Guerra e pace. Che cosa insegna la (vera) dottrina cattolica
di Julio Loredo
Forse mai come adesso, nella storia recente, il problema della pace è al centro delle attenzioni. Gli odierni fatti internazionali hanno riportato nel nostro orizzonte mentale un fantasma che molti avrebbero invece voluto allontanare: la guerra. Davanti alla reale possibilità di un conflitto di ampiezza internazionale gli spiriti si sono divisi, chi a favore di una guerra giusta, chi invece in senso radicalmente contrario. Forse in nessun altro ambiente questo dibattito è così acceso come in quello cattolico, richiamando perfino l’intervento di alte personalità ecclesiastiche.
Senza entrare nella polemica a favore o contro questa o quella guerra in concreto, ci preme rilevare una lacuna: è difficile trovare una chiara e sistematica esposizione della dottrina cattolica sulla guerra. Questa mancanza ha fatto sorgere in non pochi ambienti l’idea che la Chiesa Cattolica sia, ex natura, contro ogni guerra. Non è mancato chi, sulle pagine di un noto quotidiano, abbia sostenuto la tesi secondo cui, dopo il Concilio Vaticano II, la dottrina della Chiesa sarebbe cambiata.
Questo non corrisponde a verità. In duemila anni la Chiesa ha distillato un Magistero, condiviso da Papi, santi, dottori, teologi e moralisti, sulla liceità della “guerra giusta”. Questa dottrina è stata raccolta anche dal Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato da papa Giovanni Paolo II nel 1992 proprio come espressione del Magistero conciliare.
Purtroppo, proprio in questo ambiente si sono sentite voci che, discordando dalla dottrina tradizionale della Chiesa, hanno sostenuto un pacifismo oltranzista, quasi fosse l’unica posizione accettabile per un cattolico.
Dio è amore, dicono costoro. Ogni manifestazione di combattività sarebbe dunque intrinsecamente contraria alla volontà divina, in quanto manifesterebbe l’odio e non l’amore. Questa particolare interpretazione di un fatto teologicamente certo è frutto del romanticismo ottocentesco, ulteriormente diluito da un certo cattolicesimo sdolcinato che, a nostro parere, corrode le stesse fondamenta della Fede.
La pace
La pace di Cristo
Per sua stessa natura, ogni creatura razionale anela la tranquillità e la pace. Per esempio, i membri di una famiglia anelano naturalmente un ambiente di amore, serenità e concordia. Eventuali alterchi sono da considerare incidentali, situazioni transitorie che si cercherà di superare.
Per noi cattolici la pace è inoltre un imperativo divino: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace“ (Giov. 14, 27). Ed è proprio da qui che dobbiamo partire. Nostro Signore non ci dà una pace qualunque. Egli ci dà la Sua pace: “Io ve la do, non come la dà il mondo“ (id.).
Ed è così che Egli, che morì senza lamenti come un agnello innocente immolatosi per noi, ci avvertì inoltre: “Non sono venuto a portare la pace, ma la spada” (Mt 10, 34). Anche questa non è una spada qualunque. È la Sua spada. Ovviamente non esiste, né potrebbe esistere, alcuna contraddizione tra i due perfettissimi insegnamenti.
La vita di Nostro Signore ne rende testimonianza. Il Cristo dolce e mite che attirava i fanciulli — “Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli“ (Mt 19,14) — è lo stesso Cristo che scacciò a viva forza i mercanti dal Tempio, rovesciando i loro tavoli (Mt 21, 12-13). Ed è pure lo stesso che, alla fine del mondo, verrà nei panni del Cristo Gladifero (cioè portatore della spada): “Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava Fedele e Verace: egli giudica e combatte con giustizia. (…) È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è Verbo di Dio. (…) Dalla bocca gli esce una spada affilata per colpire con essa le genti. (…) Un nome porta scritto sul mantello e sul femore: Re dei re e Signore dei signori” (Ap 19, 11-16).
Fra l’uno e l’altro non esiste, né potrebbe esistere, alcuna contraddizione poiché si tratta della stessa Persona divina.
Cos’è dunque la pace? Come si accorda con la spada?
Cos’è la pace?
