di The Wanderer
Il libro Histoire des traditionalistes, di Yves Chiron, è stato pubblicato in Francia nel gennaio di quest’anno. Chiron è un autore conosciuto soprattutto per le sue biografie, e ha due caratteristiche degne di nota: è uno storico di professione che conosce il suo mestiere ed è un cattolico tradizionalista. Entrambi questi attributi fanno del suo un libro affidabile: è scritto da uno specialista che documenta ogni sua affermazione e non è un “nemico” della causa tradizionale, ma è parte di essa.
Tuttavia, il libro non è stato apprezzato negli ambienti tradizionalisti. Il distretto francese della Fraternità sacerdotale san Pio X, per esempio, ha inviato ai suoi fedeli una nota chiedendo loro di stare lontani dall’opera di Chiron e di non leggerla perché li confonderebbe, e conosco diversi amici tradizionalisti di Ecclesia Dei – per chiamarli in qualche modo – che sono furiosi con Chiron. La verità non sempre piace, tanto meno quando si svelano fatti che smentiscono la narrativa.
Il libro comprende quindici capitoli, una conclusione e un’ampia appendice biografica dei più importanti personaggi della Tradizione. Bisogna anche segnalare un limite di questo lavoro, e cioè che è circoscritto praticamente alla storia dei tradizionalisti francesi, con qualche breve cenno ai casi degli Stati Uniti, del Brasile o dell’Argentina. È vero che la Francia è stata e resta la nazione leader indiscussa nella difesa della Tradizione, ma è anche vero che il movimento tradizionalista non è esclusivamente francese.
Di seguito le mie impressioni sul libro.
Yves Chiron esordisce con un chiarimento e una documentata testimonianza molto importante, che demolisce molte analisi, fatte in passato e tuttora, che partono da un’assimilazione del tradizionalismo religioso con il tradizionalismo politico. In particolare, l’autore afferma che i tradizionalisti insorti in difesa della liturgia di sempre dopo il Vaticano II non avevano alcun legame con l’Action Française e l’ideologia di Maurras. Certamente c’era un buon numero di persone attive in entrambi i movimenti, ma l’essere nell’uno non implicava necessariamente far parte dell’altro.
Chiron documenta come il personaggio più noto del tradizionalismo cattolico, il vescovo Marcel Lefebvre, non avesse alcun rapporto e nemmeno simpatia per Maurras e il suo movimento.
L’autore descrive molto bene il clima di confusione sorto nella Chiesa dopo il Concilio Vaticano II, soprattutto da quando è incominciata l’attuazione della riforma della messa. La confusione e lo smarrimento, tra i sacerdoti e i fedeli, erano enormi. Questo spiega molte cose e mi spinge a riflettere su ciò che io o i miei amici avremmo fatto in quelle stesse circostanze. Probabilmente qualcosa di peggio di quello che fecero coloro che avrebbero dovuto farsi carico di quel compito.
Il libro evidenzia la grandezza e i limiti di molti dei leader che si sono distinti in quei due decenni: oltre alla figura indiscussa dell’arcivescovo Lefebvre, mi riferisco a sacerdoti come padre Michel André – che trascorse diversi anni nella parrocchia argentina di Monte Comán (Mendoza) – o padre Louis Coache, o laici come Jean Madiran o Pierre Lemaire, che diedero la vita per la difesa della fede cattolica, nonostante i guai e gli attacchi ricevuti dalla stessa gerarchia. D’altra parte sono documentate le derive di altri che in breve tempo attraversarono fasi sedevacantiste, lefebvriane e accordiste; un atteggiamento che, sebbene ora ci sembri bizzarro, è comprensibile in quel contesto di confusione. Infine, vengono descritte le stravaganze di altri, come padre Guérard de Lauriers o l’abate di Nantes, che tanti danni hanno fatto.
