di monsignor Héctor Aguer*
Uno dei miti postconciliari sostiene che via sia una contrapposizione tra lo studio e la pastorale: non sarebbe «pastorale» dedicarsi allo studio, alla ricerca filosofica o teologica, all’insegnamento di queste discipline e alle relative pubblicazioni. Capita però che ciò che i paladini del mito considerano «pastorale» sia un inganno inconsistente, un attivismo «senza testa». I seminaristi vengono inviati prematuramente nelle parrocchie, con il conseguente deterioramento e rinvio degli studi; in questo modo viene minata la formazione che dovrebbe essere offerta in seminario, e quindi nella vita sacerdotale si impianta il disorientamento. In realtà lo studio, nel processo di formazione al sacerdozio, deve andare di pari passo con la preghiera, il silenzio e il distacco dalla frenesia e dall’agitazione «pastorale» (se così li possiamo chiamare). È sempre stato un criterio tradizionale nella Chiesa; un criterio che il Concilio Vaticano II ha accolto nei suoi decreti: Presbyterorum ordinis, sul ministero e la vita dei sacerdoti e Optatam totius Ecclesiae renovationem, sulla formazione sacerdotale.
Le deviazioni, dovute a quello che venne chiamato lo «spirito del Concilio», hanno fatto sì che pochi seminari offrissero una preparazione robusta e profonda. Venerabili case di formazione al sacerdozio che, in altri tempi, ebbero maestri brillanti, con una solida formazione filosofica e teologica e quindi con un totale impegno per la salvezza delle anime, oggi sono combattuti tra il rachitismo, l’agonia e, a breve, la più che probabile chiusura. La «pastorale» ha finito per eclissare, e perfino esiliare, il Pastore. Questa falsa contrapposizione tra studio e pastorale ha portato anche, come abbiamo visto recentemente, alla chiusura di prosperi seminari vocazionali.
Quando ero seminarista, nel Seminario dell’Immacolata, a Buenos Aires, si formavano giovani provenienti da tutto il Paese, e ciascuno poteva scegliere liberamente il seminario nel quale desiderava prepararsi al sacerdozio. Ma, dopo il Concilio Vaticano II, nella Chiesa si è creata una divisione irreparabile. Se molti seminari sono rimasti intrappolati nelle posizioni progressiste, alcuni hanno fatto proprio lo stile tradizionale, adattato però alle nuove circostanze. Questi hanno dovuto superare numerose difficoltà, causate da un’opposizione di maggioranza. Sono stati calunniati e accusati di non aver recepito le novità del Concilio.
Da parte mia, sia come rettore del Seminario diocesano di San Miguel, che il Vescovo di quella diocesi mi aveva chiesto di organizzare, sia poi come coadiutore per un anno e mezzo, e nei successivi diciotto anni da arcivescovo di La Plata (sono stato il settimo), ho commentato instancabilmente i documenti del Concilio. Malauguratamente, il progressismo, sia quello più intenso sia il più tenue, ha invaso, in generale, la vita della Chiesa; con le gravissime conseguenze che si possono osservare: seminari vuoti o semivuoti; congregazioni religiose in rovina, senza vocazioni; disorientamento e divisione tra i fedeli.
Ci sono vescovi, è vero, che si preoccupano seriamente dei loro seminari, saggiamente considerati il «cuore della diocesi», e che, con la collaborazione di formatori scelti e preparati, si sforzano di istruire pastori secondo il Cuore di Cristo e non funzionali allo spirito del mondo. Una volta ordinati, questi sacerdoti sono mandati a specializzarsi nelle università romane, o in altri prestigiosi chiostri europei, e lì si dedicano pienamente agli studi, non fanno pastorale; cioè non aderiscono a nessuna parrocchia o movimento e celebrano semplicemente la Santa Messa, magari in una vicina casa di monache.
Purtroppo ci sono altri vescovi che professano il mito che oppone lo studio alla pastorale, e le conseguenze sono, in molti casi, deplorevoli. Senza una solida preparazione, è appurato come non pochi sacerdoti siano divorati dal mondo; e il ministero stesso finisce per disgregarsi, spesso in mezzo a dolorose diserzioni, e perfino scandali.
La sicura, ampia e profonda formazione intellettuale ottenuta in anni di studio assicura una dedizione seria all’azione pastorale diretta, che acquista senso di ispirazione grazie a una dimensione intellettuale chiara, solida e illuminata. Il mito postconciliare della contrapposizione ha causato enormi danni alla Chiesa. Diverse generazioni di sacerdoti, prive di preparazione intellettuale, hanno disorientato i fedeli o, peggio, li hanno sviati con dottrine stravaganti e idee di teologi che non rispondono alla grande tradizione ecclesiale, o li hanno lasciati inermi davanti a tutti gli errori del mondo moderno. Il pastoralismo è relativista, e il suo populismo falso è rovinoso per i fedeli.
È necessario rileggere i Vangeli, riconoscere che Gesù non solo ha annunciato la prossima venuta del Regno, ma ha anche insegnato una dottrina. Gli Apostoli, come vediamo nelle Lettere di san Paolo, hanno dato un posto importante alla dimensione dottrinale, contemplativa e orante della vita cristiana. Questa esperienza interiore della dottrina della fede ha permesso di riconoscere gli errori e di combatterli. Tale è l’incarico di Paolo ai suoi discepoli; per esempio, quando leggiamo nella Seconda Lettera a Timoteo: «Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero» (2 Tim 4, 1-5). Questa esortazione dell’Apostolo è rivolta (e quindi così dobbiamo intenderla) ai pastori della Chiesa di tutti i tempi; e come potrebbero assumerla se non fondassero la loro azione pastorale sullo studio assiduo e sulla preghiera, entrambi esercitati dalla fede?
Inoltre, per concludere, devo dire che coloro che si dedicano esclusivamente alla ricerca della verità, all’insegnamento e alla divulgazione attraverso le pubblicazioni, che oggi acquisiscono la nuova modalità di una rapida circolazione via Internet, stanno svolgendo un ufficio strettamente pastorale. Il populismo relativista è una calamità che deve essere superata.
Una dimostrazione di alto livello di ciò che ho espresso si trova nel modello opera di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, oggi ancora una volta ferocemente diffamato dai nemici di Cristo e della Chiesa. Benedetto XVI: Un grande teologo, che ha trascorso la vita alla ricerca della verità e all’insegnamento nell’università ed è poi divenuto Pastore di tutta la Chiesa, da lui guidata con decisione nella ricerca di Dio, poiché solo Dio assicura la sopravvivenza dell’uomo. Un teologo umile, silenzioso e orante, divenuto Pastore esemplare, spiega ciò che dovrebbe essere concepito come autenticamente pastorale. L’ispirazione di Benedetto XVI è nell’opera di san Benedetto, così come viene espressa nella Regula monachorum: il triplice impegno quotidiano di preghiera, studio e lavoro.
*arcivescovo emerito di La Plata
Buenos Aires, giovedì 10 febbraio 2022, memoria di santa Scolastica, vergine
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Fonte: infocatolica.com
Traduzione di Valentina Lazzari