Cari amici di Duc in altum, un sacerdote, che preferisce mantenere l’anonimato, ha inviato al blog questa sua omelia, che volentieri vi propongo.
***
Omelia della III domenica dopo l’Epifania
(Rm 12,16-21; Mt 8,1-13)
Se vuoi, tu puoi. Soltanto di’ una parola. Ti sia fatto secondo la tua fede.
In questa terza domenica dopo l’Epifania dobbiamo fissare bene nella memoria queste tre espressioni:
- Si vis, potes: se vuoi, tu puoi.
- Tantum dic verbo: soltanto di’ con la parola.
- Sicut credidisti, fiat tibi: come hai creduto, così ti avvenga.
Oggi vogliamo ravvivare in noi la fede, proprio perché, come abbiamo sentito, il Signore Gesù può qualunque cosa, purché la voglia; gli basta pronunciare una parola perché avvenga ciò che vuole e noi possiamo ottenere qualunque cosa buona nella misura della nostra fede. Come crediamo, così il Signore agisce.
In questa domenica vediamo il Signore Gesù, all’inizio della sua missione pubblica, nell’atto di instaurare il Regno di Dio. Sappiamo che il primo annuncio della sua predicazione fu proprio questo: «Il Regno di Dio è giunto. Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1, 15). Anche nei canti della Messa si dice che il Signore sarà visto nella sua maestà (cf. Sal 101, 17). Era una profezia, ma con l’inizio della predicazione pubblica di Gesù quella profezia si adempì. Il Signore – dice l’Alleluia – ha instaurato il suo regno; per questo tutta la terra esulti (cf. Sal 96, 1). Subito questo Regno si mostrò mediante i miracoli, nei quali il Signore esercitò la sua autorità divina.
Abbiamo contemplato due miracoli che il Signore compì subito dopo il discorso della montagna, dopo essere sceso dal monte: quello a favore di un lebbroso e quello a favore di un pagano. Il lebbroso era un ebreo che tuttavia, a causa della sua malattia, era escluso dalla comunità; il pagano, invece, non poteva accedere al vero culto di Dio; ma in entrambi i casi questi personaggi diventano esempi di fede. Il lebbroso dice: «Se vuoi, tu puoi mondarmi dalla lebbra; puoi purificarmi e guarirmi» (cf. Mt 8, 2). Il centurione – non per se stesso, ma a favore del suo servo – dice: «Signore, è sufficiente che tu dica una parola e quello che io ti chiedo avverrà» (cf. Mt 8, 8).
La fede è quella virtù soprannaturale che è stata infusa in noi nel Battesimo e ci permette di beneficiare della regalità divina di Gesù, di ricevere non solo la grazia spirituale, ma anche tutti gli aiuti di cui abbiamo bisogno sul piano materiale. La fede ci rende figli di Dio, cittadini del suo Regno, e ci abilita quindi a ricevere i benefici di questo Re. Nella misura in cui la fede si sviluppa in noi, possiamo ottenere sempre di più; in altre parole, possiamo ricevere dal Signore nella misura in cui la nostra anima è dilatata dalla fede ed è così pronta ad accogliere i suoi benefici. Dobbiamo dunque imitare questi due personaggi.
Anzitutto il lebbroso, che aveva bisogno di essere riammesso nella comunità, non solo per via della sua situazione fisica, ma anche perché la lebbra, nel Vangelo, è simbolo del peccato, che è la lebbra dell’anima. Il peccato grave separa da Dio e isola pure dalla comunità dei credenti. Fin dalle origini, nella Chiesa, coloro che avevano commesso peccati gravi e i cui peccati erano pubblici erano obbligati ad astenersi dal culto; dopo la parte istruttiva della Messa, cioè al termine dell’omelia, dovevano uscire dalla chiesa; ciò indicava il loro stato interiore, uno stato oggettivo. Imitiamo la fede del lebbroso prima di tutto sul piano spirituale: quando siamo consapevoli di aver peccato, ricorriamo al Signore, che con la sua autorità sovrana, mediante i suoi ministri, ci restituirà lo stato di grazia e ci riammetterà sia all’amicizia con sé, sia alla vita comune dei cristiani.
Il lebbroso può farci pensare anche a quelle situazioni in cui le persone sono escluse dalla vita sociale a causa di una malattia (o del semplice pericolo di una malattia) e hanno quindi bisogno dell’intervento del Signore, di un intervento che ristabilisca la giustizia, che difenda i loro diritti ingiustamente violati. A tale scopo, alla fine dell’omelia, pronuncerò una supplica al Signore Gesù come Re di giustizia, perché venga in nostro soccorso e ci aiuti a superare le prevaricazioni di cui siamo vittime.
