Cari amici di Duc in altum, vi propongo la versione italiana della bella, esaustiva e illuminante intervista di Diane Montagna al vescovo Athanasius Schneider su Traditiones custodes e i Responsa ad dubia. Come sempre, monsignor Schneider è cristallino e non si nasconde dietro le parole.
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di Diane Montagna
Nella sua prima intervista cartacea dall’uscita dei Responsa ad dubia (Risposte ai dubbi) della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti circa alcune disposizioni della Traditionis custodes di papa Francesco, il vescovo Athanasius Schneider dichiara che il nuovo documento “riapre inutilmente” vecchie ferite nella Chiesa, “confina con lo scherno” e tradisce una “inflessibilità ostile” nei confronti dei cattolici fedeli alla liturgia tradizionale del rito romano.
“Sorprendentemente – afferma il vescovo – ci troviamo di fronte a un metodo intransigente, simile a quello inquisitorio, impiegato in un pontificato che si è autodefinito come caratterizzato dalla ‘tenerezza’ e dalla sensibilità pastorale.”
“Con freddezza burocratica – prosegue monsignor Schneider – queste nuove linee guida impongono alla vita di così tanti giovani cattolici – sia sacerdoti sia fedeli laici, uomini e donne – norme così spietate e discriminatorie che non sarebbe sorprendente se essi si sentissero come lentamente torturati spiritualmente.”
In questa intervista esclusiva, il vescovo Schneider, ausiliare di Astana, nel Kazakistan, illustra le sue impressioni generali sul documento e affronta la questione della sua legittimità e del diritto dei vescovi di “resistere con riverenza e prudenza” alle nuove misure.
Il vescovo Schneider esorta i cardinali a esprimere le loro preoccupazioni al papa, “avvertendolo” del “grande danno” e della “evidente ingiustizia” che viene commessa contro un “considerevole gruppo di buoni cattolici”. Inoltre incoraggia i vescovi a estendere nei confronti dei fedeli la “carità creatrice”, applicando quel principio di epicheia in base al quale “in vista di un bene maggiore una legge non va osservata, in tutto o in parte”. E offre consigli ai seminaristi ed ai sacerdoti i quali temono che ora verrà loro proibito di celebrare la Messa tradizionale e altri sacramenti.
Monsignor Schneider raccomanda anche che i fedeli laici, alcuni dei quali, dice, “saranno ora costretti a una vita di Messe catacombali”, imitino la vedova importuna, di cui parla Nostro Signore nel Vangelo, “disturbando” i pastori come fa la vedova con la sua insistenza verso il giudice ingiusto (cfr. 18:1-8).
Monsignor Schneider ritiene infine che, per motivi di trasparenza, è tempo che sia pubblicato il rapporto dettagliato sull’applicazione del Summorum Pontificum di Benedetto XVI, preparato per il papa dalla Congregazione per la dottrina della fede sulla base di un’indagine del dicastero fra i vescovi del mondo.
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Diane Montagna – Eccellenza, il 18 dicembre l’arcivescovo Arthur Roche, prefetto della Congregazione per il culto divino (Ccd), ha pubblicato nuove linee guida per limitare ulteriormente la Messa e i sacramenti tradizionali, sotto forma di risposte a undici dubia (dubbi) con i quali il Vaticano ha riassunto “le domande più ricorrenti” ricevute circa la lettera apostolica di papa Francesco Traditionis custodes (Tc). Quali sono state le sue impressioni generali sul documento?
+Athanasius Schneider – La mia prima impressione è stata che vecchie ferite nella vita della Chiesa siano state riaperte inutilmente con il pretesto di raggiungere una maggiore unità. Tali misure, così giustificate, rasentano lo scherno, poiché contraddicono palesemente la politica generale di papa Francesco di sanare le ferite nella vita della Chiesa dei nostri giorni, come ha detto, ad esempio, con le seguenti parole: «La cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite…» (Intervista a papa Francesco di padre Antonio Spadaro, L’Osservatore Romano, 21 settembre 2013).
Le nuove linee guida tradiscono una “irrigidimento ostile”, per usare una frase che papa Francesco ha talvolta utilizzato per mettere in guardia i vescovi (vedi ad esempio Discorso del Santo Padre Francesco per la Conclusion della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, 18 ottobre 2014). Si tratta di un testo di una rigidità inaudita e di una rigida uniformità che ricorda certe sentenze dell’Inquisizione o risposte ai dubia d’altri tempi, caratterizzate da un gonfio legalismo liturgico. Con freddezza tipicamente burocratica, queste nuove linee guida impongono norme così spietate e discriminatorie sulla vita di così tanti giovani cattolici — sia sacerdoti sia fedeli laici, uomini e donne — che non sarebbe sorprendente se essi si sentissero come lentamente torturati spiritualmente.
