Origini nascoste della “Traditionis custodes”
Andare alle origini di Traditionis custodes riserva qualche sorpresa, come spiega questo articolo che riprendo da roma-perenne.blogspot.com
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Leggo su OnePeterFive un interessante articolo su I decreti dimenticati di Francesco. Si tratta di Quo magis e Cum sanctissima, del 22 febbraio 2020, festa della Cattedra di San Pietro: due documenti della Congregazione per la dottrina della fede, emessi con l’approvazione di Bergoglio nell’udienza del 5 dicembre 2019.
I decreti sono sfuggiti all’attenzione generale e sono rimasti lettera morta; ma hanno di fatto promosso il motu proprio Traditionis custodes del 16 luglio 2021.
L’articolista fa un excursus interessante, che ripercorro con alcune integrazioni e l’aggiunta delle note, per richiamare l’attenzione sui decreti dimenticati e sulle loro prescrizioni e relative implicazioni.
- Quo magis fornisce una selezione di testi facoltativi di sette nuovi Prefazi da inserire nel Missale Romanum del 1962 : per gli Angeli; il Battista; i Martiri; Tutti i Santi e Patroni; il Santissimo Sacramento; la Dedicazione di una Chiesa; Messe Nuziali [qui].
- Cum sanctissima offre integrazioni relative alle rubriche del Messale (e del Breviario) riguardanti la celebrazione dei santi aggiunti al Martyrologium Romanum dal 1962. Le rubriche includono dettagli su quali testi utilizzare per questi nuovi santi e fanno esplicito riferimento a un supplemento di successiva pubblicazione per includere i propri della Messa e dell’Ufficio per una selezione di tali potenziali celebrazioni. Di nuovo, tutto è facoltativo.(1) È inclusa un’interessante “correzione” delle rubriche del 1962: durante la Quaresima e il Tempo di Passione, c’è libertà di celebrare i santi le cui osservanze erano fino ad allora severamente limitate. Anche in questo caso, la massima libertà è consentita dallo status facoltativo di tutte le nuove rubriche.(2)
Da notare che i due decreti sono presentati con esplicito riferimento alla prospettiva delineata da Benedetto XVI nel Summorum pontificum del 2007. Rispondono esattamente alla visione benedettina di un possibile arricchimento del corpus dei Prefazi, e della possibilità di celebrare i santi post-1962 nel Rito romano antico.
L’interesse dell’articolo non sta tanto nel vaglio e approfondimento dell’importanza e del contenuto dei decreti. Il punto è che c’è piena libertà di avvalersi o meno delle relative disposizioni: tutte le modifiche presenti in entrambi i documenti sono facoltative e non obbligatorie; l’unico ambito in cui si è tenuti a non fare qualcosa è rispetto alla specifica disposizione che alcune feste di III Classe non possono essere soppiantate da nuove celebrazioni per cui viene fornito un calendario.
La puntualizzazione è sul fatto che questi due documenti del 2020 sono ora essenzialmente caduti nell’oblio, ma non senza aver prima generato, significativamente, una discreta quantità di polemiche gravide di conseguenze.
Infatti essi hanno suscitato una energica opposizione; ma sorprendentemente non da parte di devoti “rigidi” del 1962 che si oppongono a qualsiasi modifica a quel Messale. Parrebbe che la natura facoltativa dei decreti abbia messo a tacere qualsiasi protesta del genere. Chi fosse preoccupato di possibili modifiche ai libri del 1962, avrebbe potuto rilevare un paio di documenti, dopotutto, semplicemente ignorabili entrambi e comunque di fatto sufficientemente meditati e accettabili, almeno da quello che constato a prima vista.
I due decreti non sono stati ignorati, neppure lontanamente, dall’establishment liturgico progressista, la cui sede è in Sant’Anselmo a Roma, da cui è partita l’opposizione. Quo magis e Cum sanctissima hanno fatto infuriare i liturgisti progressisti. Per la ragione che entrambi i decreti confermano che il rito romano antico appartiene alla ricca tradizione liturgica dell’Occidente posto che sottolineano ed evidenziano come il rito romano antico sia una liturgia vivente, non un pezzo da museo cristallizzato per sempre nel 1962.
Entrambi i decreti sono arrivati anche sulla scia della concessione da parte di Francesco del permesso di utilizzare localmente l’Ordo Hebodamadae Sanctae precedente il 1956. Non solo egli stava concedendo facoltà ai seguaci di mons. Lefebvre ma stava anche infrangendo il muro del 1962 sottoposto al precedente martellamento dei precursori degli anni ’50 del Novus Ordo paolino(3). E ora stava codificando il fatto che la liturgia classica potesse continuare a vivere con nuovi propri santi come se lo sviluppo organico (in contrapposizione alla rottura inorganica) fosse realmente avvenuto negli anni Sessanta e Settanta.
