Cari amici di Duc in altum, ho visto Don’t Look Up!, il film di Adam McKay che tanto sta facendo discutere. E devo dire che l’ho apprezzato e mi ha fatto pensare. Soprattutto per come ha descritto il mondo vacuo e superficiale della televisione, ma anche per i contenuti indubitabilmente cristiani. So che nel mondo dei conservatori il film non è piaciuto perché sembra sostenere le tesi degli ecologisti. Ma può essere interpretato anche in un altro modo. In proposito, consiglio la lettura dell’articolo di Janet E. Smith per crisismagazine.com che ho tradotto e rielaborato.
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Molti conservatori che hanno visto il film di Netflix Don’t Look Up lo hanno giudicato un’opera di propaganda a favore della tesi del cambiamento climatico e quindi, nonostante le brillanti interpretazioni e l’ironia, lo detestano.
Anche se posso concordare con questa lettura, propongo un’interpretazione alternativa, che potrebbe aiutare le persone a vedere nel film, molto godibile, un messaggio diverso.
Penso infatti che Don’t Look Up! possa essere visto come una commedia brillante che racconta la risposta idiota della nostra cultura al Covid-19. E alla fine c’è una scena – la cena tra amici che affrontano una morte certa – che si presta “pericolosamente” a farne un film cristiano.
Inutile dire che questa lettura del film non corrisponde alle intenzioni degli autori, ma ricordiamo, con Platone, che è possibile che le muse ispirino i poeti (in questo caso il regista) permettendo loro di farsi interpreti di verità che essi stessi ignorano. Potrebbe essere questo il caso?
Don’t Look Up è un film apocalittico. Narra la storia del dottor Randall Mindy (Leonardo DiCaprio), un astronomo, e Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence), dottoranda in astronomia, i quali individuano un’enorme cometa che, in sei mesi e quattordici giorni, si schianterà sulla terra distruggendola. I due scienziati, scioccati dalla scoperta, cercano in tutti i modi di convincere la presidente degli Stati Uniti Janie Orlean (Meryl Streep) che occorre fare al più presto qualcosa. Ma temendo l’effetto negativo della notizia della cometa letale sulle elezioni di medio termine e su una nomina alla Corte Suprema, la presidente Orlean decide, anziché di agire immediatamente, di tergiversare.
Mindy e Dibiasky tentano allora di sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso i media, ma falliscono, perché i frivoli conduttori del talk show (Cate Blanchett e Tyler Perry), che amano solo le notizie piacevoli, non capiscono la gravità della questione. Tutto sembra perduto quando un guru culturale miliardario (Mark Rylance), scoprendo che con la cometa può fare un mucchio di soldi, propone una soluzione per salvare il pianeta e aumentare il suo conto in banca. Ma il suo piano si rivelerà un fallimento.
Come detto, Don’t Look Up ha il tono della commedia, ma è anche un film terribilmente serio. Lo scopo è mostrarci le conseguenze fatali della mancata risposta ai pericoli (leggi cambiamento climatico) a cui è soggetto il nostro pianeta. Ma, da questo punto di vista, sembra fuori luogo, visto che nella realtà i governi e l’opinione pubblica sono molto coinvolti nelle questioni ambientali, tanto che le somme stanziate (usando le tasse) per questo problema sono ingentissime e in proposito assistiamo a una vera e propria psicosi.
Alcuni, tuttavia, vedono nel film qualcosa di molto diverso: ovvero un racconto sulla folle risposta al Covid-19 che stiamo vivendo da quasi due anni.
Il film presenta infatti molti elementi che si applicano più che alla presunta emergenza ambientale al rifiuto opposto dai governi, dai medici e dai mass media di riconoscere la verità circa le politiche progettate per combattere il Covid-19, ovvero che centinaia di migliaia di persone solo negli Usa sono morte a causa del rifiuto di fornire trattamenti precoci e che i lockdown hanno gravemente danneggiato le piccole imprese e l’economia in generale, creando inoltre problemi di salute mentale a molti, in particolare ai giovani.
Poiché il film si occupa del rifiuto di agire in linea con gli allarmi degli scienziati, vi si può vedere un’analogia con il rifiuto di ascoltare gli esperti che, sfidando la narrativa di Big Pharma, denunciano l’uso strumentale del Covid-19 al fine di esercitare un controllo quasi tirannico sulla popolazione: controllo a cui, tuttavia, un manipolo di coraggiosi non intende arrendersi facilmente.