Abbiamo poi il centurione, il quale, pur essendo pagano, aveva tuttavia ricevuto una grazia straordinaria di fede e la esercitò. La grazia ha bisogno di essere accolta ed espressa in atti concreti. Il centurione meritò così di sentirsi dire con ammirazione dal Signore che in nessuno in Israele aveva trovato una fede così grande, una fede incondizionata (cf. Mt 8, 10). Il centurione gli aveva appena detto: «Io sono un militare; ricevo degli ordini e a mia volta ne do ai miei sottoposti – e gli ordini sono ordini. Quindi, come succede a me a livello umano, a maggior ragione tu puoi dare un semplice ordine e quello che avrai detto sarà eseguito. È una fede davvero straordinaria: quell’uomo riconobbe in Gesù il Figlio di Dio; riconobbe la sua sovranità assoluta, non solo sul piano dello spirito, ma anche su quello della vita fisica.
Dobbiamo ricordare, ovviamente, che non tutti gli ordini vanno eseguiti: gli ordini iniqui, in quanto contrari alla Legge di Dio o alla giusta legge degli uomini, devono trovare opposizione. Agli ordini iniqui bisogna rifiutare l’obbedienza; per questo facciamo appello ai magistrati ancora onesti perché si mobilitino per far rispettare la legge. Facciamo appello anche a tutti coloro che occupano cariche nella pubblica amministrazione perché seguano la propria coscienza piuttosto che disposizioni illegali, disposizioni che fanno pensare al regime nazista, disposizioni che lasciano sempre più sbalorditi per il grado di iniquità, di sopruso e di assenza di ogni giustificazione: di ogni giustificazione non solo dal punto di vista sanitario e giuridico, ma anche sotto il profilo istituzionale, dato che, per governare legittimamente, bisogna essere stati legittimamente investiti del potere. Noi ci appelliamo dunque al Signore perché faccia ciò che compete a Lui, ciò che è soltanto in suo potere, ma ci appelliamo anche agli uomini costituiti in posizione di autorità perché facciano ciò che è giusto.
Ora, con queste disposizioni, vogliamo anche provvedere, ognuno da parte sua, a porre la nostra anima in condizione di ricevere le grazie di cui abbiamo bisogno. Come abbiamo sentito da san Paolo, non dobbiamo considerarci sapienti da noi stessi; dobbiamo lasciare il giudizio a Dio. Il cristiano, evidentemente, combatte il male, ma non si fa giustizia da sé: chiede invece a Dio stesso di venire a rendergli giustizia e di retribuire tanto il male quanto il bene. Da parte nostra dobbiamo essere in pace con tutti, per quanto dipende da noi. Dobbiamo rendere bene per male, finché questo è possibile. Dobbiamo chiedere la conversione di coloro che ci affliggono, ma poi è del tutto legittimo che ci rivolgiamo al Signore e lo imploriamo di fare giustizia. Il Signore afferma: «Io devo punire; io ricompenserò (Mihi vindicta, ego retribuam, Rm 12, 19; cf. Dt 32, 35); a me spetta la retribuzione, io darò ciò che è dovuto ad ogni essere umano. Se dunque vogliamo davvero esercitare la nostra fede, con un cuore puro, con un’anima libera da tutto ciò che può avvelenarla o inasprirla, rivolgiamoci a Lui e, in ragione della sua maestà divina, chiediamogli di intervenire.
Signore Gesù Cristo, Tu sei il nostro unico Sovrano.
Nell’umiltà della nostra fede e della nostra condizione,
che non ti è affatto nascosta né sfugge al tuo potere assoluto,
Ti imploriamo dal profondo del cuore, esacerbato da tanti affanni,
perché Tu venga in nostro soccorso contro chi ingiustamente ci minaccia.
Riconosciamo che a Te basta una parola per capovolgere qualunque situazione
e che puoi qualsiasi cosa, purché, nella Tua infinita sapienza, Tu la voglia.
Per questo Ti supplichiamo di intervenire a favore della nostra Nazione,
benché non lo meriti a causa dei suoi gravi e innumerevoli peccati.
Ciononostante, osiamo sollecitare il Tuo intervento salutare
confidando nella Tua misericordia senza limiti,
che può salvare i molti per riguardo ai pochi giusti.
Tu non abbandoni mai i Tuoi fedeli nella prova,
che permetti a scopo di correzione o di perfezionamento.
Abbandonandoci alla Provvidenza, che dirige il cosmo,
e confidando nella Tua infallibile giustizia,
ci rimettiamo al Tuo giudizio lasciando il posto alla Tua ira,
che immancabilmente retribuisce i malvagi,
anche quando sono inconsapevoli strumenti dei Tuoi castighi.
Signore Gesù Cristo, nostro unico Sovrano,
è in gioco il Tuo stesso onore di Re dell’universo.
Per riguardo alla Tua gloria, disprezzata dai servi di Satana,
volgi pietoso lo sguardo alla nostra debolezza
e stendi a nostra protezione la destra della Tua maestà.
Con tutta la fede e l’amore di cui la Tua grazia ci rende capaci,
ci impegniamo a renderti testimonianza dinanzi al mondo
sperando contro ogni speranza, qualunque cosa accada.
Ti ringraziamo e lodiamo fin d’ora per ciò che farai
e per tutto ciò che già stai facendo per noi.
Sia benedetto il Tuo santo Nome!