di Fabio Battiston
Mi permetto di esprimere alcune brevi considerazioni riguardo agli sviluppi del rapporto tra Santa Sede e FsspP a seguito della promulgazione del famigerato Traditionis custodes. Ho letto con attenzione i due comunicati della Fraternità sacerdotale di San Pietro, pubblicati ieri e oggi su Duc in altum, che hanno prodotto in chi scrive stati d’animo piuttosto contrastanti. Da un lato, infatti, non posso non considerare con grande soddisfazione la sostanziale marcia indietro (che altri commentatori hanno definito, forse non a torto, schizofrenica) rispetto a ciò che il motu proprio sembrava prefigurare per tutte le realtà ecclesiali. Questo orientamento, peraltro, appariva pienamente confermato dalla brutale esortazione pastorale del cardinale De Donatis (ottobre 2021) nella quale si faceva espresso divieto, per tutte le chiese di Roma, di celebrare le liturgie del triduo pasquale secondo i riti tradizionali. Con la lettera dell’11 febbraio 2022, invece, Bergoglio conferma per la Fssp la piena facoltà di celebrare, tra l’altro, il Rituale così come definito nei libri liturgici del 1962. Fin qui tutto bene, ma…
L’atteggiamento di soddisfazione della Fssp di fronte all’evoluzione di questa vicenda mi lascia oltremodo perplesso poiché sembra non considerare l’aspetto fondamentale di ciò che è realmente in gioco. A mio avviso, infatti, non si può gioire (egoisticamente) se tutte le nefandezze espresse nel Traditions custodes (più volte sottolineate da numerosi addetti ai lavori, ben più attrezzati ed affidabili del sottoscritto) “non sono destinate alla Fraternità”. Siamo di fronte ad un diktat con il quale la stragrande maggioranza delle chiese, delle parrocchie e del clero viene formalmente diffidata, per sempre, dal celebrare le liturgie cattoliche in forme plurisecolari mai abrogate. Si fa a pezzi la Tradizione e al tempo stesso si accetta e promuove – in ossequio a una “ecumenica e multiculturale” contaminazione – l’introduzione nelle messe novus ordo di elementi neopagani e spesso tribali. È sufficiente che gli ukase del motu proprio non vengano applicati alle ormai sparute “enclave” tradizionali per manifestare un’esultanza a mio avviso totalmente fuori luogo? Possibile che i responsabili della Fssp non si rendano conto di essere avviati a una realtà da “riserva indiana”, nella quale non sarà data loro nessuna possibilità di crescere e in cui nessuna nuova istituzione tradizionale potrà più essere fondata? Dietro l’apparente mantenimento delle proprie specificità, tradizioni e cultura liturgica, la Fraternità e tutte le altre simili istituzioni vengono avviate a una morte lenta attraverso un progressivo e inesorabile processo di consunzione.
La questione che si è formalmente conclusa (?) in questi giorni tra l’inquilino di Santa Marta e i rappresentanti della Fssp mi ha fatto venire in mente l’esultanza di Lord Chamberlain che, scendendo dall’aereo di ritorno dalla Conferenza di Monaco nel settembre 1938, sventolava trionfante l’accordo stipulato con il Führer. L’unica speranza è che questa nostra vicenda si concluda come la Seconda guerra mondiale.