di Guido Ferro Canale
Caro dottor Valli,
ho seguito con molto interesse la serie di articoli su Duc in altum originata dall’interrogativo teologico di The Wanderer; credo di poter apportare un minimo contributo e di precisare alcune cose che mi sembra non siano ancora state dette.
Vorrei cominciare con una precisazione relativa alle polemiche sul coinvolgimento di don Ricossa: sento spesso dire che quanti non riconoscono Jorge Mario Bergoglio come legittimo Pontefice sarebbero scismatici e, di fatto, tutte le volte in cui si è avuta notizia di sanzioni nei confronti dei sacerdoti che si sono pubblicamente espressi per la tesi secondo cui Benedetto XVI sarebbe ancora Papa si è trattato di un decreto che li dichiarava scomunicati appunto per scisma.
Tuttavia, specialmente dopo l’esperienza del Grande Scisma, si è riconosciuto che non è scismatico chi nutre un dubbio probabile sulla legittima elezione di un Papa: potrei citare sant’Antonino di Firenze, che scriveva che, quando i pretendenti sono più di uno e ciascuno di loro ha validi argomenti dalla sua, bisogna credere che un Papa ci sia, ma sapere quale sia non è materia di fede, bensì di diritto canonico, e non è necessario alla salvezza più della conoscenza dello stesso diritto canonico. Preferisco, però, rifarmi ad autori più recenti, canonisti che hanno scritto dopo il Vaticano I, nel pieno fulgore dell’ultramontanismo teologico: “Schismaticis adnumerari nequent, qui Romano Pontifici obedire recusant, quod personam ipsius habent suspectam vel propter sparsos rumores dubie electam, ut accidit post electionem Urbani VI”. [F.X. Wernz – P. Vidal, Ius Canonicum ad Codicis normam exactum. Tomus VII – Ius Poenale Ecclesiasticum, Roma 1937, pag. 439, §398]
Similmente e più in generale, “si de eius legitimitate prudenter dubitari posset” [M. Lega, Praelectiones in textum iuris canonici de iudiciis ecclesiasticis, vol. III, Roma 1899, pag. 499].
In genere, preferisco il valore oggettivo degli argomenti all’autorevolezza personale di chi li sostiene, ma forse è bene precisare che Michele Lega è stato nominato decano della Rota da san Pio X, quando ha rimesso in funzione quel tribunale, ed è poi divenuto cardinale e prefetto della Segnatura; Franz Xaver Wernz, dopo aver a lungo insegnato alla Gregoriana, è divenuto generale della Compagnia di Gesù; Pedro Vidal, suo allievo, gli è subentrato nella cattedra universitaria ed ha collaborato ai lavori preparatori del Codice del 1917. Non parliamo davvero di nemici del Primato pontificio.
Ora, io sono convinto che la rinuncia di Benedetto XVI sia valida, ma non ho problemi a riconoscere che le singolarità sono tali da creare una situazione di dubbio probabile.
Parimenti, non sono sedevacantista e, in particolare, non condivido la lettura in senso eterodosso del decreto conciliare sull’ecumenismo o della dichiarazione sulla libertà religiosa; concedo però – e questo valga per la posizione di don Ricossa come dei sedevacantisti “totalisti” – che soprattutto quest’ultima sia la tesi di gran lunga maggioritaria.
E mi sembra utile aggiungere un dettaglio che meriterebbe rifessioni più approfondite: il Concilio di Costanza ha posto fine al Grande Scisma, ma all’interno del decreto Frequens, più noto per aver previsto la celebrazione periodica dei Concili, ha anche dettato la procedura da seguirsi per il malaugurato caso in cui più persone si comportassero pubblicamente come romani pontefici (è il cap. “Si vero“). In pratica, ciascuno di loro è tenuto a convocare un Concilio, o ad aderire alla convocazione fatta dall’altro: in quella sede si giudica della rispettiva legittimità. Alla convocazione si deve provvedere entro un anno; il contendente che non vi provvede o non aderisce al Concilio indetto da altri perde ogni diritto sul papato ed è inabile a qualunque dignità. Ora, questa parte del decreto Frequens è senz’altro ancora in vigore, perché i canonisti continuano a supporre la competenza del Concilio sul caso di Papa dubbio; ma, anche se il mondo sedevacantista ha prodotto un discreto numero di antipapi, che io sappia nessuno di questi ha mai indetto il Concilio e tantomeno vi ha provveduto il pretendente che, secondo il linguaggio invalso al tempo del Grande Scisma, dovremmo chiamare “il capo dell’obbedienza romana”. Quindi, non sarebbe così assurdo sostenere che in realtà, e salvi semmai gli effetti della supplenza di giurisdizione, già da un po’ non ci sono Papi legittimi. Anche se quelli di Roma potrebbero, forse, essere scusati dalla mancata convocazione perché, almeno fino a questi ultimi anni, i seguaci degli antipapi costituivano gruppuscoli assai ristretti. Fatto più importante, oggi che il dubbio su chi sia il Papa è assai meno circoscritto, sarebbe forse il caso di rispolverare la legge che stabilisce come risolverlo.
