Cari amici di Duc in altum, a quanto pare tira aria di burrasca a Genova attorno a monsignor Marco Tasca, arcivescovo della città dall’8 maggio 2020. Una lettera, firmata da “Il collegio vigilante dei parroci”, non risparmia le critiche alla gestione del successore del cardinale Bagnasco e porta allo scoperto un disagio nel clero. Malumori i cui echi sono arrivati, e vengono attentamente monitorati, anche nei sacri palazzi romani, come dimostra il contributo che qui vi proponiamo.
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di Romano Curiale
Genova, si sa, è città di mare e lì al vento sono abituati. Anzi, più è forte, più si sentono vivi.
A Genova sono gente così: ruvida come le cime da ormeggio e discreta come i caruggi del centro storico.
A Genova hanno sconfitto il basilisco, ad opera del vescovo san Siro, hanno il grifone nello stemma… figuriamoci se si preoccupano dei corvi, specie se esistono solo nella mente di quelli del quotidiano cittadino, Il Secolo XIX.
Ma andiamo con ordine, perché, a dispetto di quanto comunemente si pensi, Genova è più vicina a Roma di quanto parrebbe e c’è chi, all’ombra del Cupolone, butta sovente un occhio alla Lanterna.
Da settimane gira per Genova una lettera indirizzata all’arcivescovo, monsignor Marco Tasca, firmata da “Il collegio vigilante dei parroci”, in cui si racconta, con dovizia di particolari, anche se non tutti, la gestione della diocesi da parte del nuovo arcivescovo. Questa lettera viene pubblicata dal sito Stilum Curiae e poi viene ripresa e romanzata dal Secolo XIX. E qui nasce il Corvo, perché il Secolo afferma che a scrivere la missiva non è stato un gruppo di sacerdoti genovesi, ma uno solo, il Corvo, appunto. Lasciamo da parte questa ricostruzione, di cui non si ha alcun riscontro, e occupiamoci, nel merito, del contenuto della lettera.
La missiva elenca una serie di circostanze che sono vere e documentate, come il fatto che l’arcivescovo non risieda in episcopio, ma nel convento dei Conventuali ad Albaro, e, soprattutto, la grandine di nomine da lui decise, che hanno sconvolto l’architettura della diocesi e della curia.
Monsignor Tasca ha infatti nominato tre vicari arcivescovili che si affiancano al vescovo ausiliare, monsignor Anselmi, e al vicario episcopale, monsignor Doldi. Queste figure inedite, sorta di ministri di un neonato governo della repubblica-arcidiocesi di Genova, sono state imposte senza consultare il clero e senza valutare le competenze acquistate da anni di onorato servizio, ad esempio nell’economato.
Non è il caso di fare il giro delle sette chiese, pia pratica che a Genova i padri oratoriani rinnovano ogni anno, per capire che questo strappo, unilaterale e improvviso, ha suscitato parecchi malumori. Non solo per la sostanza ma anche per la forma usata dall’arcivescovo.
Si dice che in un anno e mezzo di governo monsignor Tasca sia riuscito a scontentare molti. Si dice che sia assai irascibile e facile a perdere il controllo: urla, pugni sul tavolo, volgarità, del tipo “qui comando io” e “voi non capite un c…o”.
Quanto al governo ombra, subito denominato “i cinque dell’Ave Maria”, pare davvero che Sua Eccellenza lo utilizzi per nascondervisi dietro. Questa è la percezione che ha buona parte del clero.
Resta un interrogativo: la scelta dei cinque dell’Ave Maria, dei quali nella lettera si fa rilevare l’incapacità a svolgere i ruoli assegnati, fa parte di un piano di destrutturazione della diocesi, piano di cui il monsignore in saio è solo un esecutore, o è farina del suo sacco?
Chiara è la volontà di umiliare le tradizionali sedi cardinalizie italiane, non solo Genova, ma quanto potrà durare questo cupio dissolvi?
Intanto a Genova il vento tira forte, ma i genovesi non lo temono affatto.