Lettera dall’Argentina / Per tutti i vescovi e i preti “cancellati”
Il pontificato di Francesco, il “papa della misericordia”, segna il record di preti e vescovi emarginati per il loro attaccamento alla Tradizione e il rifiuto di aderire al modernismo manifesto o strisciante. Un fenomeno che monsignor Aguer osserva, dal punto di vista argentino, con il pensiero a tutti coloro che soffrono per essere stati “cancellati”. Alla faccia dell’inclusione…
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di monsignor Hector Aguer*
“Cancellati”. Mi dicono che vengono chiamati così, con questo orrendo aggettivo che ho usato nel titolo di questa lettera. In spagnolo corretto cancelar significa annullare, eliminare dalla memoria, abolire, abrogare. Onestamente, non avevo mai sentito che fosse successo fino ad ora. Mi permetto, allora, un’interpretazione.
Il generale Juan Domingo Perón, tre volte presidente dell’Argentina, coniò una formula che esprime non solo ciò che egli stesso fece, con un cinismo difficile da eguagliare, durante i suoi accidentati periodi di governo, ma anche un comportamento profondamente umano, ancestrale (caratteristico dell’“uomo vecchio”, secondo l’apostolo Paolo), osservato in diversi regimi politici. La formula recita: Per gli amici, tutto; ai nemici, neanche la giustizia. È sorprendente: il peronismo, che ha sempre cercato di usare la religione, è riuscito a lasciare il segno nella Chiesa cattolica. Sebbene risulti odioso ricordarlo dopo tanto tempo, non dobbiamo dimenticare l’incendio (giugno 1955) delle chiese più antiche e belle di Buenos Aires e la distruzione, con il fuoco che ha bruciato la curia ecclesiastica, dell’archivio storico, o di buona parte di esso, che raccoglieva documenti del XVII secolo. Fu la polizia di regime a commettere quell’aberrazione, con l’ammiccante approvazione, ovviamente, di Perón.
Si può affermare quindi che si cancella chi non è considerato amico, ad esempio per divergenze dottrinali (soprattutto per disaccordo sul valore e l’attualità della Tradizione ecclesiale), pastorali o politiche (sempre discutibili) ed è negata la giustizia. Conoscendo la situazione dottrinale e pastorale che negli ultimi anni, da circa un decennio, è testimoniata in tutta la Chiesa, possiamo pensare senza timore di sbagliare, trattandosi di tanti casi noti, che chi è stato conquistato dal relativismo o incorre in posizioni estranee alla Tradizione può contare sulla simpatia ufficiale dei vertici ed è sono considerato amico. Riguardo alla Tradizione, dobbiamo ricordare che si aggiorna costantemente, ma resta sempre uguale a se stessa; è una Tradizione viva. San Vincenzo di Lerino spiegava che il linguaggio può certamente adattarsi: si può dire nove, ma non si può dire nova, cioè introdurre novità estranee alla Verità immutabile. Ricordiamo l’immanente scisma del Sinodo tedesco, davanti al quale Roma tace, con conseguente grande confusione e scandalo da parte dei fedeli cattolici. Dove condurrà questa strada? Sinodo significa qualcosa come “camminare insieme”, ma verso dove?
