di Fabio Trevisan
Con questo volume, La resistenza dei cristiani (Edizioni Giubilei Regnani, pagine 230, 22 euro), Rod Dreher ha voluto rimarcare il proposito, come recita lo stesso sottotitolo Manuale per fedeli dissidenti, di presentare un efficace metodo di resistenza al neo-totalitarismo che stiamo vivendo, sulle indicazioni di Padre Tomislav Kolakovic (1906-1990), a cui il saggio è dedicato. Il titolo originale in inglese (Live not by lies: Vivere senza menzogna) dello scrittore americano, noto soprattutto per il precedente bestseller L’opzione Benedetto, allude esplicitamente sin dalla premessa alla testimonianza del grande dissidente anticomunista e cristiano ortodosso Alexandr Solženicyn, che invitava a inquadrare la resistenza contro ogni specie di totalitarismo (sia che fosse quello comunista o quello di tipo più moderato) attraverso la crescita della vita spirituale, nella consapevolezza che il rigido totalitarismo del passato comunista avesse gli stessi obiettivi del “moderato totalitarismo” in cui stiamo vivendo: lo sradicamento della cristianità.
Cosa significa, oggi, vivere senza menzogne? Se le fondamenta del totalitarismo sono costituite da un sistema ideologico falso, il nostro modo di vivere, sempre suggerito dalle parole di Solzenicyn, dovrà essere improntato al non sostenere le menzogne. Dreher, sulla scorta di innumerevoli testimonianze raccolte soprattutto da ex dissidenti provenienti dalle aree occupate dal comunismo sovietico, è consapevole che quanto drammaticamente vissuto da quei dissidenti possa, seppur in altre forme, essere riscontrato anche nei Paesi “democratici occidentali”.
Se infatti le persone vengono emarginate solo per aver espresso un’opinione non in linea con il politicamente corretto in merito a questioni riguardanti la transizione ecologica, i vaccini, l’omofobia, il femminicidio, il gender (solo per citare alcuni esempi), ciò costituisce l’anticamera di quel “totalitarismo moderato” che si sta sempre più sviluppando nella realtà attuale. La natura di questo totalitarismo ha a che fare con il credo progressista che le élite finanziarie e politiche e le loro istituzioni stanno instillando nel corpo sociale attraverso il potere (mediatico, pubblicitario, ecc.) e che mediante due fattori specifici: l’ideologia della “giustizia sociale” e le tecnologie di sorveglianza hanno lo scopo di modificare il pensiero, il credo, la realtà e la vita delle persone.
Come Padre Kolakovic mise in guardia i cattolici slovacchi per prepararli ad affrontare l’imminente persecuzione, così Dreher propone nel saggio una simile impostazione fondata sulla libertà intesa come responsabilità, ossia nel rimanere fedeli a vivere seguendo la verità, attraverso quello che Padre Kolakovic chiamava l’appello al “vedere, giudicare, agire”. Vedere significava essere consapevoli della realtà che ci circonda; giudicare significava distinguere nella realtà osservata ciò che si sapeva essere vero; agire significava saper resistere al male.
Il totalitarismo terapeutico
L’essenza di questo totalitarismo è di tipo terapeutico, nel senso che nasconde il suo odio per chi si oppone alla sua ideologia utopica dietro una maschera di aiuto e di guarigione. Riprendendo l’insegnamento di Hannah Arendt, Dreher sostiene che una società totalitaristica è quella in cui un’ideologia cerca di sostituire tutte le tradizioni e istituzioni precedenti con lo scopo di portare tutti gli ambiti della società sotto il controllo di quella stessa ideologia per la distruzione dell’essenza della persona umana.
La pervasività di questa concezione totalitaria, unita ai mezzi tecnologici a disposizione, permette di controllare e guidare le nostre azioni, i nostri pensieri e persino le nostre emozioni. Coloro che non accettano questa deriva totalitaria, che si manifesta attraverso una vernice superficiale che la si può definire soft nella forma, vengono sempre più (ed è esattamente ciò che sta accadendo) allontanati dal dibattito pubblico, stigmatizzati, cancellati e demonizzati con i termini che la neo-lingua dispone: ossia come sessisti, omofobi, razzisti e così via. Il saggio di Dreher è illuminante anche nei riferimenti letterari, come ad esempio nella citazione de La mente prigioniera del 1951 di Czeslaw Milosz, critico letterario e poeta polacco, in cui egli scriveva che l’ideologia comunista riempiva il vuoto lasciato da coloro che avevano smesso di credere nella religione.
Nella custodia del cuore e della vita spirituale stava la resistenza al sistema terapeutico totalitario di chi cercava di avvincerci attraverso i vantaggi edonistici che venivano offerti: “Difficile prendersela con il Grande Fratello quando ci siamo già abituati ai Big Data che monitorano attentamente le nostre vite private attraverso app, carte di credito e tecnologie smart, beni che rendono la vita tanto più facile e gradevole”.
Menzionando il sociologo e critico culturale Philip Rieff e il suo emblematico testo del 1966 Il trionfo del terapeuta, Dreher sostiene, in concordanza con l’oblio di Dio della società postmoderna, che l’uomo religioso ha lasciato il posto all’uomo psicologico, laddove l’uomo non si considera più un pellegrino in esilio su questa terra ma un semplice e banale turista che attraversa la vita seguendo il suo itinerario fondato sul principio dell’autodeterminazione.
Senza una fede condivisa e una sottomissione a un ordine sacro si ottiene una “anti-cultura”, ossia una cultura senza culto sradicata dalle proprie origini e che fa leva sulla promessa falsa del serpente: “Sarete come Dio”. In una società di peccatori che hanno perso il senso del peccato, diventa peccato l’intralciare la libertà del prossimo che cerca la felicità nel modo (soggettivo) in cui egli ritiene più opportuno: “Il fenomeno del transgender, che si basa su un’imposizione della realtà psicologica su quella biologica, è la culminazione logica di un processo avviato secoli fa”.
Ketman e la pillola di Murti-Bing
Nel saggio di Dreher compaiono ripetuti riferimenti a quella letteratura utopistica (o distopica), in particolare a 1984 di George Orwell e a Il mondo nuovo di Aldous Huxley, che hanno fatto intendere il significato di una neolingua e di un bispensiero, ovvero il mantenere nella propria mente due convinzioni contradditorie, accettandole entrambi. In un romanzo del 1932 citato da Dreher, dal titolo: Insatiability dello scrittore polacco Stanislaw Witkiewicz, egli descrive distopicamente un quadro dove le persone vivono in condizioni decadenti dal punto di vista culturale e spirituale, al punto che la pillola di Murti-Bing proposta dagli invasori e oppressori invita a non preoccuparsi più dei problemi della vita e a stare sereni nell’insipienza.
Terminato l’effetto falsamente terapeutico della pillola indorata, segue un’alterazione dello stato di coscienza, in cui le persone divengono attori con una maschera, mettendo in pratica il ketman, parola persiana che indica chi mantiene esternamente le apparenze richieste dall’ortodossia totalitaria. Questa forma di autodifesa mentale, adottata ad esempio dai dissidenti dei regimi comunisti, è stigmatizzata da Dreher, in quanto produrrà alla fine ipocrisia in modo che colui che indosserà continuamente la maschera nascondendo i suoi pensieri e i suoi sentimenti diverrà il personaggio che interpreta. Menzionando Milosz, Dreher elenca otto tipi diversi di ketman, al cui culmine sta il “ketman metafisico”, ossia la forma più profonda di questa strategia mentale di negazione della verità.
La cultura pre-totalitaria
Rod Dreher analizza nel saggio i caratteri storici, etici e spirituali, sempre attraverso arricchenti testimonianze, di quella che fu la cultura pre-totalitaria prima dell’avvento del comunismo e, rifacendosi alle approfondite analisi di Hanna Arendt, ha individuato una serie di condizioni che ammoniscono riguardo l’incipiente regime: la solitudine e atomizzazione sociale, la perdita di fiducia nelle gerarchie e nelle istituzioni, il desiderio di trasgredire e distruggere, la propaganda e la tendenza a credere in menzogne convenienti.
Come espresso circa una ventina d’anni fa dall’autorevole politologo di Harvard Robert Putnam nel suo Bowling alone, l’ascesa dei social-media ha sortito il risultato di sentirci ancora più soli e isolati, documentando progressivamente lo scioglimento dei legami sociali, civici, familiari che hanno reso le persone sempre più ansiose, isolate e vulnerabili.