Si documentano anche gli errori della reazione tradizionalista, innanzitutto l’assenza di un comando unificato. È vero che sarebbe stato molto difficile o impossibile realizzarlo, ma il risultato fu una serie di iniziative sparse, più o meno organizzate e più o meno scoordinate; una sorta di guerriglia che ha ottenuto pochissime vittorie.
Da segnalare anche l’inadeguatezza delle armi che furono utilizzate per la difesa della Tradizione. Anziché scegliere di discutere con argomenti seriamente fondati in colloqui con la Santa Sede guidati da teologi capaci e preparati, ci furono proclami, discorsi pomposi, “marce su Roma”. Tutto ciò fu incoraggiato per chiedere la destituzione o il processo a carico di Paolo VI o Giovanni Paolo II o l’abrogazione del Novus Ordo: iniziative del tutto assurde.
Risulta chiaro che i tradizionalisti mancavano di dirigenti capaci di guidare la lotta che avevano intrapreso. In campo liturgico, ad esempio, non esistevano specialisti adeguatamente formati, all’altezza del compito di confrontarsi con gli autori della riforma di Paolo VI. Gli studi seri di liturgia iniziati in varie università europee a partire dagli anni Venti furono il terreno su cui si nutrì il progressismo. I tradizionalisti avevano conservato la liturgia come un tesoro e la celebravano più o meno bene e con più o meno devozione, ma per loro non era mai stata oggetto di studio, a parte, nel migliore dei casi, un interesse per le rubriche.
Qualcosa di analogo accadde in ambito teologico. Non c’erano teologi formati in università serie – le università romane non lo erano e non lo sono – e la verità è che un professore di seminario, per quanto cattolico e pio potesse essere, non era in grado di sostenere una discussione con il cardinale Seper e i suoi, contrapponendo riferimenti al magistero dei papi del XIX secolo e della prima metà del XX, o lemmi neo-scolastici che poco dicevano alle nuove idee. E i teologi che avrebbero potuto condurre una seria e irrefutabile opposizione alla teologia manipolata del Concilio presero accuratamente e comprensibilmente le distanze dal movimento tradizionalista quando videro la deriva incontrollabile e bizzarra che stava prendendo.
Alla fine della lettura del libro, mi è rimasta una quasi certezza: se le cose fossero andate diversamente, se la reazione tradizionalista avesse agito in modo più organico e con mezzi ragionevoli di negoziazione, un motu proprio come Summorum Pontificum di Benedetto XVI avremmo potuto averlo già durante il pontificato di Paolo VI, e la Chiesa e noi stessi ci saremmo risparmiati tante sofferenze e dispiaceri. E non è una fantasia. Qualcosa di simile, infatti, fu ottenuto dal cardinale Heenan per l’Inghilterra del 1971.
Una conclusione. I cattolici vicini alla Tradizione, o per lo meno questo è il mio caso, prendono come dato di fatto indiscutibile la malvagità della dichiarazione Dignitatis humanae del Vaticano II sulla libertà religiosa. Questo documento, e la sua eterodossia, era ed è uno dei più noti cavalli di battaglia del movimento tradizionale e in diverse occasioni ha impedito accordi con Roma. Colpisce però il fatto che due studi seri, uno svolto dai “domenicani” di San Vincenzo Ferrer di Chémeré le Roi e l’altro da dom Basile Valuet, del monastero di Barroux, e che hanno dato origine a tesi di dottorato e libri difficilmente confutabili (per esempio Le droit à la liberté religieuse dans la tradition de l’Eglise), dimostrano che Dignitatis humanae è in totale accordo con la dottrina tradizionale della Chiesa. E vale la pena notare che gli autori provengono proprio da comunità religiose su cui non può pesare il minimo sospetto di progressismo o simpatie conciliari. Non sono a conoscenza della pubblicazione di studi, dello stesso tenore e qualità, che abbiano lo scopo di confutarli.
Fonte: caminante-wanderer.blogspot.com
Traduzione di Valentina Lazzari
Titolo originale: “Histoire des traditionalistes”, el último libro de Yves Chiron