Pensando ai tanti sacerdoti cancellati, mi permetto di affrontare un caso molto doloroso, quello della diocesi di San Rafael (Mendoza, Argentina). Incomprensibile è stata la condotta di monsignor Eduardo María Taussig (che ho sempre stimato come fratello e amico, e continuo a stimare ancora oggi), quando ha decretato l’obbligatorietà della distribuzione della Santa Eucaristia nella mano (come indicato dallo Stato a causa della pandemia, perché tutti dovevamo contribuire alla prevenzione del contagio partendo dal proprio comportamento). In due occasioni, in conversazioni telefoniche scaturite da sue telefonate, gli ho consigliato di non insistere nel mantenere quell’obbligo, che era contrario alla disciplina vigente nella Chiesa, poiché essa permette ai fedeli di ricevere liberamente la Comunione in piedi o in ginocchio, nella mano o in bocca. Ma accadde qualcosa di peggio: la maggior parte del clero che non aveva accettato tale disposizione del vescovo fu sanzionata, creando così una situazione insostenibile. Non escludo che vi fosse una certa componente ideologica nell’opposizione al provvedimento episcopale; i cortei, le manifestazioni ostili contro la sede del vescovado e altre reazioni dei laici sono ingiustificabili. Ma non capisco come monsignor Eduardo non si sia sforzato, con serenità e amore, di farsi comprendere; l’ambiente creato somigliava all’odium plebis, qualcosa di molto doloroso. Il vescovo, in tal caso, deve soffrire eroicamente, senza ostinarsi nella sua posizione. L’iniziativa di proibire e opporsi è stata decisa da lui, o gli è stata indicata o suggerita ex auctoritate dall’alto? La prova di forza ha portato a qualcosa di molto grave, la chiusura del Seminario Diocesano, con la dispersione dei tanti studenti. Roma ha avuto qualche ruolo in questa decisione?
Nel nostro Paese, a partire dalla metà degli anni Sessanta del secolo scorso (indico una data approssimativa), il progressismo ha iniziato a impossessarsi di quasi tutte le case di formazione sacerdotale. Venivano create “casette”, con piccoli gruppi promossi da alcuni vescovi, in cui secondo me non si è sviluppata una formazione integrale; erano una sorta di imitazione dei seminari. Se un vescovo riusciva a escludere i propri seminari da questa corrente, i cui frutti nefasti sono innegabili, adeguando la formazione dei seminaristi alla grande Tradizione ecclesiale, era mal visto dall’”ufficialità”. Per quanto mi riguarda, alla fine degli anni Settanta mi fu affidata l’organizzazione del Seminario diocesano di San Miguel, di cui sono stato poi rettore per un decennio, paternamente sostenuto e accompagnato dai primi due vescovi di quella diocesi. Poi il cardinale Antonio Quarracino mi nominò arcivescovo ausiliare. Essendo dedito alla formazione sacerdotale, non so cosa si pensasse di me e del seminario che dirigevo; mi bastava avere l’approvazione e il sostegno del vescovo. Ma ci fu il caso di un seminario di orientamento tradizionale, al quale giungevano giovani da diverse parti del Paese, che ha dovuto soffrire di una cattiva reputazione creata dall’onnipresente progressismo.
Tornando a San Rafael, non era possibile che l’ingiusta cancellazione di sacerdoti e seminaristi potesse andare avanti all’infinito. Sono molto addolorato per la situazione di monsignor Taussig; si è dimesso di propria iniziativa o le “dimissioni” gli sono state imposte dalla superior auctoritas? Il danno che è stato causato potrà essere sanato presto? Quale sarà la sorte di tanti bravi sacerdoti che sono stati cancellati?
Mi sono soffermato su questo caso – credo che la mia memoria non mi abbia tradito nell’esporlo – perché è vicino ai miei pensieri e al mio cuore; ma mi viene detto che il fenomeno della cancellazione sacerdotale si sta verificando in tutta la Chiesa. Ad esempio, se un sacerdote vuole celebrare in latino, o usare il Messale del 1962, o se nella sua predicazione affronta argomenti che la Chiesa cattolica ha abbandonato (temi di dottrina spirituale, che non devono essere trascurati), è molto probabile che sia cancellato. Rimarrà senza un normale ufficio pastorale a lui affidato e sarà privato del reddito economico necessario per condurre una vita dignitosa. E la sua famiglia, o i fedeli che lo seguono con devozione e gratitudine, dovranno aiutarlo a sopravvivere. Che ciò avvenga in una Chiesa in cui – si dice – si è riscoperto il valore della misericordia, è semplicemente scandaloso. Com’è scandaloso che il buon vescovo di Arecibo, Porto Rico, monsignor Daniel Fernández, sia stato deposto mercoledì 9 marzo per aver difeso l’obiezione di coscienza, di fronte al ridicolo “obbligo morale” di vaccinarsi, imposto dalla Santa Sede. Tornerò ad occuparmi di questo caso in prossimi articoli.