La pace che Nostro Signore ci lasciò è la pace di Cristo nel Regno di Cristo.
Prima di tutto è la pace in interiore homine, cioè la pace dell’anima di colui che osserva la parola divina, colui che, redento, liberato dal peccato e riconciliato con Dio compie i Suoi precetti. La condizione essenziale per la pace è l’ordine, a cominciare da quello interiore per il quale, nell’uomo, la Fede illumina l’intelligenza, che a sua volta guida la volontà, che poi controlla la sensibilità. Questa pace si proietta poi all’esterno dell’uomo, nelle sue relazioni familiari e sociali, nella vita delle nazioni.
Ecco come il grande sant’Agostino definisce la pace: “La pace del corpo è l’ordinata proporzione delle parti. La pace dell’anima irragionevole è l’ordinata pacatezza delle inclinazioni. La pace dell’anima ragionevole è l’ordinato accordo del pensare e agire. La pace del corpo e dell’anima è la vita ordinata e la salute del vivente. La pace dell’uomo posto nel divenire e di Dio è l’obbedienza ordinata nella fede in dipendenza alla legge eterna. La pace degli uomini è l’ordinata concordia. La pace della casa è l’ordinata concordia del comandare e obbedire d’individui che in essa vivono insieme. La pace dello Stato è l’ordinata concordia del comandare e obbedire dei cittadini. La pace della città celeste è l’unione sommamente ordinata e concorde di essere felici di Dio e scambievolmente in Dio. La pace dell’universo è la tranquillità dell’ordine“ (De Civitate Dei 19,13).
Dove c’è disordine non c’è pace
Due, pertanto, gli elementi necessari per una vera pace: tranquillità e ordine. Quando ne manca uno, non possiamo parlare di pace.
Prendiamo l’esempio del corpo. Quando tutti gli organi sono in ordine, funzionano bene. Abbiamo quindi la salute, che è la pace del corpo. Quando, invece, si introduce un disordine fisiologico, abbiamo la malattia. Un malato può godere di tranquillità (può essere, per esempio, tranquillamente a letto), ma non avrà pace nel suo corpo.
La stessa cosa vale per ciò che concerne l’anima. La pace spirituale dell’uomo, come insegna S. Agostino, è l’obbedienza ordinata nella Fede in dipendenza alla legge eterna. Il peccato capovolge l’ordine morale introducendovi la disobbedienza e, dunque, un fondamentale conflitto che poi si riflette in tutto l’operato umano.
A questo punto dobbiamo concludere: dove c’è peccato non c’è ordine e perciò non c’è pace. Lo stesso sant’Agostino nel testo sopra riportato avverte: “La pace dei disonesti non si può considerare pace”. Il grande Vescovo di Ippona non fa altro che ripetere l’ammonizione del profeta Isaia: “Non v’è pace per gli empi, dice il Signore” (Is 48, 22).
Ma, cos’è l’ordine? L’ordine è la retta disposizione delle cose secondo il loro fine naturale e soprannaturale. Possiamo applicare questa definizione alla società. Essa sarà ordinata nella misura in cui tutte le istituzioni, le leggi, la cultura, i costumi e via dicendo, saranno disposti secondo la legge naturale e orientati per la gloria di Dio, fine ultimo di qualsiasi società umana, spirituale o temporale. Quando ciò non avviene, quella società non può avere vera pace.
Per esempio, una società nella quale vi sia una legge che permetta l’aborto — come la 194 in Italia — non potrà mai avere una vera pace, giacché si troverà in rotta col diritto naturale e, soprattutto, con la legge divina.
La lotta contro il “mistero d’iniquità”
Purtroppo, dalla caduta di Lucifero, e poi dei nostri padri Adamo ed Eva, dobbiamo fare i conti con una realtà ineluttabile, con quel “mistero d’iniquità” chiamato peccato. Se ci riportiamo all’inizio della creazione, vediamo Dio nella gloria perfetta tra i Suoi angeli, nell’ordine da Lui creato nel cielo. La gioia avvolgeva tutto. Se la creazione fosse rimasta così, la pace avrebbe regnato per sempre.
Ma tra le perfezioni delle creature c’era pure la libertà, cioè la possibilità di scegliere. Trascinati da Lucifero, ebbro di superbia, alcuni angeli scelsero di ribellarsi contro l’ordine divino. Lucifero, semplice creatura seppure la più perfetta, volle diventare come Dio, calpestando la gerarchia naturale: Sarò simile all’Altissimo! (Is 14, 14). Scoppiò quindi la prima rivoluzione della storia, il non serviam satanico.
Davanti a questo fatto sconvolgente, per gli angeli rimasti fedeli sorse un nuovo obbligo morale: dare testimonianza di Dio, cioè amarLo, lodarLo e servirLo, in netto contrasto con coloro che Lo odiavano, bestemmiavano e a Lui si ribellavano. In altre parole, nacque il dovere della militanza.
Risonò allora il quis ut Deus! (chi è come Dio!) di san Michele. E, dice la Bibbia: “Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo” (Ap 12, 7-8).
La prima guerra della storia fu dunque combattuta in Cielo.
D’allora in poi non si può pensare all’amore di Dio senza aggiungere un sentimento, armonico e opposto, di ripudio e di opposizione al male, definitivamente stabilito nella creazione col peccato di Lucifero, e sulla terra col peccato di Adamo.
Questa opposizione comincia da noi stessi. Come conseguenza del peccato originale, esiste nell’uomo un costante attrito tra gli appetiti sensibili e la volontà guidata dalla ragione: “Vedo nelle mie membra un’altra legge, che lotta contro la legge della mia ragione (Rom 7, 23). Per mantenersi sulle vie del bene, l’uomo deve lottare contro le cattive tendenze, in una vera e propria guerra interiore.
Ma il peccato tende poi a manifestarsi in tutto l’operato dell’uomo. Ed ecco che il male s’incarna — per così dire — in persone, idee, movimenti, tendenze, false religioni e cattivi poteri che bisogna contrastare. Perciò la Chiesa ci ricorda con Giobbe che “la vita dell’uomo sulla terra è una battaglia” (Gb 7, 1). Papa Leone XIII ci rammenta ugualmente che il cristiano nasce per la lotta (Sapientiae christianae, del 10-01-1890).
Questa lotta, sempre in obbedienza alle leggi divine ed umane, non è un optional. Essa è parte integrante della vita di pietà del membro della Chiesa militante, una condizione per raggiungere la vera pace.
Giovanni Paolo II: noi non siamo pacifisti
Vogliamo la pace? Combattiamo le cause della guerra, cioè il male e il peccato. In altre parole, stabiliamo la giustizia, la pace ci sarà data in sovrappiù.
Chiudiamo questa prima parte con le parole di Giovanni Paolo II, commentando il canto-preghiera di San Francesco “O Signore, fa’ di me uno strumento di pace”: “Gesù stesso si è fatto strumento, strumento di Dio, della nostra redenzione, della nostra salvezza eterna. Allora essendo sovrani, essendo autonomi, essendo persone possiamo anche essere strumento di un bene che è maggiore di noi. Anzi questo fa la nostra dignità: quando ci dedichiamo ad una finalità, ad uno scopo che è maggiore di noi, che è superiore e che serve agli altri, come adesso possiamo dire di questo bene della pace che può servire al bene dell’umanità. Giusta pace, certamente. Noi non siamo pacifisti, non vogliamo la pace ad ogni costo. Una pace giusta. Pace e giustizia. La pace è sempre opera della giustizia: Opus iustitiae pax“ (L’Osservatore Romano, 18-19 febbraio 1991, p. 5).
Il magistero della Chiesa in tema di guerra e pace
“Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio”
“Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5, 9). Ecco un comandamento fondamentale per i cristiani. Come detto prima, la ricerca della pace è per noi un imperativo morale.
Ne ha tenuto conto la Chiesa nella sua ormai millenaria storia. Come spiega l’Enciclopedia cattolica italiana: “Nessuna corrente ideologica come la cattolica ha avuto più viva l’idea della tragicità dell’evento bellico, e nessuna si è adoperata quanto essa a mitigarne gli effetti insegnando ai popoli il sentimento di fratellanza universale, di unità e di amore”.