Per qualsiasi osservatore obiettivo, il messaggio chiaro che queste nuove linee guida inviano ai cattolici fedeli alla liturgia tradizionale è: “Con la vostra esperienza religiosa non siete i benvenuti nella Chiesa! La vostra esperienza della liturgia tradizionale è falsa e non autentica, state vivendo nell’autoinganno! Oggi non c’è pluralità liturgica nella Chiesa, perché c’è una sola e unica espressione della lex orandi, ed è la liturgia riformata. C’è una sola legge, e secondo questa legge dovete morire, cioè dovete abbandonare la liturgia dei vostri padri e dei Santi!».
Gli autori di questi nuovi orientamenti hanno chiaramente dimenticato il seguente principio enunciato dal Concilio Vaticano II: «La Chiesa, quando non è in questione la fede o il bene comune generale, non intende imporre, neppure nella liturgia, una rigida uniformità» (Sacrosanctum Concilium, 37). Le nuove linee guida annullano quanto affermato da papa Francesco: «Il discernimento è … un processo creativo, che non si limita ad applicare schemi. E’ un antidoto contro la rigidità, perché le medesime soluzioni non sono valide ovunque.» (Discorso ai vescovi ordinati nel corso dell’ultimo anno, 14 settembre 2017).
DM – Molti vescovi cattolici hanno dato un’interpretazione liberale e rilassata della Traditionis custodes. Le nuove linee guida suggeriscono fortemente che la Santa Sede stia ora stringendo le viti per garantire che i vescovi si conformino alla “direzione” indicata dalla Congregazione per il culto divino. Qual è il suo messaggio ai suoi fratelli vescovi?
AS – Incoraggio i miei fratelli vescovi a essere veramente pastori e ad estendere la “carità creatrice” ai loro fedeli, che sono cresciuti nell’antico rito romano o che grazie a questa di liturgia della Chiesa hanno avuto un incontro decisivo e pieno di grazia con Dio. Papa Francesco, infatti, ha spesso chiesto ai vescovi di applicare la creatività pastorale a quelle persone che sono emarginate e le cui aspirazioni religiose sono mal giudicate. Molti fedeli, che sono fedeli alla forma liturgica romana più antica, soprattutto i più giovani, sono lontani dall’intraprendere polemiche ecclesiastiche e liturgiche riguardo al Vaticano II e al Novus Ordo. Pertanto, come veri pastori, i vescovi dovrebbero trovare soluzioni creative affinché questi fedeli non vengano ghettizzati e trattati come cattolici di seconda classe. Qui i vescovi potrebbero applicare il principio morale dell’epicheia, per cui una legge non viene osservata, in tutto o in parte, per un bene maggiore.
DM – Nella lettera di accompagnamento alla Traditionis custodes Papa Francesco dice ai vescovi del mondo di aver preso la “ferma decisione” di “di abrogare tutte le norme, le istruzioni, le concessioni e le consuetudini precedenti” il suo motu proprio, in risposta alle loro richieste. Eppure, come è stato dettagliato in una trilogia di rapporti di buona fonte – che contengono la raccolta di citazioni dei vescovi incluse nel dettagliato rapporto preparato per papa Francesco dalla Congregazione per la dottrina della fede (Cdf) – il messaggio inviato dai vescovi era “fondamentalmente di lasciare in pace il Summorum Pontificum, e di proseguire con una prudente e attenta applicazione”. È tempo che i vescovi chiedano alla Santa Sede di pubblicare il rapporto principale e dettagliato della Cdf? [si veda la trilogia qui, qui e qui]
AS – Papa Francesco ha più volte invocato l’assoluta trasparenza all’interno della vita della Chiesa, e specialmente all’interno della Curia romana, come attesta il seguente comunicato: «La meta da raggiungere è sempre quella di favorire maggiore armonia nel lavoro dei vari Dicasteri e Uffici, al fine di realizzare una più efficace collaborazione in quell’assoluta trasparenza che edifica l’autentica sinodalità e la collegialità.» (Saluto ai Cardinali riuniti per il Concistoro, 12 febbraio 2015). La pubblicazione del rapporto dettagliato preparato dalla Cdf sulla base della sua indagine fra i vescovi del mondo è quindi molto necessaria. Anche se ciò non avviene nell’immediato, sappiamo che «nulla è nascosto che non sia manifestato, né nulla di segreto che non sia conosciuto e non venga alla luce» (Lc 8,17).