Uno dei momenti in cui il parallelo tra il film e la nostra situazione attuale è più evidente si ha quando il dottor Mindy, nel corso del talk show fazioso, si sfoga e, suscitando scandalo, esprime tutta la sua frustrazione per il fatto che perfino gli esperti che pubblicano sulle riviste specializzate sono ignorati perché il governo e i media non vogliono ascoltare il loro messaggio. E in effetti conosciamo i lamenti di scienziati frustrati che sono stati o rischiano di essere censurati per aver offerto prove che il Covid-19 risponde bene alle cure precoci e centinaia di migliaia di persone sono morte inutilmente.
Don’t Look Up è dunque sia film apocalittico sia commedia, e come tale fornisce parecchio materiale per la presa in giro di certi comportamenti che sono sotto i nostri occhi. L’ipocrisia è sempre una buona fonte per la commedia, e tutti abbiamo visto i politici che, pur avendo imposto l’uso delle mascherine, se le tolgono quando pensano di non essere inquadrati. Vediamo anche i bambini che giocano nei parchi con le mascherine addosso, mentre gli stadi sono pieni di tifosi che non la portano. Leggiamo di governatori che vietano agli altri di viaggiare da uno stato all’altro ma fanno eccezione per se stessi quando devono andare in vacanza. E pochi di noi dimenticheranno che le cliniche per l’aborto sono state tenute aperte in nome della salute, ma le chiese sono state chiuse.
In un certo senso, ciò che stiamo vivendo è più drammatico di ciò a cui assistiamo in alcuni momenti del film. Per esempio, l’arresto degli scienziati e la loro rimozione viene narrata come una grottesca esagerazione, ma noi sappiamo bene che, in paesi Australia e Austria, la segregazione dei non vaccinati è diventata realtà.
La narcisista presidentessa Orlean vuole evidentemente rappresentare Trump, ma potrebbe anche ricordare Nancy Pelosi: sostituendo la dipendenza della Orlean dal tabacco con il presunto problema di alcolismo della Pelosi, il parallelo funziona.
Il guru culturale Peter (che potrebbe rappresentare un Fauci, un Jeff Bezos o un Bill Gates) oscilla tra il tentativo di tranquillizzare e l’offerta di soluzioni tecnologiche miracolose dalle quali trarre osceni profitti finanziari. Certo, gli autori del film, circa i guadagni del riccone Peter, non avevano in mente Big Pharma, ma nulla vieta a noi di interpretare la storia in questo modo.
Quanto al piano di fuga dei potenti che, una volta fallito il piano di Peter, si imbarcano su un’astronave, abbandonano la Terra e si fanno ibernare, difficile non pensare alle nostre élites che, mentre da un lato predicano sacrifici, dall’altro continuano a vivere alla grande e si fanno beffe delle regole, come nel caso della festa di compleanno di Obama.
Don’t Look Up ha finali diversi. I potenti, dopo aver trascorso ibernati 22.740 anni, si risvegliano su un pianeta dalla ricca vegetazione. Il guru Peter annuncia la perdita del 57 per cento dei passeggeri (come la perdita di vite umane a causa dei vaccini), ma dice che c’era da aspettarselo e che non è motivo di preoccupazione. Ma neanche il tempo di guardarsi attorno ed ecco che la presidentessa Orlean viene divorata da un animale feroce. Segno che la vita nel nuovo mondo non sarà più facile che sulla Terra e che i potenti, pur ritenendosi tanto furbi e intelligenti, in realtà non hanno risolto i loro problemi.
Ma si diceva del finale dal sorprendente sapore religioso e, più specificamente, cristiano. Mentre la cometa si avvicina alla terra, molti si lasciano andare ai saccheggi e ai comportanti moralmente più perversi. Il professor Mindy invece (dopo essersi pentito di aver ceduto alla seduzione della conduttrice televisiva e aver chiesto perdono alla moglie), va a fare la spesa con gli amici per preparare una cena da consumare tutti insieme. Un’ultima cena all’insegna dell’amore e dell’amicizia, ignorando del tutto le notizie trasmesse dalle televisioni. Improbabile che gli sceneggiatori abbiano visto Il pranzo di Babette, eppure ci sono molte somiglianze.
Sorprendente è poi la figura di Yule (Timothée Chalamet), giovane che, dichiarando apertamente di credere in Dio, non si mostra preoccupato per la fine imminente ma si abbandona alla volontà divina e, in mezzo agli amici non credenti che non sanno pregare, si offre per una benedizione che suona così: “Carissimo Padre e Onnipotente Creatore, stasera, nonostante il nostro orgoglio e i nostri dubbi, chiediamo la tua grazia e il tuo perdono…”.
Ovviamente i critici hanno ignorato i contenuti cristiani del film. Ma chi di noi conosce il cristianesimo spera che i partecipanti all’ultima cena possano ritrovarsi presto tra le braccia di un Dio amorevole. E per quanto riguarda gli altri… beh, hanno ottenuto ciò che si meritavano!
Fonte: crisismagazine.com