di padre Laurent-Marie Pocquet du Haut-Jussé, SJM
La crisi morale, che la Chiesa di Francia sta conoscendo a seguito della «scoperta» del comportamento criminale di alcuni suoi ministri, non è in sé una sorpresa, se si esamina il generale lassismo etico, la crisi della teologia morale, la colpevole ingenuità di molti rispetto alla realtà del peccato. Certo, son sempre state possibili deviazioni rispetto a tale realtà di grazia, che costituisce la paternità spirituale del prete, deviazioni dovute ad una scarsa intelligenza della pedagogia divina, ad un’incultura dottrinale, ad una mancanza di profondità spirituale o ad una volontà perversa e peccaminosa. Ma noi ci troviamo anche in un periodo in cui gli scandali legati ad abusi sessuali, abusi di potere o abusi spirituali vengono denunciati e descritti. C’è una letteratura sovrabbondante. Ricordo la sintesi descrittiva e illuminante della giornalista Céline Hoyeau, La trahison des pères. Emprise et abus des fondateurs de communautés nouvelles [Il tradimento dei padri. Influenza e abusi dei fondatori di nuove comunità] (Parigi, Bayard, 2021). È anche l’occasione per rileggere la storia religiosa contemporanea, la crisi della Chiesa, la generazione Giovanni Paolo II con la comparsa non solo di comunità dette nuove, ma anche di una corrente minoritaria, certo, ma che si sta rafforzando e che costituisce una realtà fervente e creativa nei suoi modi d’agire e di testimoniare, vale a dire i fedeli legati alla liturgia tradizionale.
Sulla crisi in sé, vi sono molte eccellenti descrizioni, confessionali o no, penso particolarmente al lavoro di Guillaume Cuchet (Comment notre monde a cessé d’être chrétien. Anatomie d’un effondrement [Come il nostro mondo ha smesso d’essere cristiano. Anatomia di un crollo], Parigi, 2018) o di Jérôme Fourquet (L’archipel français [L’arcipelago francese], Parigi, 2019), che dedica il primo capitolo al collasso del cattolicesimo. Noto come tale crollo fosse stato annunciato da Charles Péguy, morto nel 1914, e da Georges Bernanos, morto nel 1948. La nuova condizione della fede cattolica nel mondo moderno è stata descritta ed analizzata anche da san John-Henry Newman (1801-1870) e da Gilbert-Keith Chesterton (1874-1936). Anzi questi scrittori ne hanno dato la ragione propriamente teologica ovvero una crescente ignoranza dell’evento cristiano. Quanto alle conseguenze, non c’è bisogno che io torni in argomento, poiché il nostro ministero di preti si svolge in questo contesto molto particolare e piuttosto nuovo («le nostre miserie non sono più cristiane!», per riprendere l’espressione di Charles Péguy).
Comunità nuove come risposta alla crisi…
In questo contesto ci è stata però annunciata la primavera della Chiesa, come una nuova Pentecoste. Riconosciamo che le comunità nuove (molte di origine carismatica, ma non tutte) hanno permesso a numerosi cattolici, sacerdoti e fedeli, di trovare una risposta esistenziale alla radicalità anticristiana della modernità e poi della postmodernità: il rifiuto dell’eredità, l’omicidio del padre, l’illusione che ciascuno debba costruire la propria identità e non più riceverla (favorendo l’emergere di nuove generazioni sinistre di depressi festosi), la necessità di elaborare da soli un progetto di vita senza materiali né modelli (l’eroe ed il santo secondo Bergson), ma in totale dipendenza dai fenomeni alla moda, con l’ingiunzione, presso alcuni cattolici progressisti, di adeguare il cristianesimo in vista di un suo miglioramento (tanto vale voler migliorare il nord magnetico, diceva ancora Péguy)… In questo contesto, le comunità nuove hanno costituito un’ancora di salvezza sotto un duplice aspetto: la protesta profetica e spirituale (a fronte di un profetismo contestatario e politico della sinistra cristiana), quindi identitaria, ed un esempio di paternità offerto ad una generazione senza padre (e senza riferimenti!). C’è anche stata la riproduzione di un modello ben noto nella Chiesa: la comparsa di nuove famiglie religiose attorno al fondatore, che porta con sé un carisma per la Chiesa, una grazia gratis data, un nuovo modo di vivere il Vangelo, modo che attira, riunisce e costituisce una nuova famiglia religiosa, che raggruppa numerosi battezzati con diversi livelli di coinvolgimento. Queste nuove comunità hanno adottato per alcuni una forma organizzativa originale con una vita fraterna condotta secondo diversi stati di vita (uomini e donne, famiglie e celibatari…). Fondate per lo più da laici, esse si richiamavano al Concilio (ciò che è dubbio, in quanto il Concilio ha canonizzato piuttosto il modello dell’Azione cattolica, non quello dei laici, che vivono come monaci…). Aggiungiamo un dichiarato attaccamento alla persona del Santo Padre, un’esplicita dimensione mariana, una vita comunitaria ed apostolica centrata sulla liturgia (di preferenza orientale…) ed una forte contestazione della secolarizzazione.