Questo mi porta all’altro punto importante sollevato da The Wanderer: il problema del Papa eretico.
Subito bisogna distinguere: altro è elezione a Papa di qualcuno che si assume fosse eretico già prima, altro la caduta in eresia del pontefice legittimo, in un momento successivo all’elezione.
Non c’è dubbio che la fede cattolica sia un requisito indispensabile per qualsiasi ufficio ecclesiastico, a maggior ragione per quello supremo; tuttavia, per evitare contestazioni sullo svolgimento del conclave, una lunga tradizione, che ora troviamo recepita al n. 35 della Cost. Ap. Universi Dominici Gregis, stabilisce che “Nessun Cardinale elettore potrà essere escluso dall’elezione sia attiva che passiva per nessun motivo o pretesto”, ivi compresa la scomunica non dichiarata o la perdita dell’ufficio cardinalizio per eresia. Quindi, tutti coloro che risultino cardinali elettori possono votare ed essere votati: il principio è stato riaffermato dal Sacro Collegio nel 1559, alla morte di Paolo IV, allorché il cardinale Morone, da lui fatto arrestare e sottoporre a processo proprio per eresia, è stato scarcerato e ammesso a partecipare al conclave. Però un conto è dire che i singoli voti espressi o ricevuti sono validi, un altro che è valida l’elezione del Papa eretico: Paolo IV, dopotutto, fece in tempo a promulgare la bolla Cum ex Apostolatus officio, che la dichiarava nulla e non sanata neppure dal susseguente possesso o dall’adesione dei fedeli, quand’anche universale; la previsione risulta richiamata nelle fonti del Codice del 1917, in calce al can. 188; e l’attuale can. 149 richiede la communio ecclesiastica, che include la professione della fede cattolica, per il conseguimento di qualunque ufficio.
In concreto, comunque, ritengo che sia in quest’ipotesi, sia nell’altra di Papa caduto in eresia dopo l’elezione, almeno in termini pratici risulti necessario un provvedimento formale: a parte il caso particolarissimo del processo al cadavere di Formoso, che io sappia tutte le deposizioni di Papi (legittime o meno, e comunque motivate) si sono regolate come se il personaggio fosse stato Papa fino a quel momento lì. È il caso, tra gli altri, di Giovanni XII, la cui ragione determinante (se prestiamo fede all’unica fonte storica pervenutaci, Liutprando da Cremona) sembra nientemeno che l’apostasia; è il caso dei Concili di Pisa e di Costanza; è anche il caso di Basilea, sebbene, nella prospettiva di quel conciliabolo, Gabriele Condulmer, in quanto negatore della supremazia conciliare a detta loro insegnata a Costanza, dovesse considerarsi eretico fin dall’elezione.
Tutto questo, temo, non ci porta più vicini di molto a una soluzione pratica dei molteplici problemi che oggi travagliano l’orbe cattolico; credo, però, che acquistare una più chiara consapevolezza della natura dei problemi, del senso e della portata di precedenti storici magari poco noti, nonché dell’interrelazione tra la teologia e le disposizioni canoniche sia necessario perché, prima o poi, ci si possa arrivare. Sebbene queste poche righe non abbiano fatto molto più che tratteggiare i temi di indagine, mi sento di offrirle ai suoi lettori come un contributo modesto ma, spero, utile.
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Articoli finora pubblicati:
The Wanderer, La confessione di Pietro e un “dubium” teologico (qui), 4 gennaio 2022
Don Francesco Ricossa, A quali condizioni Pietro è veramente la roccia? (qui) 5 gennaio 2022
León de Nemea, Il papa, Pietro e lo Spirito Santo (qui), 12 gennaio 2022
Gianfranco Artale, Il papa, la sua missione, la sua fedeltà. Dai frutti lo riconosciamo (qui), 14 gennaio 2022
Andrea Colombo, Ci vorrebbe un vero papa cattolico… (qui), 15 gennaio 2022
Giglio Reduzzi, Perché nessuno parla più dello Spirito Santo? (qui) 15 gennaio 2022