Quando nel 2008 andai in Australia al seguito di Benedetto XVI restai colpito dalla crisi della Chiesa cattolica e dal generalizzato clima di ostilità nei suoi confronti, motivato soprattutto dalle vicende di abusi commessi da sacerdoti. Vidi una Chiesa sotto attacco, intimidita, timorosa di apparire scomoda e quindi, di fatto, ridotta a essere ininfluente. Un quadro che oggi, più di tredici anni dopo, si è ulteriormente aggravato, come spiega questo articolo di crisismagazine.com, il cui autore è un ex anglicano, accolto nella Chiesa cattolica e ordinato sacerdote nel 2012.
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di padre James Grant
Che il cristianesimo in Australi sia in gran parte crollato è un fatto oggi innegabile. Nella fase attuale di introspezione sulle cause del collasso e su cosa si potrebbe fare per salvare i resti, l’analisi del declino si concentra spesso sull’ostilità proveniente da un insieme di realtà importanti: il movimento politico della sinistra verde, l’Australian Broadcast Commission [la principale società pubblica di diffusione radiotelevisiva australiana, finanziata dal governo federale, ndt], i rabbiosi troll dei social media pronti ad attaccare quei cristiani (come il cardinale George Pell e Margaret Court) che difendono i valori tradizionali. È anche vero che la Chiesa ha perso le battaglie legislative su questioni quali il matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’aborto e il suicidio volontario assistito.
Tuttavia, se siamo brutalmente onesti, dobbiamo chiederci: la Chiesa ha combattuto in modo aggressivo o persistente in merito a qualcuna di queste questioni? La risposta è no, non lo ha fatto. Vescovi o diocesi isolate hanno occasionalmente lanciato avvertimenti, ma la maggior parte dei vescovi e dei sacerdoti ha taciuto, non ha fatto nulla, e anzi in molti casi ha difeso questi ideali anti-cristiani dai pulpiti o all’interno delle comunità scolastiche. Le battaglie circa le idee cristiane tradizionali non sono state perse perché l’Australian Broadcast Commission è troppo potente, ma perché la maggior parte dei leader della Chiesa cattolica non crede più alle idee che dovrebbe difendere.
Recentemente, in Australia, c’è un nuovo fenomeno rispetto al quale è possibile misurare il declino cristiano: le restrizioni da Covid. E ancora una volta il problema maggiore deriva dalla maggioranza dei vescovi e dei sacerdoti, che non si sono sforzati minimamente di mantenere aperte le loro chiese. Alla domanda se ci sia stato un solo vescovo tradizionale che si sia scagliato pubblicamente contro tali restrizioni bisogna rispondere, sfortunatamente, che no, non ce n’è stato nemmeno uno.
Così, forse, possiamo ora arrivare al nocciolo del crollo cristiano in Australia: molti vescovi e sacerdoti hanno smesso di parlare di Gesù.
Che sia per l’imbarazzo o semplicemente per la sensazione che l’esempio e la vita di Gesù non siano più rilevanti per la vita australiana, il fatto è che le chiese hanno smesso di menzionare Cristo nell’arena pubblica. La maggior parte delle dichiarazioni o dei sermoni cristiani non parlano di Gesù, i santi, la Madonna, né dei fondamenti della fede cristiana. I vescovi hanno sostituito tutto questo con interminabili discorsi sulla giustizia sociale. Al momento, i principali temi proposti da vescovi e sacerdoti sono i rifugiati, lo svantaggio sociale degli indigeni e il cambiamento climatico. Negli ultimi trent’anni, oltretutto, alcune di queste prese di posizione si sono concentrate su questioni sempre più circoscritte, come l’abolizione dei sacchetti di plastica o lo sviluppo di piste ciclabili. Ma nessun accenno alla fede.
Negli ultimi decenni un altro sforzo della Chiesa è stato quello di evidenziare l’intelligenza, la compassione e le capacità delle donne. Con un solo obiettivo: portare le donne alla leadership della Chiesa.
Sebbene il cristianesimo di stampo tradizionale non abbia mai sminuito le capacità o i talenti femminili, in duemila anni di storia non ha ordinato donne nel ruolo di vescovi, sacerdoti o diaconi. Ma a un certo punto il fatto che Cristo non abbia coinvolto le donne in questi ministeri è sembrato non avere più importanza. Chiaramente – questo il pensiero – Gesù era un uomo del suo tempo. Ma ecco il problema: se Gesù si è sbagliato circa la consacrazione delle donne, chi può dire che non abbia sbagliato anche sulla natura del matrimonio, la sessualità, gli inizi della vita, la natura del suicidio e la fine volontaria di vite anziane o ritenute inutili?