Il peccato originale, causa delle guerre
Ma perché c’è la guerra? Perché c’è il peccato: “Al fondo della concezione cattolica della guerra sta, indubbiamente, l’idea del peccato originale, del quale è una dolorosa conseguenza”.
Possiamo dunque farla finita con tutte le guerre? Tanto varrebbe domandare: possiamo abolire il peccato? La risposta è chiara: no. La posizione di chi vorrebbe eliminare ogni guerra è, quindi, palesemente utopica. Perciò “la concezione cristiana si è tenuta egualmente lontana (…) dell’umanitarismo e del pacifismo fuori dalla realtà”. In altre parole, non bisogna confondere la ricerca della pace col pacifismo.
Continua l’Enciclopedia cattolica: “Nessuna concezione è più umana di quella cristiana, e tuttavia i suoi più genuini sostenitori non si sono lasciati illudere da esagerati sentimentalismi. La pace è un gran bene, anzi il più gran bene terreno dell’umanità, al cui mantenimento deve essere ordinata la vita sociale. Non è però un bene da mantenersi ad ogni costo col sacrificio della giustizia e del diritto, che vanno piuttosto protetti e difesi. (…) La dottrina cattolica è pacifica ma non pacifista, umana ma non umanitaria”.
Il Vangelo e l’uso della forza
“Questa approvazione di principio dell’uso della forza per conservare o ristabilire l’ordine della pace nella giustizia non è contraria agli insegnamenti del Vangelo — continua l’Enciclopedia cattolica — Tale posizione viene, non smentita, bensì confermata dal Vangelo stesso. I teologi e moralisti cattolici si sono posti la questione, se la guerra fosse contraria all’essenza del messaggio cristiano, e rifacendosi a sant’Agostino, hanno dimostrato che tale contrarietà non esiste”.
Il mito del pacifismo nella Chiesa primitiva
Bisogna sfatare il mito del preteso pacifismo nella Chiesa primitiva. Il fatto è che nessun atto del Magistero proibì ai cristiani il servizio militare nel corso dei primi secoli. Al contrario, è noto il fatto che in questo periodo storico molti cristiani servirono come ufficiali o soldati nelle legioni romane, senza che la Chiesa rivolgesse loro nessun rimprovero. Anzi, molti furono canonizzati. Un caso tipico è quello di S. Sebastiano, comandante della prima coorte sotto gli imperatori Diocleziano e Massimiano. Questo corpo era l’élite dell’esercito imperiale.
Il libro I santi militari di Rino Cammilleri va oltre, mostrando come, verso la fine dell’Impero d’Occidente, buona parte dell’esercito fosse costituito proprio da cristiani. La cosa è molto più significativa per il fatto che il servizio militare nell’Impero Romano non era né universale né obbligatorio. In altre parole, i cristiani servivano nell’esercito per lo più come volontari.
Gli ufficiali e i soldati martirizzati in quest’epoca non furono messi a morte per aver rifiutato, come cristiani, di servire nell’esercito, ma per aver rifiutato di partecipare a cerimonie pagane che implicassero atti di idolatria.
Lontano dall’essere pacifista, la Chiesa primitiva sanciva questa partecipazione dei cristiani alla difesa armata dell’Impero. Il III canone del Concilio di Arles, tenutosi nell’agosto del 313, sancisce la prima condanna del pacifismo, stabilendo che “quelli che gettano le armi vengano scomunicati”.
“In hoc signo vinces”
Sotto l’Impero romano, con alcuni intervalli di calma relativa, la Chiesa fu perseguitata. È così che san Pietro e san Paolo furono messi a morte sotto Nerone, e Diocleziano emanò i sui ormai celebri decreti persecutori.
Nell’anno 312 successe un fatto miracoloso, che avrebbe cambiato per sempre la fisionomia della Chiesa e del mondo. L’imperatore Costantino, chiamato il Grande, era in guerra contro l’usurpatore Massenzio che occupava Roma. Avanzando verso la capitale, egli ebbe la visione di una croce raggiante nel cielo accompagnata dalla scritta in hoc signo vinces, con questo segno vincerai. Durante la notte Cristo gli apparve in sogno dicendogli di adottare quel simbolo nelle battaglie, come racconta il suo segretario e biografo Lattanzio.