DM – Il gesuita italiano e dottore della Chiesa san Roberto Bellarmino (1542–1621) ha detto: “Come è lecito resistere al papa, se ha assalito la persona di un uomo, così è lecito resistergli se ha aggredito anime, o turbato lo stato, e molto di più se si è sforzato di distruggere la Chiesa. È lecito, dico, resistergli, non facendo ciò che comanda e ostacolando l’esecuzione della sua volontà”. Come successori degli Apostoli, i vescovi hanno il dovere di resistere a queste misure?
AS – I vescovi hanno il diritto di resistere con riverenza e prudenza a questi provvedimenti, poiché evidentemente nuocciono al bene della Chiesa intera, abolendo quasi del tutto un’esperienza liturgica millenaria che si è rivelata fruttuosa. Cancellare semplicemente il grande tesoro dei riti liturgici contenuto nel Pontificale Romanum, compresi i riti teologicamente e liturgicamente ricchi degli Ordini Maggiore e Minore, il rito della Confermazione e le varie consacrazioni (quali altari, chiese e vergini), conservati dalla Chiesa romana non da più di cinquant’anni, come nel caso dei riti liturgici riformati, ma nell’arco di un millennio, è dannoso per l’intera Chiesa. Coloro che attualmente detengono l’autorità a Roma – e hanno un mandato relativamente breve rispetto ai duemila anni di storia della Chiesa – non possono comportarsi come se fossero i proprietari esclusivi di un tesoro liturgico millenario della Chiesa. Inoltre, una notevole maggioranza di cattolici esemplari, che sono affezionati alla liturgia tradizionale e che non mancano affatto di fedeltà all’attuale papa e ai propri vescovi, vengono apertamente calunniati e discriminati.
DM – Quali questioni canoniche sollevano i Responsa ad dubia? Questo documento è legittimo?
AS – Dal punto di vista formale, il documento è legittimo, poiché è stato emanato da una legittima autorità della Santa Sede, cioè la Congregazione per il culto divino, con l’approvazione del Romano Pontefice. I Responsa ad dubia rappresentano un esempio lampante della nota massima “summum ius, summa iniuria”, cioè che una legge formalmente corretta può diventare una grande ingiustizia. Questo documento passerà alla storia come un tragico esempio di come la Santa Sede possa risolvere con la violenza un delicato problema pastorale.
Le nuove linee guida della Congregazione per il culto divino non hanno risolto nulla, ma hanno invece creato uno stallo pastorale e gravi problemi di coscienza per molti sacerdoti e fedeli. In modo singolare, assistiamo a un intransigente metodo inquisitorio impiegato all’interno di un pontificato che si è autodefinito come caratterizzato dalla “tenerezza” e dalla sensibilità pastorale, come attestano le seguenti parole di Papa Francesco: «Se noi non arriveremo a questa Chiesa della vicinanza con atteggiamenti di compassione e tenerezza, non saremo la Chiesa del Signore.… Non dimentichiamo lo stile di Dio che ci deve aiutare: vicinanza, compassione e tenerezza.» (Discorso di apertura del Sinodo, 9 ottobre 2021).
DM – Che cosa comporta il nuovo documento per gli Istituti ex Ecclesia Dei? Possono continuare a ordinare sacerdoti nel rito tradizionale?
AS – Il documento emanato dalla Congregazione per il culto divino non menziona esplicitamente gli Istituti ex-Ecclesia Dei. Tuttavia, è incerto se questi Istituti e comunità potranno continuare a utilizzare l’antico Pontificale Romanum per le Ordinazioni Minori e Maggiori, e per la celebrazione del sacramento della Cresima secondo lo stesso Pontificale, nelle loro parrocchie personali e in altri luoghi in cui svolgono il loro apostolato. La Santa Sede deve considerare il fatto che la stessa Santa Sede, nell’erezione di questi Istituti, diede loro la garanzia di poter utilizzare tutti i libri liturgici validi prima del Concilio Vaticano II. Il punto nevralgico a questo proposito è la questione dei Riti di Ordinazione. Se la Santa Sede negasse a questi Istituti e comunità i vecchi Riti di Ordinazione, sarebbe un terribile esempio di violazione della parola solenne e diminuirebbe la credibilità e l’integrità della Santa Sede anche nei rapporti ecumenici con le comunità non cattoliche. Le comunità non cattoliche stanno a guardare e vedono chiaramente che la Santa Sede sta rompendo la parola data con un gruppo di cattolici con i quali era giunta a una soluzione pacifica e riconciliante. Il trattamento violento e traditore verso i cattolici fedeli all’antica tradizione liturgica sicuramente non spingerà le comunità ecclesiali ortodosse a riconciliarsi con la Sede Apostolica.
DM – Perché il Vaticano consentirà al gruppo New Ways Ministry, che promuove l’agenda Lgbt, di partecipare al sinodo sulla sinodalità, e invece non ascolta i cattolici tradizionali né si consulta con loro su nessuna di queste nuove misure? Cosa devono pensare della sinodalità i fedeli, quando la gerarchia ascolta un gruppo contrario all’insegnamento della Chiesa ma non i cattolici che sostengono la Tradizione e l’insegnamento della Chiesa?
AS – L’arbitrario “prendere o lasciare” della Santa Sede rivela a qualsiasi osservatore oggettivo che la “sinodalità” — con il suo “ascoltare tutti” — è in realtà uno sforzo ideologico unilaterale. Non è una vera sinodalità, ma uno sforzo egocentrico di persone intolleranti e affini a un programma prefissato per rendere la Fede cattolica e la liturgia cattolica sempre più vaghe e nebulose. Chi costituisce un ostacolo a questa agenda, come i tanti cattolici, compresi molti giovani, che sono affezionati alla liturgia tradizionale, non sarà integrato nel processo decisionale.
DM – Padre Claude Barthe, storico, giurista ed esperto di liturgia tradizionale della diocesi di Fréjus-Toulon in Francia, ha dichiarato al National Catholic Register, dopo la pubblicazione del documento, che «in nome del sensus fidelium, dobbiamo opporci alla Traditionis custodes e alla sua chiarificazione mediante la non obbedienza, perché è una legge dottrinalmente ingiusta». Secondo lei, i laici come dovrebbero rispondere ai nuovi orientamenti?
AS – Per il bene spirituale di tutta la Chiesa e per l’onore della Sede Apostolica, che ha sempre custodito con vigilanza e trasmesso l’intero patrimonio liturgico, i laici continuino a chiedere alle autorità della Santa Sede, in primo luogo allo stesso papa, di concedere piena libertà alla liturgia tradizionale, compreso l’intero patrimonio liturgico della Chiesa romana, senza condizioni umilianti e discriminatorie. Tali richieste potrebbero essere fatte attraverso petizioni e specialmente attraverso una catena di preghiera mondiale. I fedeli devono imitare la vedova importuna, di cui parla Nostro Signore nel Vangelo, nella sua insistenza con il giudice ingiusto (cfr Lc 18,1-8).
Potrebbero seguire il consiglio dello stesso papa Francesco, che ha chiesto ai laici di “disturbare” i loro pastori, citando san Cesario di Arles (+542). Papa Francesco infatti ha detto: «Una volta ho letto una cosa bellissima di come il popolo di Dio aiuta i vescovi e i sacerdoti ad essere buoni pastori. È uno scritto di san Cesario di Arles, un padre dei primi secoli della Chiesa. Lui spiegava come il popolo di Dio deve aiutare il pastore, e faceva questo esempio: quando il vitellino ha fame va dalla mucca, dalla madre, a prendere il latte. La mucca, però, non lo dà subito: sembra che se lo trattenga per sé. E cosa fa il vitellino? Bussa col suo naso alla mammella della mucca, perché venga il latte. È bella l’immagine! “Così voi – dice questo santo – dovete essere con i pastori: bussare sempre alla loro porta, al loro cuore, perché vi diano il latte della dottrina, il latte della grazia e il latte della guida”. E vi chiedo, per favore, di importunare i pastori, di disturbare i pastori, tutti noi pastori, perché possiamo dare a voi il latte della grazia, della dottrina e della guida. Importunare! Pensate a quella bella immagine del vitellino, come importuna la mamma perché gli dia da mangiare» (Regina coeli, 11 maggio 2014).
DM – Ciò che sembra emergere dal documento è che questo è il trionfo del positivismo magisteriale, più che di una fede ricevuta. In altre parole, ora ci viene detto cosa credere sulla liturgia, contro ciò che abbiamo imparato dalla nostra Santa Madre Chiesa su ciò che è vero, buono, bello e santo.