Il pontificato di Benedetto XVI, e la sua determinata e saggia intenzione di evangelizzare la cultura e rivendicare la Verità naturale e soprannaturale, aveva entusiasmato molti sacerdoti (me compreso), ma il suo passaggio allo status di Papa emerito (che cosa strana!) ha oscurato la Chiesa, e ha aperto in essa crepe attraverso le quali molti dei suoi membri sfuggono. È noto che problemi simili sono sorti altre volte nella storia della Chiesa; lo sguardo della fede deve essere rivolto alle origini, ai tempi apostolici, di cui abbiamo testimonianze nel Nuovo Testamento. In più occasioni il Santo Padre ha invitato i suoi ascoltatori a fare chiasso (è un’espressione figurativa e colloquiale con la quale ha particolarmente commosso i giovani). Significa promuovere l’agitazione, il frastuono, per esprimere la situazione che si sta vivendo, ma rumorosamente, cercando la partecipazione degli altri e opponendosi a qualcosa. Ma sono sicuro che non gli piacerebbe se i sacerdoti “cancellati” si riunissero per “fare chiasso”. Come reagirebbe se ciò accadesse?
Ora mi rivolgo personalmente a voi, fratelli sacerdoti cancellati, con una parola che vuole essere di comprensione e di consolazione. Nella seconda Lettera ai Corinzi, san Paolo esordisce scrivendo: “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione (pasēs paraklēseōs), il quale ci consola (parakalōn) in ogni nostra tribolazione (thlipsei)… Come abbondano le sofferenze (pathēmata) di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione (paraklēsis)”. Possiate vivere, cari fratelli, intensamente queste parole! Vivete con forza d’animo la situazione di ingiustizia; liberi da ogni indignazione e acrimonia. L’Apostolo ci insegna a vivere con gioia nella speranza. Gioia e speranza possono apparire eccessive in questo contesto; ma non intendo una speranza mondana che cambi la situazione temporale, anche se questo sarebbe un atteggiamento umano legittimo. Mi riferisco alla Speranza teologale, che ci collega con il Cielo.
Una delle dimensioni più belle della spiritualità cattolica, che la tradizione ha elaborato dall’insegnamento del cardinale Pierre de Bérulle, è l’abbandono fiducioso nelle mani di Dio. Ricordo la spiritualità francese, passando per Santa Teresa del Bambin Gesù fino a giungere al beato Charles de Foucauld, al quale si deve la seguente preghiera:
“Padre mio,
mi abbandono a te,
fa’ di me quello che vuoi.
Qualsiasi cosa Tu faccia di me
io ti ringrazio.
Sono pronto a tutto, accetto tutto.
Purché si compia la tua volontà in me,
in tutte le tue creature.
Non desidero altro, mio Dio.
Rimetto la mia anima nelle tue mani,
la do a Te, mio Dio,
con tutto l’amore che ho nel cuore,
perché ti amo,
e perché ho bisogno di amore,
di far dono di me
di rimettermi nelle tue mani senza misura,
con infinita fiducia,
perché Tu sei mio Padre”
Questo atteggiamento passivo ha una meravigliosa forza per cambiare le cose. Pregate gli uni per gli altri; pregate anche per coloro che vi fanno soffrire. Fatelo davanti al Tabernacolo, adorando il Signore che lì è presente. Affidatevi filialmente alla Santissima Vergine Maria, Madre di Dio fatto Uomo, Madre della Chiesa, Madre di ciascuno di noi.
Cos’altro posso dirvi? Penso ai sacerdoti cancellati in giro per il mondo; vi sono vicino, di cuore vi benedico e vi chiedo di benedire me.
*arcivescovo emerito di La Plata
Buenos Aires, 16 marzo 2022.
Memoria di san José Gabriel del Rosario Cura Brochero
Traduzione di Valentina Lazzari
Titolo originale: Del arzobispo Aguer a los sacerdotes «cancelados»
Fonte: infovaticana.com