… ma crisi delle nuove comunità
Come spiegare la crisi che tutti conosciamo oggi? Queste deviazioni, ch’esse hanno generato e favorito, sono oggi ben note: riferimento unico al «Padre» (il fondatore, che spesso resta per troppo tempo il superiore), costante sensazione, di fronte alla crisi, di rappresentare la Chiesa nella sua espressione più pura mentre non si è che una comunità ecclesiale, la certezza di costituire la piccola falange dei santi degli ultimi tempi e di offrire una sintesi del meglio della tradizione spirituale della cristianità, confusione tra il foro interno ed il foro esterno…
Da parte dei fondatori e nella dottrina insegnata e trasmessa, si trova generalmente ciò che io chiamo un «neo-quietismo»: le esperienze spirituali forti, la sicurezza d’essere strumento di Dio per stabilire nella Chiesa una nuova via soprannaturale, il fascino verso l’onnipotenza che si esercita sui membri, attraverso l’osservanza dei consigli evangelici (però oggetto di semplici promesse o di voti privati…), la cui applicazione si regola da sé, l’adulazione di cui si è oggetto… possono a poco a poco scusare e addirittura legittimare un comportamento contrario al sesto ed al nono comandamento. Il fenomeno dell’ascendente sembra allora autorizzare delle azioni delittuose o addirittura criminali.
Occorre anche accennare alla responsabilità propria dei membri di queste comunità: una confidenza deviata, un soggettivismo dominante ed un’affettività invadente, l’oblio della dimensione oggettiva e normata delle regole per lo sviluppo di una vita spirituale autentica, infine l’ignoranza della tradizione della Chiesa, della sua dottrina come della sua spiritualità, a vantaggio di una gnosi ad un tempo elitaria e immorale… Difficoltà nel prendere le distanze da chi sembri essere stato per voi lo strumento di Dio per la conversione, per un’esperienza spirituale forte, un risveglio o un incontro determinante… Rifiuto di vedere nel proprio maestro difetti o limiti. Ora, è questo un punto di passaggio obbligato tanto nei confronti di un individuo quanto nei confronti di una comunità: la disillusione, momento essenziale per non scegliere che Dio solo, per non vivere che per Dio solo. Questo si inserisce nel quadro più generale delle purificazioni attive e passive di ogni vocazione verso un’autentica vita spirituale e teologica. Citiamo la testimonianza di un religioso, membro di una fondazione recente, a proposito del proprio fondatore: «Era veramente molto bello, ma stavo guardando un film, in cui io non ero presente come persona che si interroga. In cosa tutto ciò m’invitava alla conversione? In quanto giovani religiosi, noi non avevamo le istruzioni per sapere come procedere dopo, con la complessità delle nostre vite personali […] Questi fondatori hanno risvegliato qualcosa di profondo dal punto di vista della fede, ma non sono stati capaci di accompagnare i loro discepoli e di dar loro i mezzi per vivere da soli, per vivere l’esperienza spirituale della notte, che attraversa ogni religioso ad un certo punto della sua vita, in quanto essi stessi non erano forgiati per questo» (Hoyeau, pag. 174-175).