Riguardo i condizionamenti diretti e occulti, si è sempre più coinvolti nell’accettare come vere qualsiasi cosa accadano, senza più esercitare il filtro della nostra ragione e dei nostri sensi. In merito alla “fedeltà” alla omologazione culturale e sociale si è diffusa, come ai tempi storici del “culto della personalità” di staliniana memoria, una devozione acritica che ha prodotto quella che oggi viene chiamata “cancel culture” in ossequio alla triade politicamente corretta di “equità, diversità e inclusione”.
Questa cultura della cancellazione della memoria, che è arrivata ad esempio a imbrattare o addirittura svellere i monumenti a personaggi storici ritenuti “razzisti, sessisti, ecc.” ha prodotto gli ideologi della giustizia sociale, i Social Justice Warriors (SJW) che presumono di avere la scienza dalla loro parte e che credono che l’umanità sarà libera quando l’uomo suprematista bianco, il patriarcato, il matrimonio eterosessuale, saranno ridotti a irrilevanza culturale o addirittura imprigionati in catene. In un quadro in cui le generazioni più giovani stanno sempre più abbandonando le religioni tradizionali e dove la formazione di una famiglia tra un uomo e una donna è sempre più allontanata dalla propria proiezione sociale, alimentata anche da una pornografia dilagante anche attraverso internet, la situazione diviene esplosiva ed evidenzia quei tratti che favoriscono l’affermazione di un nuovo totalitarismo.
Il progressismo e le eresie
Dreher documenta nel libro come l’epoca moderna sia fondata sul mito del progresso (storico, scientifico, tecnologico, religioso) e, in accordo con il filosofo inglese recentemente scomparso Roger Scruton, di cui era amico, condivide che la battaglia che stiamo affrontando sia, prima ancora che politica, di tipo spirituale. “Omofobia” e “islamofobia” sono così stati assunti come psico-reati alla stregua di altre eresie quali “transfobia”, “grassofobia”, “razzismo”.
Come i ferventi giovani rivoluzionari comunisti russi così i Social Justice Warriors hanno la missione di riordinare la società per creare, secondo loro, relazioni di potere più eque. In tal senso vi è un “ecumenismo della giustizia sociale” che adombra l’internazionale comunista, in cui chiunque si ritenga oppresso dalle classi ritenute privilegiate – suprematisti bianchi, eterosessuali, cristiani – possono opporsi facendo fronte unito.
Tale progressismo rivoluzionario si avvale, come in ogni totalitarismo, dell’uso di un nuovo linguaggio, che considera offensivo un altro linguaggio che non sia consono all’ideologia e all’eresia che perseguono. Dreher mostra, anche attraverso l’esperienza di Peter Maurin, co-fondatore del movimento Lavoratori cattolici come la “giustizia sociale cristiana” sia diversa dalla visione marxista priva di Dio e da quella progressista dei Social Justice Warriors.
Conclusioni
Il saggio di Dreher analizza altre importanti questioni, come l’essenza di un capitalismo vigile e consapevole che trova nel cosiddetto “capitalismo della sorveglianza” una forma pervasiva di controllo sociale che condiziona e cerca di orientare la vita di ogni persona e indica alcuni atteggiamenti per poter affrontare il neo-totalitarismo, consistenti nel rifiutare il bispensiero attribuendo alla dedizione della ricerca della verità il massimo valore, coltivando la memoria storico-culturale, creando piccole roccaforti della memoria e “polis parallele” nelle quali trasmettere testimonianze veraci alle generazioni future.
Indicando la famiglia eterosessuale come primaria cellula di resistenza, il saggio di Dreher offre molteplici modelli educativi improntati all’importanza anche sociale della famiglia, suggerendo inoltre come la vera religione possa costituire il caposaldo della resistenza dei cristiani. Un libro, quello di Dreher, assolutamente da leggere e meditare, per poter testimoniare quanto gli insegnamenti di Solzenicyn, di Padre Kolakovic e altri che hanno sofferto per l’affermazione della verità tutta intera, possano essere preziosi riferimenti anche ai nostri tempi.
Fonte: ricognizioni.it