AS – Penso che faremmo bene tutti, e in primo luogo coloro che hanno un’alta autorità nella Chiesa, a ricordare l’atteggiamento costante della Chiesa romana lungo i millenni, cioè la deferenza al peso decisivo della tradizione nella fede e nella liturgia della Chiesa. Il principio dei primi secoli, formulato da papa Stefano I (+ 257), resta un fulgido esempio: nihil innovetur nisi quod traditum est, cioè «non si rinnovi nulla se non ciò che è stato tramandato». Applicando questo principio a una riforma liturgica, deve essere conservata non solo la sostanza, ma anche altre parti rilevanti del rito liturgico. Il Novus Ordo Missae è un esempio di riforma in cui, in parti significative della Messa, sono state introdotte innovazioni che non erano state tramandate, come, ad esempio, le nuove Preghiere dell’Offertorio o l’esistenza di una molteplicità di Preghiere eucaristiche. L’autentica Messa del Concilio Vaticano II è l’Ordo Missae del 1965 con le sue modifiche attente e non rivoluzionarie.
In tempi di grande e generalizzata confusione dottrinale e liturgica, di esperimenti e innovazioni, un cattolico deve seguire l’antichità, secondo san Vincenzo di Lerins (+445): «Cosa farà dunque un cristiano cattolico, se una piccola parte della Chiesa si è tagliata fuori dalla comunione della fede universale? Che cosa, sicuramente, se non preferire la solidità di tutto il corpo all’instabilità di un membro pestilenziale e corrotto? Cosa, se qualche nuovo contagio cerca di infettare non solo una porzione insignificante della Chiesa, ma la Chiesa intera? Allora sarà sua cura aggrapparsi all’antichità, che oggi non può essere sedotta da nessuna frode di novità. Ma cosa succede se nella stessa antichità si trova l’errore da parte di due o tre uomini, o comunque di una città o anche di una provincia? Allora sarà sua cura con ogni mezzo preferire i decreti, se ci sono, di un antico concilio generale all’imprudenza e all’ignoranza di pochi. Ma cosa succede se dovesse sorgere qualche errore sul quale non si trova nessun decreto di questo tipo? Allora egli deve raccogliere, consultare e interrogare le opinioni degli antichi, di coloro cioè che, pur vivendo in tempi e luoghi diversi, pur continuando nella comunione e nella fede dell’unica Chiesa cattolica, si ergono ad autorità riconosciute e approvate; e tutto ciò che egli accerterà essere stato ritenuto, scritto, insegnato, non da uno o due di essi soltanto, ma da tutti, ugualmente, con un unico consenso, apertamente, frequentemente, persistentemente, deve comprendere che anche egli stesso deve credere» (Commonitorium, 3, 7-8).
Nei momenti di dubbio, seguiamo e aggrappiamoci all’antichità, il che significa attenersi alla tradizione che è rimasta valida fino all’introduzione di novità ambigue. Questo è stato il principio guida della Chiesa romana attraverso i secoli.
DM – Quale effetto crede che avrà questo documento sui seminari e qual è il suo messaggio ai sacerdoti e ai seminaristi?
AS – Sacerdoti e seminaristi dovrebbero intensificare lo studio dei documenti sulla tradizione della fede cattolica e della liturgia cattolica, aumentando così il loro amore per ciò che i nostri antenati e i santi credevano, custodivano e vivevano: la liturgia tradizionale della Chiesa romana. Dovrebbero chiedere con insistenza ai loro superiori e vescovi di consentire le celebrazioni della liturgia tradizionale e di applicare il principio dell’epicheia nel concedere, almeno individualmente, il diritto di celebrare nel rito antico. Se viene loro negato tale diritto, possono, utilizzando lo stesso principio dell’epicheia — e la situazione di emergenza dell’attuale crisi senza precedenti nella Chiesa — celebrare almeno privatamente il rito tradizionale della Santa Messa.
DM – Se papa Francesco può annullare l’eredità di papa Benedetto XVI (cioè Summorum Pontificum) e contraddire direttamente l’insegnamento di Benedetto su una materia così importante come la sacra liturgia (e l’insegnamento di papa san Pio V in Quo primum tempore), questo significa che qualsiasi insegnamento di un papa può essere facilmente annullato dal suo successore. Ma, se così è, che fine fa l’autorità di Pietro? Che tipo di precedente costituisce questa vicenda per l’autorità del futuro insegnamento pontificio e per l’autorità della Chiesa in generale?