L’indomani, su labari, bandiere e scudi dell’esercito imperale rifulgeva il segno di Nostro Signore Gesù Cristo. E ci fu la battaglia di Ponte Milvio a Saxa Rubra, che chiuse l’epoca delle persecuzioni. In effetti, un anno dopo, nel 313, Costantino promulgava insieme a Licinio, Augusto d’Oriente, l’editto di Milano, concedendo finalmente libertà alla Chiesa. Possiamo quindi dire che è proprio nell’esercito e grazie a esso che inizia il riconoscimento pubblico della religione cristiana.
Di fronte ai barbari
La dottrina della legittimità di certe guerre inizia a farsi strada nei lunghi secoli delle invasioni barbariche, cariche di violenze e di orrori che la Chiesa cercò di mitigare e addolcire con il suo insegnamento e il suo esempio. Ai barbari invasori, però, la Chiesa non insegnò il pacifismo, bensì l’ideale del guerriero cristiano.
Due esempi di questo impegno sono la “pace di Dio” e la “tregua di Dio”. Mediante la “pace di Dio”, per la prima volta nella storia, la Chiesa distinse fra combattenti e civili, ordinando che questi ultimi fossero tenuti fuori dal conflitto. Mediante la “tregua di Dio”, la Chiesa proibì di combattere in certi periodi dell’anno, come Quaresima e Natale.
La Chiesa canalizzò l’impeto bellico dei barbari verso la difesa della Chiesa e della Cristianità. Ed ecco che, a poco a poco, cominciò a nascere l’idea della cavalleria e a sorgere il tipo umano del cavaliere cristiano, che avrebbe raggiunto l’apice nel Medioevo con figure del calibro di san Luigi IX, re di Francia, e san Ferdinando III, re di Castiglia. San Bernardo da Chiaravalle scrisse la Regola della cavalleria — De laude novae militae ad milites Templi — nella quale considera il “malicidio” (cioè l’annientamento del male) un atto di per sé virtuoso.
Una manifestazione antesignana di questo ideale di cavalleria fu la guerra intrapresa nel 622 dall’imperatore bizantino Eraclio contro i persiani che avevano trafugato la Santa Croce di Nostro Signore Gesù Cristo. Chiamata appunto Guerra della Santa Croce, il conflitto ebbe esito vittorioso, e l’Imperatore poté riportare a Gerusalemme la santa reliquia. L’esercito cristiano andò in battaglia portando icone di Nostro Signore e fregiandosi della Santa Croce sugli scudi e sopra i labari.
La teoria della guerra giusta in sant’Agostino
La prima elaborazione di una dottrina cristiana sulla guerra si deve al grande Dottore della Chiesa, sant’Agostino, soprattutto nel libro La Città di Dio al capitolo 19.
Il vescovo di Ippona insegna anzitutto che tutti gli esseri bramano la pace; anche coloro che vogliono la guerra desiderano solo assicurarsi la pace con la vittoria: “Ne risulta che la pace è il fine auspicabile della guerra”. Non ogni pace, però, è giusta. Esiste una pace apparente e falsa e una pace vera che è la tranquillità dell’ordine, secondo una formula destinata a diventare classica.
Il pensiero di sant’Agostino si sviluppa quindi nei seguenti passaggi:
a) La guerra è un male, cui però talvolta è necessario ricorrere per riparare le ingiustizie e per ristabilire l’ordine della pace turbato dai cattivi.
b) La guerra può essere “giusta” se è giusta la pace a cui tende. Sant’Agostino definisce in un celebre testo le guerre giuste: “Si suole definire giuste le guerre che vendicano delle ingiustizie: e cioè nel caso che si tratti di debellare un popolo o una città che hanno trascurato di punire le malefatte dei loro sudditi, o di rendere ciò che era stato tolto ingiustamente”. È importante rilevare in questo passo che ciò che rende giusta una guerra è l’iniquità della parte avversa. La guerra è giusta perché è stata consumata o sta per consumarsi un’ingiustizia.
c) La volontà deve essere sempre tesa verso il bene della pace: la guerra si affronta per necessità, affinché Dio ci liberi da uno stato di ingiustizia e ci conservi nella pace. Non si cerca la pace per fare la guerra, ma si fa la guerra per conseguire la pace: “Sii dunque pacifico nel guerreggiare, per indurre con la vittoria al bene della pace coloro che devi combattere”.
