a cura della redazione ilsismografo.blogspot.com
Dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa
La guerra atomica
497 Il Magistero condanna «l’enormità della guerra» e chiede che sia considerata con un approccio completamente nuovo: infatti, «riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia». La guerra è un «flagello» e non rappresenta mai un mezzo idoneo per risolvere i problemi che sorgono tra le Nazioni: «Non lo è mai stato e mai lo sarà», perché genera conflitti nuovi e più complessi. Quando scoppia, la guerra diventa una «inutile strage», una «avventura senza ritorno», che compromette il presente e mette a rischio il futuro dell’umanità: «Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra». I danni causati da un conflitto armato non sono solamente materiali, ma anche morali. La guerra è, in definitiva, «il fallimento di ogni autentico umanesimo», «è sempre una sconfitta dell’umanità»: «non più gli uni contro gli altri, non più, mai! … non più la guerra, non più la guerra!».
498 La ricerca di soluzioni alternative alla guerra per risolvere i conflitti internazionali ha assunto oggi un carattere di drammatica urgenza, poiché «la potenza terrificante dei mezzi di distruzione, accessibili perfino alle medie e piccole potenze, e la sempre più stretta connessione, esistente tra i popoli di tutta la terra, rendono assai arduo o praticamente impossibile limitare le conseguenze di un conflitto». È quindi essenziale la ricerca delle cause che originano un conflitto bellico, anzitutto quelle collegate a situazioni strutturali di ingiustizia, di miseria, di sfruttamento, sulle quali bisogna intervenire con lo scopo di rimuoverle: «Per questo, l’altro nome della pace è lo sviluppo. Come esiste la responsabilità collettiva di evitare la guerra, così esiste la responsabilità collettiva di promuovere lo sviluppo».
499 Gli Stati non sempre dispongono degli strumenti adeguati per provvedere efficacemente alla propria difesa: da qui la necessità e l’importanza delle Organizzazioni internazionali e regionali, che devono essere in grado di collaborare per far fronte ai conflitti e favorire la pace, instaurando relazioni di fiducia reciproca capaci di rendere impensabile il ricorso alla guerra: «È lecito… sperare che gli uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio i vincoli che li legano, provenienti dalla loro comune umanità, e abbiano pure a scoprire che una fra le più profonde esigenze della loro comune umanità è che tra essi e tra i rispettivi popoli regni non il timore, ma l’amore: il quale tende ad esprimersi nella collaborazione leale, multiforme, apportatrice di molti beni».
La legittima difesa
500 Una guerra di aggressione è intrinsecamente immorale. Nel tragico caso in cui essa si scateni, i responsabili di uno Stato aggredito hanno il diritto e il dovere di organizzare la difesa anche usando la forza delle armi. L’uso della forza, per essere lecito, deve rispondere ad alcune rigorose condizioni: «che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; che ci siano fondate condizioni di successo; che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione. Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della “guerra giusta”. La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune».
Se tale responsabilità giustifica il possesso di mezzi sufficienti per esercitare il diritto alla difesa, resta per gli Stati l’obbligo di fare tutto il possibile per «garantire le condizioni della pace non soltanto sul proprio territorio, ma in tutto il mondo». Non bisogna dimenticare che «altro è ricorrere alle armi perché i popoli siano legittimamente difesi, altro voler soggiogare altre nazioni. Né la potenza bellica rende legittimo ogni suo impiego militare o politico. Né diventa tutto lecito tra i belligeranti quando la guerra è ormai disgraziatamente scoppiata ».
501 La Carta della Nazioni Unite, scaturita dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale e volta a preservare le generazioni future dal flagello della guerra, si basa sull’interdizione generalizzata del ricorso alla forza per risolvere le contese tra gli Stati, fatti salvi due casi: la legittima difesa e le misure prese dal Consiglio di Sicurezza nell’ambito delle sue responsabilità per mantenere la pace. In ogni caso, l’esercizio del diritto a difendersi deve rispettare « i tradizionali limiti della necessità e della proporzionalità».
Quanto, poi, a un’azione bellica preventiva, lanciata senza prove evidenti che un’aggressione stia per essere sferrata, essa non può non sollevare gravi interrogativi sotto il profilo morale e giuridico. Pertanto, solo una decisione dei competenti organismi, sulla base di rigorosi accertamenti e di fondate motivazioni, può dare legittimazione internazionale all’uso della forza armata, identificando determinate situazioni come una minaccia alla pace e autorizzando un’ingerenza nella sfera del dominio riservato di uno Stato.
Difendere la pace
502 Le esigenze della legittima difesa giustificano l’esistenza, negli Stati, delle forze armate, la cui azione deve essere posta al servizio della pace: coloro i quali presidiano con tale spirito la sicurezza e la libertà di un Paese danno un autentico contributo alla pace. Ogni persona che presta servizio nelle forze armate è concretamente chiamata a difendere il bene, la verità e la giustizia nel mondo; non pochi sono coloro che in tale contesto hanno sacrificato la propria vita per questi valori e per difendere vite innocenti. Il crescente numero di militari che operano in seno a forze multinazionali, nell’ambito delle « missioni umanitarie e di pace », promosse dalle Nazioni Unite, è un fatto significativo.
503 Ogni membro delle forze armate è moralmente obbligato ad opporsi agli ordini che incitano a compiere crimini contro il diritto delle genti e i suoi principi universali. I militari rimangono pienamente responsabili degli atti che compiono in violazione dei diritti delle persone e dei popoli o delle norme del diritto internazionale umanitario. Tali atti non si possono giustificare con il motivo dell’obbedienza a ordini superiori.
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Fonti: