Mentre non si hanno più notizie della riforma della curia romana (il relativo documento, la costituzione apostolica Praedicate Evangelium è ormai sparita dai radar), è notevole il proliferare di leggi emanate su diretta decisione del papa, in forma di motu proprio, senza il coinvolgimento della curia. Un proliferare che stride con il continuo parlare di Francesco a proposito di sinodalità.
Per limitarci al 2021 appena concluso, ecco l’elenco, a ritroso, delle normative emesse da Francesco alla voce “motu proprio”.
Come si vede, un ritmo notevole. Ma otto motu proprio in un anno non è il record. Nel 2016 infatti Francesco ne ha emessi nove, così come nel 2019. Nel 2020 sono stati sei, nel 2017 quattro. Nel 2013 e nel 2015 tre, nel 2014 e nel 2018 due.
Se si si raffronta questa produzione con quella di Benedetto XVI, la differenza è evidente. Papa Ratzinger dal 2005 al 2013 emise solo tredici motu proprio in tutto, con questo ritmo: due nel 2005, nessuno nel 2006, due nel 2007, nessuno nel 2008, nessuno nel 2009, uno nel 2010, due nel 2011, tre nel 2012, tre nel 2013.
Se poi torniamo a Giovanni Paolo II, vediamo che il suo massimo fu tre motu proprio all’anno (nel 1988, 1994, 1999), ma normalmente si limitò a uno o due all’anno, e per quattro anni (1990, 1991, 1995, 1996) non ne emise nessuno.
Circa il centralismo e l’iperproduzione giuridica di Francesco, Geraldina Boni, consultore del Pontificio consiglio per i testi legislativi (organismo che Bergoglio ha di fatto esautorato dai suoi compiti di revisione e controllo) non ha nascosto la preoccupazione. Organicità delle leggi e certezza del diritto sono lontani ricordi. Le norme sono spesso scritte da commissioni create dal papa, in un disordine che si autoalimenta perché, di fronte ai problemi interpretativi, arrivano modifiche e correzioni che producono ulteriore confusione.
In merito al metodo con cui Francesco governa la Chiesa, osservatori quotati non esitano a parlare di sfrenato assolutismo monarchico e babele giuridica. Uno stile senza paragoni con i papi che l’hanno preceduto.
Ma anche il sinodo stesso, che Francesco spesso esalta e dovrebbe rappresentare il trionfo della collegialità, viene inteso da Bergoglio in modo singolare, come si è visto nei due sinodi sulla famiglia. Inoltre il papa, a dispetto dell’esaltazione (a parole) della sinodalità, non convoca più i cardinali in concistoro e quindi non ha più una discussione aperta con loro.
Anche il frequente ricorso all’approvazione in forma specifica di ogni nuova norma emessa da un dicastero fa parte del quadro. La formula esclude infatti la possibilità di ricorso.
Il professor Paolo Cavana, docente di diritto canonico ed ecclesiastico alla Libera Università Maria Santissima Assunta di Roma, illustrando la situazione non ha esitato a parlare di una “deriva” che “appare del tutto inusuale nella Chiesa cattolica”. Infatti, “nella produzione legislativa di questo pontificato il diritto tende a essere percepito prevalentemente come fattore organizzativo e disciplinare, cioè sanzionatorio, e sempre in funzione strumentale rispetto a determinate scelte di governo, non anche come fondamentale strumento di garanzia dei diritti (e dell’osservanza dei doveri) dei fedeli”.
Parole, si noti, scritte non su una testata ostile a Francesco, ma su Il Regno. E sotto questo titolo: Francesco (poco) canonico.
Fonti:
magister.blogautore.espresso.repubblica.it