Ed è così che il noto liturgista di sant’Anselmo, Andrea Grillo, già noto protagonista in ordine alle recenti restrizioni sulla liturgia [vedi], non ha esitato a promuovere una petizione volta essenzialmente a porre fine all’uso del rito antico (pubblicata su Munera e ancora su Pray Tell). I luminari della Liturgia, sia d’Europa che del Nord America, hanno firmato il documento. E dunque Quo magis e Cum sanctissima hanno ispirato una campagna ostinata da parte dei liturgisti di tendenze più moderniste per porre fine una volta per tutte all’era di Benedetto, un’era che avevano sempre disprezzato e per la quale non intingevano le loro penne nell’inchiostro di adulatori appelli all’obbedienza, ma nel veleno della derisione, della critica all’uomo che già nel 1968 aveva suscitato le loro ire collettive. Nonostante le frequenti affermazioni secondo cui non si interessavano minimamente della liturgia tradizionale, Grillo e i suoi colleghi non perdevano mai occasione per chiedere l’abrogazione del Summorum Pontificum.
Il supplemento promesso per il Messale e il Breviario che dovrebbe fornire testi per alcuni nuovi santi forse non vedrà mai la luce. Che senso avrebbe produrre un testo del genere? La Traditionis custodes chiarisce che nella visione di Francesco non c’è un futuro stabile per la liturgia tradizionale, visto che ci si aspetta che ogni cattolico romano passi prima o poi alla “espressione unica del rito romano” (il destino delle liturgie approvate per gli ordinariati anglicani non è chiaro nel linguaggio impreciso e razionalmente incoerente del motu proprio). Non c’è bisogno del supplemento al Messale tradizionale promesso alla fine dell’inverno del 2020, poiché a metà estate del 2021 quel Messale ha ricevuto la condanna a morte. Infatti Quo magis e Cum sanctissima sono decreti della Congregazione per la Dottrina della Fede che, a partire dal luglio 2021, non ha più competenza sul Rito antico.(4)
Le future disposizioni per l’uso della liturgia del 1962 sono ora sotto la competenza di altri dicasteri. Del resto proprio il prefetto di uno di quei dicasteri ha reso pubblica la falsità che Paolo VI “abrogò” la liturgia tradizionale [qui] – una falsità che nemmeno Annibale Bugnini, il ‘santo patrono’ de facto della liturgia progressista, sarebbe arrivato ad affermare.
I media massimalisti, iper-papalisti, del pontificato di Francesco, non si sono spesi in articoli e saggi celebrativi di Quo magis e Cum sanctissima. Gli stessi portavoce dell’oracolo pontificio che si divertono a celebrare le glorie del regno bergogliano come la vergogna della Pachamama erano meno incantati dall’approvazione da parte di Francesco di due decreti del tutto coerenti con la traiettoria delle decisioni liturgiche degli ultimi due pontificati.
Piuttosto, c’era la summenzionata bizza (e tale era) dell’establishment liturgico progressista, un gruppo diverso unito su alcuni principi fondamentali, primo fra tutti la curiosa dottrina secondo cui Benedetto XVI non era liturgista e quindi non ci si poteva fidare che parlasse di liturgia, mentre Francesco non è un liturgista e tuttavia ci si può fidare che sia la stessa vox Dei quando si tratta di qualsiasi pronunciamento sulla liturgia.
Tranne, cioè, quando Francesco ha approvato questi due decreti che a Grillo e compagni non sono piaciuti.
Improvvisamente dei decreti papali potevano essere non solo ignorati, ma anche contestati con vigore. Le proteste in questo caso hanno dato i frutti amari dell’estate 2021. Nell’elenco dei papi del dopo Vaticano II, a quanto pare, c’è una gerarchia: Paolo VI e Francesco sono interamente attendibili sulla liturgia, Giovanni Paolo II e soprattutto Benedetto XVI meno. Francesco è il nuovo Paolo.
Tranne, ancora, quando si tratta dei due perduti, abbandonati, negletti e ignorati decreti Quo magis e Cum sanctissima, che ricordano la Veterum sapientia di Giovanni XXIIII (5) quando si tratta di dimenticare un documento ecclesiastico quasi prima che l’inchiostro si sia asciugato.