C’è infine la responsabilità dei pastori della Chiesa, garanti della dirittura morale e della fedeltà del popolo diocesano alla Tradizione. Si deve constatare un’assenza di lungimiranza prima nel rifiuto e poi nella strumentalizzazione di queste comunità, sempre a causa di questa mancanza di radicamento nella Tradizione e di una chiara comprensione dell’identità cattolica, benché si possa capire la loro necessità di accogliere queste nuove vocazioni, che hanno procurato alcune forze vive ai doveri del ministero, compensando in piccola parte l’erosione del clero diocesano e delle comunità religiose più antiche e che costituivano anche l’ultimo baluardo, l’ultima possibilità per non dover riconoscere l’esistenza, la fecondità, la perennità di un’altra corrente dottrinale e spirituale nella Chiesa, vale a dire il movimento Ecclesia Dei o Summorum Pontificum.
Il rinnovamento attraverso la tradizione
È qui che la liturgia tradizionale può rappresentare, con tutto ciò che la costituisce, un’opportunità di rinnovamento per queste comunità come per tutta la Chiesa. La vita della Chiesa riposa su di un trittico: la liturgia, il catechismo, la missione. Benché la realizzazione di questo programma pastorale e spirituale sembri al momento leggermente ostacolata, conserviamo la nostra libertà di protesta profetica, poiché la legittimità di ciò che noi siamo e di ciò che noi rappresentiamo è incontestabile come lo è il fatto che esista nella Chiesa un diritto alla critica costruttiva, purché non venga contestata alcuna verità rivelata ed insegnata infallibilmente dal Magistero… In questo contesto, non c’è una spiritualità «tradita», ma solo un diritto ed una necessità vitale di difendere un patrimonio spirituale che appartiene a tutta la Chiesa. Per di più, se v’è una pluralità di spiritualità nella Chiesa, la liturgia è la spiritualità della Chiesa. Da qui l’importanza di una liturgia di riferimento, una missa normativa che costituisca ciò che chiamavamo poco fa la forma extraordinaria del rito romano, che rappresenta la garanzia dell’ortodossia. Il carattere «oggettivo» della liturgia tridentina (cfr. Claude Barthe, Histoire du missel tridentin et de ses origines [Storia del messale tridentino e delle sue origini], Versailles, 2016) ed il fatto ch’essa sia il frutto di uno sviluppo omogeneo attraverso la storia, preservando in tutto il continuum vitale con i Padri della Chiesa ed i tempi apostolici, tutelano i pastori ed i fedeli da tutte le derive, di cui abbiamo appena parlato. Questo attaccamento dottrinale e missionario si colloca pienamente nella nuova evangelizzazione, a meno che non si voglia eliminare un gruppo di fedeli non in ragione di ciò che crede o di ciò che fa, bensì in ragione di ciò che è. Il clericalismo non è nient’altro che la deviazione dall’autentica paternità spirituale, che i sacerdoti devono esercitare nella Chiesa a beneficio dei fedeli: il ruolo del padre è quello d’introdurre suo figlio nella realtà, nell’ordine oggettivo delle cose, consentendogli di fare suo l’ordo sapientiae et amoris della Rivelazione cristiana in modo soggettivo e di appropriarsene per costruire. Per il figlio, il padre non è un essere onnipotente, bensì il servo di ciò che è più grande di lui, realtà che il figlio è chiamato a sua volta ad amare ed a servire per essere libero. Ora, la liturgia tradizionale predispone e conduce a questa attitudine spirituale di povertà e di servizio per la sua ieraticità, la sua oggettività, la sua perennità. Il sacerdote che celebra scompare letteralmente in virtù dell’orientamento dell’azione liturgica e del silenzio.
Ecco perché la liturgia tradizionale può essere per queste comunità un pegno di rinnovamento, di riparazione, di riforma. Imboccando questo cammino, con tutto l’affetto filiale di cui esse sono capaci, dimostreranno agli occhi dei nostri pastori la loro libertà nello Spirito, adottando i più sicuri mezzi di conversione e di generosità missionaria. Papa Francesco ha detto ai suoi confratelli gesuiti slovacchi il 12 settembre scorso che non si deve aver paura della libertà nella Chiesa. Sta a noi ed a queste comunità mostrargli la necessità di rompere con tutte queste misure restrittive e paralizzanti!
Fonte: resnovae.fr