso sottile” a un compagno di prigionia. La mattina del 23 novembre, il sacerdote fu condotto fuori dalla sua cella, con il crocifisso in una mano e il Rosario nell’altra. Di fronte al plotone di esecuzione, con le braccia tese a forma di croce, rifiutò la benda, baciò il suo crocifisso e disse al plotone: “Dio abbia pietà di voi. Che Dio vi benedica.” Le sue ultime parole furono “Viva Cristo Rey!”. Suo fratello Umberto fu martirizzato lo stesso giorno, mentre l’altro fratello, Roberto, fu rilasciato ed esiliato negli Stati Uniti.
Una suora riferì che un mese prima della sua morte padre Pro le aveva confidato di aver offerto la sua vita per le anime e per la Chiesa in Messico.
Fonte: onepeterfive.com
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