Su tutte queste questioni, i leader cristiani australiani non si sentono più sufficientemente convinti di sostenere gli insegnamenti fondamentali di Cristo. Naturalmente, i problemi delle donne sono di vitale importanza e centrali per la società australiana. Eppure è vergognoso che la Chiesa non abbia nulla da dire su un altro tipo di donna: quella che ha scelto di tenere il suo bambino in circostanze difficili; quella che lotta per il suo matrimonio in circostanze economiche complicate; quella che fa due lavori per mandare i figli a scuola; o quella costretta al burka, sposata da bambina e costretta a sopportare la circoncisione femminile. Questo tipo di donna non è degno né di riconoscimento né di sostegno.
I leader della Chiesa australiana sono anche molto pronti quando si tratta di criticare la propria nazione, ma si astengono da qualsiasi lode di ciò che gli australiani fanno bene. La politica dei rifugiati è stata descritta come “disumana e umiliante”, la riduzione degli aiuti all’estero come “un colpo devastante per i poveri del mondo e una violazione della fiducia nei confronti del pubblico australiano”, i centri di detenzione sono “misure di crudeltà intenzionale”. La fiducia nei primi ministri è spesso messa in discussione, l’attività missionaria è vista come aggressiva e priva di sensibilità culturale, il crollo del cristianesimo occidentale è visto come “una buona cosa”. Le mamme e i papà azionisti sono incoraggiati a cedere le azioni se sono “profondamente coinvolte in un comportamento aziendale dannoso”. Questi commenti pervadono le dichiarazioni sia dei vescovi australiani sia delle agenzie umanitarie cristiane.
La visione prevalente della leadership della Chiesa australiana è incentrata su una generale sfiducia nella creazione di ricchezza e sull’ostilità verso il libero mercato. Ciò porta a continue richieste di trasferimenti di ricchezza sotto forma di aumenti fiscali e accrescimento del benessere. Non vengono mai prese in considerazione altre opzioni o possibilità. Ironia della sorte, le richieste di un maggiore intervento statale nella risoluzione dei problemi sociali sono state storicamente viste come segnate da una visione non cristiana. In effetti, le carenze dello stato sociale e gli orrori della vita comunista e dell’oppressione hanno sempre rafforzato la prospettiva cristiana secondo cui i privati, la famiglia e le comunità locali sono il perno della salute, della ricchezza e della sicurezza. Ma i leader della Chiesa australiana non supportano più questi valori.
Forse in nessun modo questo atteggiamento si vede più chiaramente che nella riluttanza dei vescovi a confrontarsi con il comunismo cinese, la vigorosa persecuzione dei cristiani in quel paese, la distruzione della democrazia a Hong Kong e le minacce contro Taiwan e altre nazioni, inclusa la stessa Australia, che sono in disaccordo con la concezione del mondo cinese-comunista. Nella Chiesa australiana non c’è stato nessun leader che abbia condannato la brutalità e l’oppressione cinese. Tuttavia, a mio avviso, il cuore della crisi del cristianesimo australiano sta in qualcosa di più semplice e più straziante.
Uno dei grandi doni del cristianesimo al mondo occidentale è stato lo sviluppo organizzato delle comunità locali. Le comunità parrocchiali locali non solo erano il fulcro della devozione religiosa, ma fornivano l’istruzione di base, una leadership per risolvere i problemi sociali, un centro di appartenenza e una comunità protettiva per coloro che soffrivano per malattie e lutti. Le cure in ospedali rudimentali e l’ospitalità e la sicurezza per i viaggiatori stanchi erano assicurate dalla chiesa locale.
Purtroppo, il moderno equivalente australiano di queste parrocchie locali non ha alcuna relazione con le funzioni che storicamente hanno avuto fino agli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Le parrocchie cattoliche oggi hanno pochi legami con la formazione della comunità, non offrono nulla alle famiglie, chiudono spesso i loro centri educativi e non hanno iniziative per prendersi cura degli anziani, dei malati o di coloro che soffrono di malattie mentali, depressione o tossicodipendenza. Tutte queste funzioni sono ora affidate a grandi organizzazioni professionali che possono anche portare nomi cristiani ma, come tutti sappiamo, non hanno praticamente alcun collegamento con le comunità o le reti locali.
La realtà della parrocchia cristiana moderna è quella della chiusura o della fusione. Ma gli enti religiosi che non si coinvolgono nel locale scoprono presto di non avere molto da offrire a nessuno. I vescovi appaiono infatuati da temi come il cambiamento climatico, i rifugiati e gli indigeni australiani, ma nel momento in cui non si occupano del locale gettano via la loro specificità. I leader cristiani dovrebbero saperlo. Invece sembra proprio che l’umiliazione finale per la fede sia quella del declino senza fine, nell’irrilevanza e nel sonno.
Il cristianesimo è una religione di risurrezione e di speranza. Il popolo della Chiesa lo sa. Mentre i leader cristiani guardano ad altre ispirazioni, è tempo che la Chiesa ricominci.
Fonte: crisismagazine.com
Nella foto, la cattedrale cattolica di Darwin in Australia (Wikimedia Commons)
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