Cari amici di Duc in altum, so che tra i lettori del blog il giudizio su Joseph Ratzinger – Benedetto XVI è assi diversificato. Immagino quindi che questa recensione pubblicata da The Wanderer farà discutere. La propongo comunque come contributo alla riflessione. Il libro di cui l’autore parla da una prospettiva argentina, è, nella versione italiana, Benedetto XVI. Una vita (Garzanti, 2020).
Mi permetto di ricordare, sullo stesso argomento, due miei libri: Benedetto XVI. Il pontificato interrotto (Mondadori, 2013) e Uno sguardo nella notte. Ripensando Benedetto XVI (Chorabooks, 2018).
A.M.V.
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di The Wanderer
Ho terminato la lettura della biografia di Benedetto XVI scritta da Peter Seewald. Nell’edizione inglese, quella che ho letto, sono due grossi volumi e mi risulta che sia uscita anche l’edizione in spagnolo e in italiano. Vale la pena leggere questo libro perché ci introduce alla figura di un uomo eccezionale, il cui prolungato ruolo all’interno del governo della Chiesa, prima come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e poi come Supremo Pontefice, evitò grandi mali e portò con sé molti benefici.
L’autore si sofferma a raccontare in modo approfondito l’infanzia e l’adolescenza di Ratzinger e il suo ambiente familiare nella Baviera prebellica. Il ritratto che ne emerge non è solo quello del futuro papa, ma anche quello della vita cristiana di quegli anni, un clima che molti ora rimpiangono: la vita semplice di persone genuine nei villaggi cattolici, governati dalla pietà e dalla liturgia, e dove la fede era veramente al centro. Emergono dettagli curiosi, come il fatto che i genitori di Joseph si siano conosciuti attraverso la sezione degli appuntamenti del giornale locale e che il piccolo Joseph sia nato quando papà e mamma avevano già una certa età. Emerge anche l’intelligenza precoce del bambino, che nonostante la timidezza, e la tendenza a rimanere solo e isolato dal suo gruppo di compagni di scuola, si sarebbe sviluppata fino a raggiungere le vette che tutti noi conosciamo.
Ratzinger era ed è in effetti una delle intelligenze più acute degli ultimi decenni, accompagnata da una capacità di lavoro e di produzione che, per chi si accosta alla sua opera, fa restare a bocca aperta. Ed è un fatto da sottolineare perché ho conosciuto persone brillanti ma, per un motivo o per l’altro, hanno a malapena elaborato uno o due brevi scritti. Ratzinger, invece, non depose la penna nemmeno durante l’esercizio del pontificato romano e continuò a scrivere non solo encicliche, mirabili insegnamenti del magistero, ma anche libri, come Gesù di Nazaret, terminato quando era ormai papa.
Non invano, ed essendo poco più che trentenne, fu l’accademico conteso dalle più prestigiose università tedesche, un successo che gli valse non solo trionfi e lodi, ma anche acerrimi nemici. E questo è un altro dei fatti interessanti presentati nel libro: la malvagità di molti colleghi teologi del futuro Benedetto XVI e la guerra dichiarata e crudele che ha sofferto, e continua a soffrire, da parte del progressismo. In particolare ci svela il vero volto di Hans Küng, il suo grande nemico, un personaggio oscuro, invidioso e mondano, che Ratzinger è sempre stato disposto a perdonare nonostante la malizia e i vili tradimenti dello svizzero. Non solo i teologi, ma anche i vescovi tedeschi furono sempre suoi strenui oppositori, considerandolo un conservatore e un “traditore” del rinnovamento del Vaticano II. Un dettaglio rivelatore: alla sua inaugurazione, nel 1977, il capitolo della cattedrale di Monaco praticamente si rifiutò di riceverlo per le sue critiche sia alla messa di Paolo VI sia al divieto di celebrare la liturgia tradizionale.
Il libro rivela anche il vero ruolo che l’allora teologo Ratzinger ebbe durante il Concilio Vaticano II come consigliere del cardinale Frings. Si trattava dell’arcivescovo di Colonia e, nel momento in cui papa Giovanni XXIII annunciò la convocazione del Concilio, Joseph Ratzinger aveva appena esordito come professore di teologia all’Università di Bonn. Frings fu talmente colpito dall’ascolto di una sua lezione che gli chiese di scrivere la conferenza che egli avrebbe tenuto poche settimane dopo a Genova, dove il cardinale Siri aveva organizzato una giornata di studio preparatoria in vista del Concilio. Il discorso di Frings – un cardinale conservatore – fece grande scalpore perché mise in luce i punti centrali della vita della Chiesa che il Concilio avrebbe dovuto affrontare e riformare. Non è un dato di poco conto: in un ambiente conservatore come quello della Genova del cardinale Siri, non ci fu opposizione ma, al contrario, un prolungato applauso di approvazione.
Dal libro risulta anche chiaro che sia il cardinale Frings sia il suo perito Ratzinger, durante le prime due sessioni del Concilio, ebbero ruoli di primo piano nel gruppo del Reno, con i loro incontri paralleli al Collegio germanico, per ideare le strategie che li avrebbero portati a prendere il controllo del Concilio, ma poi tutto finì come sappiamo. Va detto, però, che alla fine della seconda sessione sia Frings sia Ratzinger si accorsero di essere stati usati dai progressisti e che la piega che si stava delineando era estremamente pericolosa per la Chiesa. Infatti, il cardinale di Colonia morì provando grande rimorso per le azioni compiute in quelle prime due sessioni conciliari.
