I dolori del giovane Zuppi, l’Italia, la guerra. Bergoglio balla da solo (e punta su Parolin)
Caro direttore, gran successo Rai per don Matteo in Tv e a casa Bergoglio. Ma ci mancava solo un prete di strada ad inguaiare la politica estera interventista di Super Mario e del suo «compare d’anello» Giggino Di Maio, cui ha fatto seguito l’exploit, fuori copione, di Salvini.
Bello scherzo quello che Papa Francesco ha tirato all’Italia imponendo, sia pur con una risicata maggioranza, il cardinale Zuppi, per tutti don Matteo, a Presidente della Conferenza Episcopale Italiana al posto di Gualtiero Bassetti che, nel lasciare mestamente l’incarico, ha ricordato più le cose che avrebbe voluto fare rispetto a quelle che ha portato a termine. E don Matteo, golden boy di Sant’Egidio, la piccola Onu di Trastevere, ha capito subito in che pasticcio si è ficcato quando, dopo la sua nomina, ha avuto un colloquio riservato di due ore con il Papa: dopo gli abbracci e i convenevoli di rito, ha sottoposto a Francesco i suoi possibili candidati come Segretario generale della Cei al posto di Stefano Russo, esiliato da Bergoglio, dopo poco più di tre anni, a Velletri con una battuta perfida: «si respira l’aria buona dei Castelli romani». Bocciati tutti i candidati proposti, ha suggerito a Zuppi due strade da seguire senza se e senza ma. No alla guerra, no all’invio di armi, in coerenza con gli ultimi orientamenti dei cattolici del Bel Paese, ma, soprattutto, una linea durissima e senza eccezioni nella lotta alla pedofilia.
Portare i vescovi ad una crociata contro la guerra nel “segno della pace” significa mettere in grande imbarazzo il governo italiano che, fra qualche settimana, invierà il quarto contingente di armi, il più sofisticato mai fatto giungere in Ucraina. Non a caso Marco Tarquinio, direttore del quotidiano Avvenire, molto vicino alle posizioni di CL-Comunione e Liberazione, e uno tra i più ascoltati consiglieri di Zuppi, ha recentemente scritto: «Sembra trionfare la dismisura violenta e assassina della guerra che fa a pezzi incessantemente il mondo». Del resto, più che un prete di strada a Zuppi piace definirsi prete del mondo che porta in giro la pace.
Sulla lotta senza quartiere alla pedofilia si dovrà scontrare però con alcune resistenze garantiste all’interno della Chiesa, che sembrano in realtà nascondere una mossa per mettere subito in difficoltà Zuppi, presentato forse con troppa enfasi come il possibile successore di Bergoglio e che ha già all’interno della Cei alcuni antagonisti di peso, come il cardinale di Napoli Mimmo Battaglia o l’arcivescovo piemontese Erio Castellucci. Questa malignità si sposa con un altro “fuori onda” del Santo Padre, sempre più acciaccato, che vede protagonista il segretario di Stato Pietro Parolin.
Quando, nel pomeriggio del 23 maggio, Francesco ha raggiunto i vescovi italiani riuniti in assemblea generale nel salone dell’Hilton di Fiumicino, i prelati hanno subito intuito che Bergoglio, dopo le infatuazioni per il filippino Luis Tagle e il cardinale elettricista Konrad Krajewski, per la sua successione propenderebbe ora proprio per Parolin. Per circa dieci minuti si è soffermato a lungo su di lui, reiterando quello che aveva già detto: è bravo, è della scuola di Casaroli (in realtà è della scuola del cardinal Sodano al quale, in questo modo, ha dato l’ultimo dispiacere prima di morire) ed ha aggiunto un po’ a sorpresa, visti i rapporti tiepidi di questi ultimi mesi, che è il massimo esperto della Chiesa sull’Estremo Oriente, soprattutto della Cina. E questo, in ottica futura, sarà il campo a cui la Chiesa dovrà prestare maggiore attenzione perché è proprio qui che, dalla metà degli anni Ottanta, il cattolicesimo sta dispiegando le sue truppe migliori (gesuiti in testa), creando grande imbarazzo dell’episcopato Usa. È proprio in Oriente che la Chiesa cattolica sta conoscendo, infatti, il suo più grande incremento. Infine, un panegirico sulle doti intellettuali di Parolin: è preparato, è saggio, è riflessivo, ha una visione concreta della Chiesa e delle sue istituzioni.
In Vaticano si mormora che il 6 giugno ci sarà l’Apocalisse, dentro e fuori le mura vaticane. Il giorno prima, il 5 di giugno, entra infatti in vigore la riforma della Curia romana fatta con la costituzione apostolica Praedicate Evangelium. A sentire le menti giuridiche più raffinate, nella parte dispositiva e organizzativa, sembra scritta da canonisti a digiuno di diritto canonico e di teoria delle istituzioni. Un recente convegno all’Università Lateranense ha concluso dicendo che, per riparare ai guai che questa riforma procurerà alla Santa Sede, soprattutto per il nuovo ruolo assegnato alla Segreteria di Stato, occorreranno almeno un’altra trentina di leggi applicative. E in ogni caso, se Gesù vorrà ancora bene alla sua Chiesa e ispirerà i futuri legislatori, questo sarà un lavoro che richiederà dieci-quindici anni. Tutto sembra rimandare al cardinale-giurista di Budapest, Péter Erdő, che nei suoi scritti elenca puntualmente i disastri che la vaticanizzazione della Santa Sede sta arrecando e, soprattutto, arrecherà alle Chiese dell’Orbe cattolico. Ma, nella sua scorribanda all’Hilton, Bergoglio ha trovato anche il tempo per polemizzare con il cardinale Giuseppe Betori, gran cerimoniere, assieme al bravissimo Sindaco violinista di Firenze Dario Nardella, della conferenza dei vescovi e dei sindaci del Mediterraneo alla quale, nonostante le conferme, ha rinunciato ad andare proprio all’ultimo momento, lasciando nel più totale imbarazzo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. È da allora che i rapporti tra i due si sono raffreddati, così come quelli tra Bergoglio e gran parte del collegio cardinalizio e della Curia. Ma Francesco balla da solo e va compreso: in questo momento è combattuto tra i medici che lo vogliono riportare in camera operatoria per l’anca e lui che si oppone. Lunga vita al Papa.
Fonte: iltempo.it