Lo stesso cardinale Brandumüller, nel suo commento alla Traditionis custodes [qui], ricorda che “se una legge non viene o non viene più osservata dall’inizio o nel corso del tempo, perde la sua forza vincolante e diventa obsoleta. Questo – va sottolineato con forza – vale naturalmente solo per le leggi puramente ecclesiastiche, ma in nessun caso per quelle basate sulla legge divina o naturale. Come esempio di una lex mere ecclesiastica, si consideri la costituzione apostolica Veterum sapientia di Papa Giovanni XXIII del 22 febbraio 1962, con la quale il Papa prescriveva il latino per l’insegnamento universitario, tra le altre cose”.
Chi avrebbe mai pensato che lo sforzo di rendere “aggiornato” il 1962 nell’accogliere nuovi santi e beati sarebbe stato contrastato in modo così stridente non dai devoti del “Messale fossile del 1962”, ma da progressisti che, si potrebbe pensare, dovrebbero plaudire al desiderio di Francesco di aggiornare, ed era questo il caso, i libri liturgici del 1962.
Il risultato è che la Traditionis custodes non è stata tanto il cattivo frutto di sondaggi e questionari sottoposti ai vescovi interpretati in modo discutibile e selettivo [vedi] né tanto meno del comportamento petulante dei tradizionalisti evocato dalla Tc, quanto dell’approvazione dello stesso Francesco dell’arricchimento del corpus dei Prefazi e dell’aggiornamento del santorale del Messale tradizionale. I decreti del febbraio 2020 hanno innescato la soluzione esplosiva del luglio 2021.
In una recente difesa della Traditionis custodes come presunto “dono” alla chiesa, Blaise Cupich ha evidenziato il fatto che il Messale del 1962 non celebra i santi canonizzati più di recente. Sembrerebbe che le copie di Cum Sanctissima non siano state inviate a Chicago.
Chissà se qualche futuro editore di messali per la liturgia tradizionale includerà i Prefazi di Quo magis o le rubriche di Cum sanctissima. Forse gli editori stanno aspettando il supplemento annunciato che potrebbe richiedere più tempo per essere formulato rispetto al supplemento al Breviario paolino che ha già impiegato più di mezzo secolo per essere pubblicato. Che importa quando Quo – Cum sono i decreti di Francesco dimenticati, consegnati al limbo liturgico.
La coerenza non è mai stata un segno distintivo di questo pontificato, quindi non c’è da stupirsi che Francesco abbia ribaltato non solo il suo predecessore, ma anche se stesso.
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- La Santa Sede non richiede ma consente (ad es.) che S. Massimiliano Kolbe, S. Padre Pio, S. Teresa Benedetta della Croce o S. Elisabetta della Trinità possano essere essere celebrati o commemorati nelle feste loro stabilite.
- Il decretoCum sanctissima rileva sottilmente che, da un lato, è da lasciare alla discrezione dei superiori (non al celebrante) quali disposizioni saranno utilizzate; e d’altra parte, il rito romano tradizionale ha visto in passato messe sacrali e devozionali facoltative: “per tutto il periodo post-tridentino, e fino alla riforma della rubrica operata da papa san Pio X, il calendario prevedeva non meno che venticinque di queste cosiddette feste ad libitum”.
- La riforma sotto Pio XII circa la nuova Settimana Santa, resa obbligatoria per tutta la Chiesa Cattolica latina con il Decreto Maxima Redemptonis, il 19 novembre del 1955. Considerando che l’artefice, Bugnini, protagonista anche della Riforma di Paolo VI, concepiva la liturgia come un vecchiume che andava rivisto con criteri razionali senza il minimo scrupolo di poter intaccare un patrimonio apostolico.
- La Traditionis custodes ha tra l’altro sancito, all’Art. 6, che gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, a suo tempo eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Deipassano sotto la competenza della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.
- Come la Latina lingua di Benedetto XVI [qui] e la Pontificia Academia istituita, la costituzione apostolica Veterum sapientia di Papa Giovanni XXIII fu a malapena stampata e presto dimenticata, nonostante affermasse : “la Santa Sede ha gelosamente vegliato sulla conservazione e il progresso della lingua latina e la ritenne degna di usarla essa stessa, «come magnifica veste della dottrina celeste e delle santissime leggi», nell’esercizio del suo magistero, e volle che l’usassero anche i suoi ministri. Infatti questi uomini della Chiesa, ovunque si trovino, usando la lingua di Roma, possono più rapidamente venire a sapere quanto riguarda la Santa Sede ed avere con questa e fra loro più agevole comunicazione”.
Fonte: roma-perenne.blogspot.com