di Aurelio Porfiri
La risurrezione di Cristo ci mette con le spalle al muro e provoca nel nostro animo una decisione che deve essere per Lui o contro di Lui. Mentre il Natale è in fondo più accettabile, perché si tratta di celebrare la nascita di un bambino (tralasciando ovviamente tutto ciò che non ci fa comodo), la Pasqua no, la Pasqua ci mette di fronte al mistero della morte e alla pretesa inaudita della risurrezione.
Nella prima lettera ai Corinzi (15, 12-19) san Paolo lo diceva già molto bene: “Ora, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato il Cristo mentre di fatto non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini”. Ma per accettare questa risurrezione dobbiamo prima entrare nel mistero della sua Passione e Morte, un mistero che ci tocca spesso anche quando vicino a noi abbiamo persone pronte al transito all’altra vita. Accanto a loro ci domandiamo: che cosa ci aspetta?
In questi giorni della Settimana Santa la domanda si fa ancora più urgente e ci spinge a entrare, attraverso il triduo sacro, nel mistero che riguarda tutti. Oggi si tende a nascondere, a negare, a pensare che tutto ciò non dovrebbe esistere. E invece esiste. La morte di Cristo riassume le nostre morti come la sua risurrezione promette la nostra.