AS – Qui tradizione e antichità dovrebbero sempre avere il primato. Quanto più un papa custodisce e trasmette fedelmente i tesori vivi della fede e della liturgia della Chiesa romana – che non sono affatto un “pezzo da museo”, ma una realtà viva, come lo furono per tanti grandi santi – tanto meglio adempie al suo compito ed esercita la sua autorità come successore di Pietro. Un papa dovrebbe annullare le decisioni dei suoi predecessori solo quando sono chiaramente novità e rotture con la fede e i riti liturgici. Abbiamo avuto diversi esempi lungo la storia. Le lettere di papa Onorio I (+638), molto ambigue dal punto di vista dottrinale, furono annullate dai suoi successori; ad esempio da san Leone II, il quale affermò: «Onorio, invece di purificare questa Chiesa apostolica, lasciò che la fede immacolata fosse macchiata da un tradimento profano». Per citare un altro esempio: nel 1535 papa Paolo III emanò un Breviario che fu compilato dal cardinale Quiñones ed ebbe più di cento edizioni. Tuttavia, per il suo disprezzo della tradizione, papa Paolo IV lo bandì nel 1558.
La Traditionis custodes e il nuovo documento della Congregazione per il culto divino stanno distruggendo l’opera paziente di pace, riconciliazione e comunione ecclesiale compiuta da papa Giovanni Paolo II con il motu proprio Ecclesia Dei e da Benedetto XVI con il Summorum Pontificum. Essi hanno davvero costruito ponti con la Tradizione e con una parte considerevole del clero e dei fedeli tradizionali, mostrando così che cosa significa veramente essere un pontifex. Mentre adesso papa Francesco ha smantellato il ponte costruito dai suoi due predecessori.
DM – Lei ha frequenti rapporti con il clero ortodosso. I leader ortodossi si sono avvicinati alla Chiesa cattolica durante il pontificato di Benedetto soprattutto perché hanno apprezzato il suo rispetto per la sacra liturgia. Come crede che considereranno queste misure per eliminare la liturgia tradizionale e i sacramenti della Chiesa romana? Secondo lei, tutto questo che effetto avrà sui rapporti ecumenici con gli ortodossi?
AS – Tali provvedimenti della Santa Sede, che mostrano chiaramente disprezzo per l’antica tradizione liturgica, amplieranno senza dubbio il divario di una già esistente sfiducia nei confronti della Santa Sede da parte delle Chiese ortodosse, soprattutto russo-ortodosse. Ricordo con commozione che quando papa Benedetto XVI emanò il motu proprio Summorum Pontificum, davvero epocale e magnanimo, diversi sacerdoti e vescovi russo-ortodossi si congratularono con me. Un vescovo ortodosso propose persino che la domenica nella nostra cattedrale si celebrasse regolarmente una Messa tradizionale in latino.
DM – Come si può risolvere tutto ciò? Cosa deve succedere perché queste guerre liturgiche, che secondo i cattolici tradizionali sono state riaccese da questi ultimi documenti, abbiano fine?
AS – Dobbiamo tenere a mente che gli atti violenti non durano a lungo. Le violenze e le ingiustizie fatte a un gruppo considerevole di figli e figlie modello della Chiesa, attraverso il recente documento della Santa Sede, avranno un effetto contrario. La tradizione liturgica sarà ancora più amata e custodita. Alcuni sacerdoti e fedeli saranno costretti a una vita di Messe catacombali. Eppure non dovrebbero scoraggiarsi o amareggiarsi. È la Divina Provvidenza che ha permesso questa dolorosa prova, nella quale stiamo vedendo le autorità della Santa Sede perseguitare i buoni cattolici fedeli al tesoro liturgico millenario della Chiesa Romana. I buoni cattolici devono continuare ad amare il papa e i loro vescovi e devono aumentare le loro preghiere e gli atti di riparazione e di penitenza, implorando umilmente Dio che apra gli occhi del papa e dei vescovi e accenda in loro la stima e l’amore per il tesoro costituito da queste antiche tradizioni liturgiche. Papa Francesco e tanti altri vescovi ricordino la gioia dei giorni della loro infanzia e giovinezza, quando ascoltavano, o pronunciavano essi stessi, queste parole commoventi e sempre giovani: “Introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat iuventutem meam!”, cioè: “Mi accosterò all’altare di Dio, al Dio che allieta la mia giovinezza”. Ci auguriamo fermamente che, un giorno, lo stesso Romano Pontefice pronuncerà nuovamente queste parole ai piedi dell’altare nella basilica di San Pietro a Roma.
Fonte: remnantnewspaper.com
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