Quanto alle sofferenze che risultano dalla guerra e che talvolta affliggono anche coloro che meriterebbero di esserne esenti, si tratta di un fatto permesso per fini provvidenziali di misericordia e di salvezza o di santificazione.
Riassumendo: la guerra considerata in sé stessa, in quanto uso della forza, non è né intrinsecamente buona né intrinsecamente cattiva, ma indifferente. Diventa buona o cattiva, giusta o ingiusta, secondo i fini che si propone di conseguire.
Troviamo simili affermazioni anche negli scritti di altri padri della Chiesa di quest’epoca. Per Sant’Ambrogio, ad esempio, “la guerra è cosa giusta e meritoria se ha per fine il bene”.
La teoria della guerra giusta in san Tommaso
Il Dottore Angelico parla esplicitamente di iustum bellum: “Quelli che fanno delle guerre giuste hanno di mira la pace. Perciò essi sono contrari solo alla pace cattiva, che il Signore non è venuto a portare sulla terra“.
Le tre condizioni tomiste della guerra giusta, destinate a rimanere classiche, sono le seguenti:
- Deve essere proclamata dall’autorità competente: “Infatti una persona privata non ha il potere di fare la guerra, poiché essa può difendere il proprio diritto ricorrendo al giudizio del suo superiore”.
- In secondo luogo, si richiede una causa giusta, e cioè “una colpa da parte di coloro contro cui si fa la guerra”.
- Per terzo, si richiede che l’intenzione di chi combatte sia retta, e cioè, “che si miri a promuovere il bene e a evitare il male”. L’Angelico ricorda: “Presso i veri adoratori di Dio sono pacifiche anche le guerre, le quali non si fanno per cupidigia o per crudeltà, ma per amore della pace, ossia per reprimere i malvagi e per soccorrere i buoni”.
La dottrina di san Tommaso è confermata dalle Bolle pontificie, dai decreti conciliari del Medioevo e dalle normative sui conflitti tra i regni. Sono documenti che, per la loro concordanza di pensiero, traducono l’autentica dottrina della Chiesa. (Cfr. Yves de la Brière, S.J., Paix et Guerre, in Dictionnaire Apologétique de la Foi Catholique, Gabriel Beauchesne Editeur, Paris 1926, T. III, coll. 1260-1262.)
La guerra giusta di cui scrivono san Tommaso e sant’Agostino è, si badi bene, una guerra offensiva. La guerra difensiva rientra nel diritto naturale dell’uomo alla legittima difesa e non ha bisogno di essere giuridicamente e teologicamente giustificata.
La guerra giusta secondo san Bonaventura
Anche san Bonaventura, il Dottore Serafico, tratta della guerra. Ecco le sue parole: “Per la liceità della guerra si richiede (…) che la persona che la dichiara sia investita di autorità, che colui che la combatte sia un laico (…) che colui contro il quale viene fatta guerra sia di una tale insolenza che deve essere represso con la guerra. Cause sufficienti sono: la protezione della patria, o quella della pace, o della Fede” (Opera Omnia, Ed. Vives, Paris, 1867. T. X, p. 291.)
La guerra giusta nella Seconda Scolastica
La dottrina della guerra giusta è stata poi sviluppata dai grandi teologi della Seconda Scolastica, soprattutto dal domenicano Francisco de Vitoria e dal gesuita Francisco Suárez, soprannominato Dottore Esimio.