Tra i molteplici aspetti del libro che si potrebbero evidenziare ne segnalo ancora uno: la rinuncia al papato. È una questione che suscita ancora controversie non solo perché alcuni continuano a sostenere, per un motivo o per l’altro, che non sia valida – il che, a mio avviso, non ha fondamento – ma per la sua opportunità o necessità. È vero che se Benedetto XVI non si fosse dimesso oggi Bergoglio non sarebbe nella sede romana, e ci sarebbero state risparmiate tutte le calamità che questo pietoso pontificato ha portato con sé; ma chi può assicurarci che saremmo stati meglio? Chi governerebbe oggi la Chiesa? Gänswein, Bertone, Sodano? Quel che è certo è che Benedetto non la governerebbe. Ci troveremmo ancora una volta nello stato di “sede vacante”, come vennero chiamati gli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, quando nessuno sapeva con certezza chi governasse la Chiesa, né in che misura le decisioni fossero prese dal romano pontefice o dal suo segretario. Quanti vescovi, ricevuti dal papa invalido e malato, sono usciti dall’incontro con un pezzo di carta, firmato, recante provvedimenti e nomine episcopali ottenute con mezzi loschi e astuti? Il cardinale Ratzinger ha assistito a tutto questo da vicino e non ha voluto che la storia si ripetesse. A ciò si aggiungono le sue debolezze, che conosce bene e contro le quali sa di non poter fare nulla. Ad esempio, la sua indecisione nell’affrontare i difetti dei suoi amici, anche se sono evidenti. È il caso della gestione disastrosa del cardinale Bertone come segretario di Stato, personaggio che, nonostante Benedetto XVI fosse a conoscenza del suo comportamento e molti lo avessero avvertito, non riuscì a togliere dall’incarico perché suo amico di lunga data, così come non fu in grado di sostenere Ettore Gotti Tedeschi nella pulizia che gli aveva chiesto di fare allo Ior.
Il lettore potrà inoltre venire a conoscenza di altri difetti o, per lo meno, di quelli che sono tali per me. Uno è l’ossessione di Ratzinger per l’ecumenismo e i rapporti interreligiosi. Sono consapevole che è un problema che noi ispanici fatichiamo a capire perché tra noi non esiste. Negli anni Novanta, in alcune diocesi argentine, era diventata una moda realizzare eventi ecumenici; i vescovi zelanti dovettero importare protestanti o musulmani da altre province perché nelle loro riuscivano a malapena a trovare testimoni di Geova o mormoni impresentabili, i quali non erano per nulla interessatati a quel tipo di scambi amorosi. In Germania la situazione era diversa e l’atteggiamento di Ratzinger poteva essere compreso meglio, ma, in ogni caso, penso che si trattasse di un interesse eccessivo, tenendo presente, fra l’altro, che il protestantesimo non esiste più, dato che attualmente si è ridotto a una presenza formale, sostenuta dagli Stati, e rappresenta un numero sempre più insignificante di fedeli.
Un altro difetto nasce dal fatto che Ratzinger visse la Seconda Guerra Mondiale e la trascorse dalla parte sbagliata. Quella guerra fu un evento traumatico per tutti, e ancor di più per i tedeschi, ai quali è rimasto un senso di colpa collettivo che non riescono a scrollarsi di dosso. Ed è così che si comprende l’ossessione di papa Ratzinger nell’incoraggiare i rapporti con gli ebrei, parallelamente alla sua ossessione per l’ecumenismo. Non era questione, certamente, di raffreddare i rapporti con il popolo ebraico, ma il suo sforzo appare un po’ esagerato.
Questo difetto, tipicamente tedesco, lo si vede molto chiaramente anche in Peter Seewald, il quale, oltre a essere tedesco, è un uomo moderno. Di conseguenza, in tutto il libro egli cerca di mostrare che papa Benedetto non è mai stato solidale con le posizioni tradizionaliste, e lo fa con argomentazioni a volte ridicole. Dice, ad esempio, che la critica che ha ricevuto perché usava ornamenti e tradizioni barocche nelle cerimonie liturgiche è falsa perché, in realtà, usava gli stessi ornamenti utilizzati da Giovanni Paolo II, ma è sufficiente guardare un paio di foto per scoprire che non era così.
Allo stesso modo, l’autore cerca sempre di rispettare la correttezza politica e di presentare Ratzinger esagerando i suoi gesti compiacenti verso il mainstream. È da notare che, ad esempio, dedica tre pagine al racconto dell’incontro del Papa con un sopravvissuto all’Olocausto, mentre non dice nulla circa le visite o i discorsi di Ratzinger alle monache carmelitane o altri interventi simili. Ne risulta l’impegno per la correttezza politica non solo di un tedesco moderno ma anche di un tedesco complessato.
Nonostante questi e altri difetti che potrebbero essere evidenziati, il libro è comunque da consigliare. Insegna a valorizzare la grande figura di Joseph Ratzinger e il servizio inestimabile che ha reso alla Chiesa.
Fonte: caminante-wanderer.blogspot.com
Traduzione di Valentina Lazzari
Titolo originale: “Benedicto XVI. Una vida”, de Peter Seewald