Che la guerra, scrive Suárez, “non è in sé intrinsecamente cattiva, né è proibita ai cristiani, è una verità di fede contenuta nella Sacra Scrittura, poiché nell’Antico Testamento sono lodate le guerre intraprese da uomini molto santi: ‘O Abramo! Benedetto sei da Dio altissimo che ha creato il Cielo e la Terra; e sia benedetto Dio Altissimo per la cui protezione i nemici sono caduti nelle tue mani’ (Gn 14, 19-20). Passi analoghi si leggono su Mosè, Giosuè, Sansone, Gedeone, Davide, i Maccabei e altri, ai quali molte volte Dio ha comandato di far guerra contro i nemici degli ebrei. A questo proposito San Paolo dice che questi Santi hanno conquistato imperi in favore della Fede. Lo stesso è confermato da altre testimonianze dei Santi Padri, come pure da sant’Ambrogio” (De Bello, Sectio I, 2, cit. in Luciano Pereña Vicente, Teoría de la Guerra en Francisco Suárez, C.S.I.C., Madrid 1954, vol. II, pp. 72 e 74.)
La guerra aggressiva non è, dunque, di per sé necessariamente cattiva, “ma può essere onesta e necessaria”. A condizione di ricorrervi solo dopo aver esaurito ogni altro mezzo, e quando l’ingiuria che si vuole riparare è così grave da richiedere il ricorso a un mezzo tanto carico di conseguenze.
La guerra giusta nel Catechismo della Chiesa cattolica
L’attuale Catechismo della Chiesa cattolica, nel trattare il quinto comandamento (2258ss), riafferma la dottrina tradizionale circa la liceità della guerra giusta, ammonendo che si deve “considerare con rigore le strette condizioni che la giustificano”. Alle classiche condizioni esposte da san Tommaso, il Catechismo ne aggiunge: “Che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo”; “che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci”; “Che ci siano fondate condizioni di successo”; “che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare”.
Riguardo alla carriera militare, il Catechismo è ugualmente chiaro: “I pubblici poteri, in questo caso, hanno il diritto e il dovere di imporre ai cittadini gli obblighi necessari alla difesa nazionale. Coloro che si dedicano al servizio della patria nella vita militare sono servitori della sicurezza e della libertà dei popoli. Se rettamente adempiono al proprio dovere, concorrono veramente al bene comune della nazione e al mantenimento della pace” (2310).
Santa Teresina del Bambino Gesù
Il pacifismo cattolico è di recente apparizione. La svolta pacifista arriva, infatti, solo negli anni Sessanta sulla scia del tifone postconciliare. In nessun momento, però, riscontriamo un avallo nei testi ufficiali: né nei documenti del Concilio Vaticano II, né nelle encicliche, né nei pronunciamenti dei Papi. La Chiesa è rimasta essenzialmente ferma sui principi. Il diffuso spirito pacifista è quindi da attribuire a una mutata sensibilità, non a una mutata dottrina. Sensibilità che, a nostro parere, andrebbe rivista di fronte alla sempre più minacciosa situazione internazionale.
A conferma di quanto questo pacifismo non facesse parte dell’orizzonte spirituale dei cattolici fino a epoche assai recenti, ci è grato chiudere questo saggio citando una santa semmai dolce e mite: santa Teresina del Bambino Gesù, dichiarata Dottore della Chiesa.
Rivolgendosi a Gesù, la grande santa di Lisieux afferma di voler “percorrere la terra, predicare il tuo nome, e piantare sul suolo infedele la tua Croce gloriosa”. “Sento – continua – la vocazione di Guerriero, di Sacerdote, di Apostolo, di Dottore, di Martire, insomma, sento il bisogno, il desiderio di compiere per te, Gesù, tutte le opere più eroiche. Sento nella mia anima il coraggio di un Crociato, di uno Zuavo Pontificio: vorrei morire su un campo di battaglia per la difesa della Chiesa”.
“O mio sposo divino, morrò nelle tue braccia cantando, sul campo di battaglia, con l’arma in pugno!”, scrive il 25 marzo 1897. E, qualche tempo dopo, rivolgendosi alla Superiora, mormora: “Oh, no, non avrei avuto paura di andare in guerra. Per esempio, ai tempi delle crociate, con quale felicità sarei partita per combattere gli eretici”.
“La pace, una causa troppo bella, troppo giusta e troppo nobile per essere lasciata nelle mani dei pacifisti”, diceva Plinio Corrêa de Oliveira.
Fonte: atfp.it